Poichè le plastiche e le microplastiche sono state rinvenute su scala globale non solo in ambiente marino ma anche incastonate in rocce e a tutte le latitudini sono considerate da alcuni ricercatori uno dei marcatori geologici, alla stregua di alcuni organismi microscopici provvisti di guscio, della cosiddetta era dell’uomo (o Antropocene) che dal punto di vista stratigrafico non è stata ancora ufficialmente definita.

La concentrazione di microplastiche rinvenuta nei ghiacci delle regioni remote del mare Artico è superiore a quella riportata per le zone più inquinate dell’Oceano Pacifico a causa dei fenomeni di accumulo e delle correnti dominanti.

Le microplastiche (MP) sono particelle sintetiche di Ø < 5 mm che possono essere prodotte come tali o essere frutto di lunghi processi di erosione di altri rifiuti di plastica più grandi. La sorgente principale di queste microplastiche presenti in particolare nei sedimenti costieri e marini è dovuta al rilascio da parte dell’uomo nell’ambiente, in modo particolare in mare, di prodotti plastici di vario genere. Le microplastiche possono essere facilmente trasportate dalle correnti marine e dai venti in qualsiasi parte del nostro pianeta.

Il valore che determina il limite dimensionale inferiore per le microplastiche è quello di 0.33 mm che corrisponde all’apertura del setaccio più piccolo utilizzato nel processo di separazione delle microplastiche dal campione di appartenenza (Eriksen et al., 2014). Invece Crawford e Quinn suggeriscono di indicare come mini-microplastiche (MMP) le particelle di plastica 1µm < Ø < 1mm – e come nanoplastiche (NP) quelle  Ø < 1µm  ancora non perfettamente identificabili (vedi tabella seguente).

MACROPLASTICHE MAP ≥ 25mm 
MESOPLASTICHE 5 mm < MEP <  25 mm
MICROPLASTICHE PLT < 5 mm
MINIMICROPLASTICHE  MMP < 1mm-1µm
NANOPLASTICHE NP < 1µm

Classificazione dimensionale delle plastiche secondo Crawford e Quinn

La definizione dimensionale è accurata nella misurazione di particelle sferiche irregolari, ma diventa incerta nel caso di particelle di forma irregolare. I metodi principali per la misurazione sono l’osservazione visiva e la setacciatura. Con l’impiego del primo
metodo frequentemente si fa riferimento alla dimensione massima, mentre con il
secondo si considera la larghezza dell’apertura minima attraverso la quale la
particella passa, cioè la definizione di diametro equivalente (Filella, 2015).

Origine delle microplastiche

E’ importante distinguere le microplastiche anche in base alla loro
origine. Una prima distinzione può essere fatta fra:

Le microplastiche secondarie si originano dalla degradazione dei rifiuti plastici più grandi che sono abbandonati in mare (o sulla terraferma) quando esposti agli agenti atmosferici.

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Microplastiche primarie (MPP)

Le microplastiche primarie sono generalmente delle microperle sferiche prodotte per applicazioni domestiche o industriali che sfruttano in particolare le loro proprietà abrasive  (prodotti cosmetici, esfolianti e leviganti, per la cura personale, dentifrici, creme da barba, detergenti industriali e per la casa, paste abrasive per la lucidatura e la pulizia) sia per i processi industriali di sabbiatura. Le microplastiche vengono utilizzate anche nella produzione di prodotti fitosanitari, vernici e nei prodotti utilizzati nell’industria petrolifera e del gas.

Questa categoria di micro-particelle arriva direttamente nei corpi idrici, sia direttamente attraverso i servizi igienici o  viene trasportata dal vento e convogliata nelle linee urbane di trattamento acque, dove non viene intercettate dai filtri per via delle dimensioni estremamente piccole. Un altro prodotto che ricade nella stessa categoria sono i pellet in plastica prodotti per essere acquistati come materie prime industriali, da fondere e lavorare per produrre manufatti di dimensioni maggiori come polietilene (PE) o polipropilene (PP) che costituiscono la prima tipologia di microplastiche intercettate e quantificate negli oceani in quanto accidentalmente rilasciate in ambiente durante i vari passaggi della filiera di produzione e durante il trasporto. Infine, la tipologia di microplastiche maggiormente identificata come dispersa nell’ambiente è rappresentata dalle fibre sintetiche, che vengono prodotte nei processi di lavaggio domestico o industriale di indumenti a contenuto elevato di materiale sintetico. 

