#

ALLEGATI ALLA PARTE TERZA

ALLEGATO 1 – Monitoraggio e classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale (sostituito dall’allegato I al d.m. n. 260 del 2010)

ALLEGATO 2 – Criteri per la classificazione dei corpi idrici a destinazione funzionale

ALLEGATO 3 – Rilevamento delle caratteristiche dei bacini idrografici e analisi dell’impatto esercitato dall’attività antropica

ALLEGATO 4 – Contenuti dei piani Parte

Parte a. Piani di gestione dei bacini idrografici
Parte b. Piani di tutela delle acque

ALLEGATO 5 – Limiti di emissione degli scarichi idrici

ALLEGATO 6 – Criteri per la individuazione delle aree sensibili

ALLEGATO 7 – Parte a – Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola – Parte b – Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari

Parte a – Zone vulnerabili da nitrati di origine agricola
Parte b – Zone vulnerabili da prodotti fitosanitari

ALLEGATO 8 – Elenco indicativo dei principali inquinanti

ALLEGATO 9 – Aree protette

ALLEGATO 10 – Analisi economica

ALLEGATO 11 – Elenco indicativo delle misure supplementari da inserire nei programmi di misure


#

INDICE>>

ALLEGATO 1

MONITORAGGIO E CLASSIFICAZIONE DELLE ACQUE IN FUNZIONE DELLE ACQUE IN FUNZIONE DEGLI OBBIETTIVI DI QUALITA’ AMBIENTALE
(sostituito dall’allegato I al d.m. n. 260 del 2010)

Allegato I al d.m. n. 260 del 2010


Il presente allegato stabilisce i criteri per il monitoraggio e la classificazione dei corpi idrici superficiali e sotterranei#

1. CARATTERIZZAZIONE DEI CORPI IDRICI

1.1. CORPI IDRICI SUPERFICIALI

I corpi idrici superficiali vengono caratterizzati e individuati secondo quanto riportato in Allegato 3

1.2. CORPI IDRICI SOTTERRANEI

Identificazione e caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei

Parte AIdentificazione dei corpi idrici

L’identificazione dei corpi idrici sotterranei è necessaria ai fini dell’attuazione del presente decreto.
L’identificazione dei complessi idrogeologici e quindi degli acquiferi rappresenta la fase propedeutica alla identificazione dei corpi idrici sotterranei.
E’ stato definito un percorso di caratterizzazione che porta alla individuazione dei corpi idrici partendo dai complessi idrogeologici di cui alla Tabella 1, passando per gli acquiferi che rappresentano gli elementi di riferimento già in larga parte individuati dalle Regioni.

A.1. Identificazione dei complessi idrogeologici

Sulla base dei criteri generali univoci utili per giungere alla definizione dei corpi idrici sotterranei sono state definite sette tipologie di complessi idrogeologici partendo dalla Carta delle risorse idriche sotterranee di Mouton che costituisce il quadro di riferimento nazionale omogeneo. Tali tipologie sono state definite tenendo in considerazione gli elementi caratterizzanti i complessi idrogeologici (litologia e assetto idrogeologico) e i parametri descrittivi come la produttività, la facies idrochimica, i contaminanti naturali, la vulnerabilità e l’impatto antropico (tabella 1).

Acronimo Complessi idrogeologici

DQ Alluvioni delle depressioni quaternarie
AV Alluvioni vallive
CA Calcari
VU Vulcaniti
DET Formazioni detritiche degli altipiani plio-quaternarie
LOC Acquiferi locali
STE Formazioni sterili

Tabella 1 – J.J. Fried, J. Mouton, F. Mangano (1982)
Tali sette tipologie di Complessi Idrogeologici rappresentano il quadro ove ricollocare gli acquiferi e, successivamente, i corpi idrici sotterranei secondo lo schema di massima, di seguito riportato.

*Unità di bilancio: dominio dotato di una comprovata unità stratigrafica e/o strutturale, al cui limite si verificano condizioni che annullano od ostacolano le possibilità di interscambi idrici sotterranei e che al suo interno può contenere uno o più corpi idrici.

L’individuazione dei limiti delle unità di bilancio è un processo iterativo che le Regioni perfezionano nel corso del tempo.