Un singolo capo di materiale sintetico può rilasciare oltre 1900 fibre sintetiche per ciclo di
ciclo di lavaggio. Le plastiche di piccole dimensioni vengono scaricate direttamente in mare o nei fiumi anche se le acque reflue vengono pretrattate.  Viene stimata, soltanto per l’Europa, una quantità scaricata in mare compresa fra le 80.042 e 218.662 tonnellate di
microplastiche primarie (Sherrington et al., 2016). In questa stima non sono
comprese le nano-plastiche che comunque vengono frequentemente impiegate nei
prodotti per la cura personale come detergenti e dentifrici.

Rientrano in questa categoria le microplastiche utilizzate come materiale di riempimento morbido granulare nella realizzazione di campi sportivi in erba sintetica con rilasci, stimati dall’ECHA fino a 16.000 tonnellate all’anno.

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Microplastiche secondarie

Le microplastiche secondarie costituite da frammenti di plastica di forma irregolare sono prodotte accidentalmente dalla degradazione di plastiche di maggiori dimensioni come buste, imballaggi, bottiglie e soprattutto lenze, corde e reti da pesca. Queste ultime
rilasciano grandi quantità di fibre sintetiche non solo quando vengono perse e
abbandonate in mare, ma anche per l’usura durante il normale impiego. Le
stesse imbarcazioni rilasciano microparticelle contenute nelle vernici e nei materiali
fibro-rinforzati in caso di rottura accidentale, manutenzione e pulizia. La rottura meccanica e la fotodegradazione causa lo sfaldamento dei legami all’interno della struttura polimerica, resa così più fragile all’azione del moto ondoso ed i frammenti diventano così sempre più piccoli. Si stima che l’Europa contribuisca all’inquinamento degli oceani a mezzo di microplastiche secondarie per una quantità compresa fra 68.500 e 275.000 tonnellate, il 18% delle quali sono fibre tessili provenienti da funi e reti. Nonostante siano soggette a continua frammentazione, le microplastiche originate dal petrolio sono persistenti in quanto quasi del tutto non biodegradabili.

Proprietà e caratteristiche delle microplastiche

Per il professionista geologo è importante conoscere proprietà e caratteristiche di queste particelle come per qualsiasi altro materiale che partecipa al ciclo litologico o comunque è presente nella Geosfera considerando anche il rischio ambientale che queste rappresentano ed il contributo che può fornire per la progettazione di interventi finalizzati alla mitigazione del rischio stesso.

Forma e dimensioni

Le microplastiche identificate negli ambienti naturali possono presentarsi in diverse forme e colori, dove le primarie saranno per la maggior parte sferiche o fibrose, mentre le  secondarie di forme più irregolari anche se il deterioramento nel tempo può portarle ad assumere forme molto diverse da quelle di partenza.

NOME CARATTERISTICA  DIMENSIONI
Pellet (PT) sferoidale 1 mm < Ø < 5 mm 
Microsfere (MBD) sferoidale 1 μm < Ø < 1 mm 
Fibre (FB) filamenti 1 mm < Ø <5 mm
Microfibre (MFB) filamenti 1 μm < Ø < 1 mm
Film (FI) fogli 1 mm < Ø <5 mm
Microfilm (MFI) fogli  1 μm < Ø < 1 mm
Foam (FM) spugnosa 1 mm < Ø <5 mm
Microfoam (MFM) spugnosa 1 μm < Ø < 1 mm
Frammento (FR) irregolare 1 mm < Ø <5 mm
Microframmento (MFR) irregolare 1 μm < Ø < 1 mm

Classificazione delle microplastiche in base a forma, aspetto e dimensioni delle particelle (C.Crawford e B. Quinn)

Densità

Per ipotizzare la distribuzione all’interno delle matrici ambientali delle microplastiche è di fondamentale importanza prendere in considerazione la loro densità. In acqua ad esempio è determinante sapere se le diverse particelle possano distribuirsi maggiormente sulla superficie o è più probabile che si depositino sul fondo del corpo idrico.

Sostanza Densità (g/cm3)
Acqua di mare (SW) 1,025
Polistirene (EPS) (schiuma espansa) 0,01 – 0,05
Polistirene (XPS) (schiuma estrusa) 0,03 – 0,05
Policloroprene (Neoprene) (CR) (schiuma) 0,11 – 0,56
Polietilene a bassa densità (LDPE) 0,92 – 0,94
Polietilene ad alta densità (HDPE) 0,94 – 0,97
Polipropilene (PP) 0,88 -1,23
Acrilonitrile butadiene stirene (ABS) 1,03 -1,21
Poliammide (PA) (Nylon 6) 1,12 -1,14
Polimetil metacrilato (PMA) 1,10 – 1,25
Policloroprene (Neoprene) (CR) (solido) 1,20 – 1,24
Poliamide  (PA) (Nylon 6,6) 1.13 – 1,38
Polistirene (PS) (solido) 1,04 – 1,52
Policarbonato (PC) 1,15 – 1,52
Polietilene tereftalato (PET) 1,30 – 1,50
Polivinil Cloride (PVC) 1,15 – 1,70
Politetrafluoroetilene (PTFE) 2,10 – 2,00

Densità delle microplastiche più diffuse (C.Crawford e B. Quinn)

Alcune microplastiche, come ad esempio il polietilene, possono aumentare di densità a causa della corrosione e della fessurazione delle superfici che agevola la formazione di incrostazioni. In questa maniera un materiale che normalmente galleggerebbe verrà appesantito fino ad essere trasportato finchè non si depositerà sul fondo. Viceversa particelle più dense dell’acqua potrebbero contenere sacche o bolle d’aria che ne aumentando le forze di galleggiamento. In ogni caso le correnti verticali in cui sono immerse le microplastiche sono responsabili del loro rimescolamento verticale e le particelle più pesanti potrebbero essere trasportate dal fondo alla superficie.

Microplastiche ed inquinamento

Appena le plastiche entrano nell’ambiente acquatico, diventano oggetto di fenomeni di degradazione di tipo fisico, chimico e biologico e vengono trasportate grazie all’azione delle correnti, del vento e delle maree. In alcuni casi si verifica un accumulo di biomasse e altro materiale sulla superficie di queste particelle, che porta alla sedimentazione di materiali, normalmente più leggeri dell’acqua (Wang et al., 2016). Pur essendo i materiali plastici particolarmente duraturi, per effetto della luce solare e dell’erosione possono trasformarsi in frammenti sempre più piccoli, fino a diventare microplastiche.
L’erosione e la corrosione sono fenomeni che interessano sia le macro che le microplastiche e possono essere causati dell’effetto combinato di forze di tipo meccanico, come quella esercitata dal moto ondoso, e dell’esposizione al calore e ai raggi ultravioletti che provocano infragilimento delle strutture (Diaz-Mendoza et al., 2020)

Le plastiche, non correttamente smaltite, finiscono inesorabilmente in mare, tanto da costituire circa il 70% dei rifiuti marini. Si stima ad esempio che circa 75-80 mln di tonnellate di plastica da imballaggio finiscano ogni anno negli oceani. Alcune tipologie come il polietilene (PE) e il polipropilene (PP) galleggiano, mentre altre come il polivinilcloruro (PVC) il polietilene polietilentereftalato (PET)  e le poliammidi (nylon) possono raggiungere il fondale marino. Testimoni di questo allarme ambientale sono le “isole di plastica” che si formano a causa dell’accumulo di detriti plastici galleggianti in particolari zone del pianeta. I rifiuti plastici sono pericolosi per i mammiferi marini, gli uccelli e i pesci, che possono cibarsene o rimanervi intrappolati.

Effetti sulla salute

Plastiche e microplastiche sono riconosciute come un inquinante emergente con effetti nefasti sulla salute degli ecosistemi. Uno studio dell’Istituto di ricerca sulle acque del CNR di Verbania (Cnr-Irsa) ha dimostrato come microplastiche diverse possano causare un impatto differente sulle comunità batteriche in acqua (Journal of Hazardous Materials)

Negli ambienti acquatici le microplastiche forniscono di fatto condizioni favorevoli di substrati galleggianti per gruppi di microrganismi diversi da quelli dell’ambiente circostante e di altri aggregati naturali, alterando la composizione delle comunità microbiche. Inoltre, l’elevata mobilità e persistenza delle particelle potrebbe favorire un trasporto a larga scala di organismi, di cui i patogeni possono invadere nuove località e i non patogeni possono acquisire e diffondere rapidamente resistenza agli antibiotici (Arias-Andres et al., 2018).
Le microplastiche inoltre trasportano alcune sostanze chimiche che possono essere proprie del materiale, intenzionalmente aggiunte nel processo produttivo come gli additivi plasticizzanti o ritardanti di fiamma, oppure possono essere assorbite dall’ambiente circostante. A livello globale è attestata la presenza di plastiche contaminate da inquinanti organici persistenti (POPs – Persistent Organic Pollutants), sostanze che posseggono una grande affinità alla superfice idrofoba delle plastiche, rispetto all’acqua del mare (Wang et al., 2016).