A.2. Criteri per l’identificazione degli acquiferi

L’identificazione degli acquiferi viene effettuata sulla base di criteri idrogeologici. L’elaborazione di un modello concettuale permetterà di pervenire ad un bilancio in termini di entrate e di uscite ed alla valutazione della vulnerabilità, tenendo conto delle pressioni antropiche.
La complessità ed il dettaglio del modello aumentano gradualmente all’aumentare delle conoscenze e vengono approfondite nel tempo durante le fasi di caratterizzazione e di monitoraggio.
L’identificazione degli acquiferi deve comunque soddisfare 2 criteri: flusso significativo e quantità significativa.
Se uno o entrambi i criteri sono soddisfatti, le unità stratigrafiche sono da considerarsi acquifero.

Detti criteri per l’identificazione degli acquiferi sono illustrati nello schema seguente (Fig. 1):

Fig.1 – Schema per l’individuazione degli acquiferi

A.3. Delimitazione dei corpi idrici

La delimitazione dei corpi idrici sotterranei deve assicurare che vengano raggiunti gli obiettivi di qualità ambientale di cui all’ articolo 76 del decreto n. 152 del 2006 ed una descrizione appropriata dello stato chimico e quantitativo delle acque sotterranee. Il Corpo Idrico sotterraneo è per definizione «un volume distinto di acque sotterranee contenuto da uno o più acquiferi». Deve essere individuato come quella massa di acqua caratterizzata da omogeneità nello stato ambientale (qualitativo e/o quantitativo), tale da permettere, attraverso l’interpretazione delle misure effettuate in un numero significativo di stazioni di campionamento, di valutarne lo stato e di individuare il trend. Può essere coincidente con l’acquifero che lo contiene, può esserne una parte, ovvero corrispondere a più acquiferi diversi o loro porzioni.
Le definizioni di acquifero e di corpo idrico sotterraneo permettono di identificare i corpi idrici sotterranei sia separatamente, all’interno di strati diversi che si sovrappongono su un piano verticale, sia come singolo corpo idrico che si estende tra i diversi strati. Un corpo idrico sotterraneo può essere all’interno di uno o più acquiferi, come, ad esempio, nel caso di due acquiferi adiacenti caratterizzati da pressioni simili e contenenti acque con
caratteristiche qualitative e quantitative analoghe.
I corpi idrici devono essere delimitati in modo da permettere una descrizione appropriata ed affidabile dello stato quantitativo e chimico delle acque sotterranee.
La valutazione dello stato quantitativo è facilitata se i corpi idrici sotterranei sono delimitati in modo tale che qualsiasi flusso di acqua sotterranea da un corpo idrico ad un altro è talmente piccolo da poter essere trascurato nei calcoli dei bilanci idrici oppure può essere stimato con sufficiente precisione.
Le Regioni devono tenere conto delle caratteristiche specifiche degli acquiferi quando procedono alla delimitazione dei corpi idrici sotterranei. Per esempio, le caratteristiche del flusso di alcuni strati geologici, quali il substrato carsico e fratturato, sono molto più difficili da prevedere rispetto ad altre. La delimitazione dei corpi idrici deve essere vista come un processo iterativo, da perfezionare nel corso del tempo, nella misura necessaria per valutare e gestire adeguatamente i rischi del non raggiungimento degli obiettivi ambientali.
Potrebbe anche presentarsi il caso di un flusso consistente tra strati con caratteristiche molto differenti (per esempio, i complessi carsici e l’arenaria). Le proprietà diverse di questi strati potrebbero richiedere approcci diversi di gestione per il raggiungimento degli obiettivi preposti. In questo caso, le Regioni possono delimitare i confini dei corpi idrici in modo che coincidano con i confini tra gli strati. Nel far ciò devono, comunque, assicurare una adeguata valutazione dello stato quantitativo.

A.4. Criteri per la delimitazione dei corpi idrici sotterranei

La delimitazione dei corpi idrici sotterranei si basa inizialmente su criteri di tipo fisico ed è successivamente perfezionata sulla base di informazioni concernenti lo stato di qualità ambientale.
Due sono, quindi, i criteri generali che si basano sui seguenti elementi:

a. confini idrogeologici;
b. differenze nello stato di qualità ambientale.

CRITERIO a)
Possono essere assunti come punto di partenza per la identificazione geografica dei corpi idrici i limiti geologici. Nei casi in cui la descrizione dello stato e/o il raggiungimento degli obiettivi ambientali richiedano una maggiore suddivisione ovvero non sia possibile identificare un limite geologico, si possono utilizzare, ad esempio, lo spartiacque  sotterraneo o le linee di flusso.