A causa delle loro ridotte dimensioni, le microplastiche vengono ingerite facilmente da pesci, rettili, uccelli acquatici e mammiferi. Una volta ingerite queste particelle possono depositarsi nell’apparato digerente, essere espulse, fagocitate dal tessuto epiteliale del tratto intestinale o traslocate in altri tessuti. L’ingestione di microplastiche da parte della fauna acquatica può avere impatti di tipo fisico, come l’ostruzione dell’apparato digerente o un falso senso di sazietà, oppure di tipo chimico poichè i contaminanti assorbiti possono essere rilasciati e diffondere all’interno dei tessuti.La plastica ingerita può essere trasferita in organismi di livello trofico più alto, per i quali sono ancora oggetto di studio i reali effetti avversi e la biodisponibilità degli inquinanti (Wang et al., 2016).

Uno studio presentato allo United European Gastroenterology, conferma che le tracce di plastica possano accumularsi nell’organismo umano attraverso il cibo e l’acqua ingeriti. La presenza di microplastiche è stata accertata in campioni di escrementi umani provenienti da diversi Paesi del mondo (in media 20 frammenti su 10 g).

I tipi di residui più comuni, con Ø = 50 ÷ 500 micrometri,  sono stati quelli di polipropilene (PP, utilizzato nei tappi delle bottiglie di plastica o nelle capsule del caffè) nonché di polietilene tereftalato (PET,  utilizzato nei contenitori per bevande)

A contatto con l’apparato gastrointestinale queste particelle potrebbero determinare una risposta immunitaria anomala o facilitare la trasmissione di sostanze tossiche o patogeni.

Le microplastiche più fini (o nanoplastiche) potrebbero arrivare ad entrare nella circolazione sanguigna attraverso le vie respiratorie per inalazione ed in quella linfatica, fino a raggiungere il fegato o altri organi vitali.

Inoltre più una particella è fine più aumenta il rapporto superficie-volume e con questo la sua capacità di accumulare materiale organico e assorbire sostante chimiche.

Anche se è ancora azzardato parlare di rischi veri e propri per la salute umana, esistono studi medici che collegano le microplastiche all’aumento di patologie polmonari, addominali e cutanee, cardiovascolari e ad effetti sull’apparato riproduttivo e persino di tumori. 

La mitigazione del rischio ambientale dovuto al rilascio delle microplastiche nell’ambiente

In materia di microplastiche la legislazione si presenta molto frammentata sul piano internazionale. La strada maestra dei governi di tutto il mondo è stata quella disincentivare o vietare la vendita di sacchetti di plastica leggera (come nell’ordinamento italiano – T.U.A. art. 226 bis, 226-ter)  e di incentivare l’utilizzo di sacchetti completamente biodegradabili . Alcuni Paesi di Africa e Asia ne hanno completamente proibito l’utilizzo. In territorio Nord Americano questo tipo di interventi sono davvero molto limitati, nonostante alcuni stati americani abbiamo emanato provvedimenti di disincentivazione all’utilizzo della plastica (Xanthos et al., 2017).

Rilevazione delle microplastiche

Distribuzione nelle matrici ambientali

La distribuzione delle microplastiche è eterogenea. Come ogni altro sedimento le particelle di plastica vengono sottoposte ai moti convettivi sia in acqua che in aria per azione del vento.

Ambienti fluviali, lacustri e marini

In generale maggiori quantità di microplastiche vengono riscontrate in zone di acqua alta o in zone soggette a ristagno. Le plastiche che vengono rilasciate direttamente in mare sono più soggette a degradazione rispetto a quelle rilasciate direttamente negli specchi d’acqua chiusi. 

Laghi e fiumi

Le microplastiche vengono spesso trasportate nei grandi corpi idrici da corsi d’acqua urbani e da affluenti, ma anche direttamente dagli scarichi industriali e dai deflussi degli impianti di trattamento delle acque reflue. La quantità di microplastiche dei laghi risulta maggiore a quelli dei rispettivi fiumi immissari.

I flussi veloci e turbolenti delle correnti fluviali sono in grado di degradare meccanicamente plastiche di grandi dimensioni come avviene del resto con altri tipi di sedimento.
Dai grandi bacini poi, i detriti plastici possono seguire il percorso verso il mare lungo i corsi d’acqua attraverso delta o estuari. In ambiente di estuario a causa della differenza di  salinità e del moto piuttosto turbolento dell’acqua sono sede di aggregazione con materiale in sospensione colloidale che una volta raggiunto un peso critico affonda contaminando i sedimenti. Le ricerche confermano che la zona centrale degli estuari, dove due fronti d’acqua si scontrano, agisce come una barriera che si oppone al deflusso delle microplastiche verso l’oceano, tuttavia nelle stagioni caratterizzate da intense precipitazioni il trasporto solido aumenta e la barriera viene superata.

Mari e oceani

La tappa finale del percorso delle microplastiche sono gli oceani da cui cui attualmente non esiste possibilità di rimozione L’ambiente marino, comprendente sia la componente acquosa che la parte sedimentata, è senz’altro quello più studiato dal punto di vista delle microplastiche. Fin dagli ani ’70 è stata riscontrata la presenza di plastica di qualsiasi tipo, sfere, filamenti, film e frammenti (5,35 trilioni di plastica nelle acque superficiali, di cui circa il 13% con Ø < 5 mm, dal 2007 al 2013) (Eriksen et al. 2014).

Come si è visto per i bacini continentali la deposizione di microplastiche nei sedimenti avviene maggiormente nei bacini marini morfologicamente più chiusi a causa dello scarso ricambio d’acqua

Ambienti continentali

Suolo 

Attualmente non esistono ancora sufficienti dati per comprendere la distribuzione territoriale delle microplastiche nel suolo.

Il dato europeo per le microplastiche in siti agricoli e discariche ripristinate parla di 1000-4000 MP per Kg di fango secco e nei primi 10 cm di suolo, 670 MP sotto forma di fibre per Kg. Questa contaminazione è dovuta non solo al rilascio di rifiuti, a contenuto plastico, non correttamente smaltiti nelle aree urbane che vengono trasformati con l’alterazione in microplastiche, ma anche alla frammentazione della plastica impiegata in agricoltura.
Esistono studi che evidenziano una presenza maggiore di queste particelle in terreni agricoli fertilizzati a mezzo di fanghi di depurazione (Zubris et al., 2005). Un effetto della presenza delle microplastiche nei suoli è la riduzione del tasso di crescita e un incremento della mortalità del Lumbricus terrestris a causa di rifiuti contenenti polietilene Ø < 150 μm, con conseguente diminuzione della fertilità del terreno (Huerta Lwanga et al., 2016). Il suolo può essere contaminato anche da fibre sintetiche trasportate dal vento che si depositano su vaste superfici.

Concentrazione in atmosfera

L’International Organization for Standardization and European Commitee (ISO) ha svolto un’analisi sulla presenza di microplastiche nell’aria che respiriamo, rilevando una concentrazione media indoor di 1-60 fibre/m3 in appartamenti e uffici e 0.3-0.5 fibre/m3

Metodi di separazione e identificazione di microplastiche nelle matrici ambientali

Separazione e identificazione visiva rappresentano due passaggi obbligatori nell’analisi delle microplastiche di qualsiasi natura. Attualmente, per le diverse matrici ambientali, vengono utilizzate numerose tecniche di analisi e quantificazione delle microplastiche. Le varie tecniche sono state armonizzate dall’ISO attraverso la pubblicazione di un rapporto tecnico (2020) relativo a misure e procedure per evitare risultati spesso tra loro non confrontabili.  

I metodi più frequentemente utilizzati per l’identificazione e quantificazione delle e microplastiche sono riportati nell’ articolo: Metodi di separazione e identificazione di microplastiche nelle matrici ambientali (attenzione! ancora non disponibile).


TESTI

L’ impatto delle plastiche sull’ambiente e sulla salute: è possibile gestirle? – G. Miserotti (Presidente ISDE Emilia-Romagna Giunta esecutiva ISDE Italia – Aggiornamento Webinar, 30 settembre 2020.

LINK

www.lescienze.it
www.echaeuropea.eu

 

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