CRITERIO b)
Differenze nello stato di qualità ambientale: gli obiettivi di qualità dei corpi idrici sotterranei e le misure necessarie per raggiungerli dipendono dallo stato di qualità esistente. I corpi idrici sotterranei devono essere unità con uno stato chimico ed uno stato quantitativo ben definiti. Quindi, significative variazioni di stato di qualità all’interno di acque sotterranee devono essere prese in considerazione per individuare i confini dei corpi idrici, procedendo, ove necessario, ad una suddivisione in corpi idrici di dimensioni minori. Qualora le differenze nello stato di qualità si riducano durante un ciclo di pianificazione, si può  procedere alla riunificazione dei corpi idrici precedentemente identificati in vista dei successivi cicli di pianificazione. Laddove, invece, lo stato di qualità sia omogeneo possono essere delimitati estesi corpi idrici sotterranei. Detti confini possono essere ridefiniti ad ogni revisione del Piano di gestione dei Bacini Idrografici ma devono restare fissi per il periodo di durata di ciascun piano.
Qualora non siano disponibili informazioni sufficienti alla valutazione dello stato di qualità ambientale nelle fasi iniziali di attuazione del presente decreto, per individuare i confini dei corpi idrici sotterranei, si usano le analisi su pressioni ed impatti come indicatori dello stato di qualità.
Con il miglioramento delle conoscenze relative allo stato delle acque, i confini dei corpi idrici devono essere modificati prima della pubblicazione di ciascun Piano di gestione dei Bacini Idrografici, ogni 6 anni.
La suddivisione delle acque sotterranee in corpi idrici sotterranei è quindi una questione che le Regioni devono decidere sulla base delle caratteristiche particolari del loro territorio.
Nel prendere tali decisioni sarà necessario trovare un punto di equilibrio tra l’esigenza di descrivere adeguatamente lo stato delle acque sotterranee e la necessità di evitare una suddivisione degli acquiferi in un numero di corpi idrici impossibile da gestire.

A.5. Procedura suggerita per l’applicazione pratica del termine corpo idrico sotterraneo

La figura 2 suggerisce un procedimento iterativo e gerarchico per l’identificazione dei corpi idrici sotterranei, basato sui principi descritti nel presente Allegato.

Fig. 2 – Procedura suggerita per l’identificazione dei corpi idrici sotterranei Identificazione degli acquiferi

2. MODALITA’ PER LA CLASSIFICAZIONE DELLO STATO DI QUALITA’ DEI CORPI IDRICI

A – STATO DELLE ACQUE SUPERFICIALI

A.1. Elementi qualitativi per la classificazione dello stato ecologico

A.1.1 – Elementi qualitativi per la classificazione dello stato ecologico per fiumi, laghi, acque di transizione e acque marino-costiere.

A. 1. 2. Corpi idrici superficiali artificiali e corpi idrici fortemente modificati

Per i corpi idrici superficiali artificiali e fortemente modificati si utilizzano gli elementi di qualità applicabili a quella delle suesposte quattro categorie di acque superficiali naturali che più si accosta al corpo idrico artificiale o fortemente modificato in questione.

A.2. Definizioni normative per la classificazione dello stato ecologico

Tabella A.2. Definizione generale per fiumi, laghi, acque di transizione e acque costiere
Il testo seguente fornisce una definizione generale della qualità ecologica. Ai fini della classificazione i valori degli elementi di qualità dello stato ecologico per ciascuna categoria di acque superficiali sono quelli indicati nelle tabelle da A.2.1 a A.2.4 in appresso.

Il testo seguente fornisce una definizione generale della qualità ecologica. Ai fini della classificazione i valori degli elementi di qualità dello stato ecologico per ciascuna categoria di acque superficiali sono quelli indicati nelle tabelle da A.2.1 a A.2.4 in appresso.

 

Le acque aventi uno stato inferiore al moderato sono classificate come aventi stato scarso o cattivo. Le acque che presentano alterazioni considerevoli dei valori degli elementi di qualità biologica del tipo di corpo idrico superficiale e nelle quali le comunità biologiche interessate si discostano sostanzialmente da quelle di norma associate al tipo di corpo idrico  superficiale inalterato, sono classificate come aventi stato scarso. Le acque che presentano gravi alterazioni dei valori degli elementi di qualità biologica del tipo di corpo idrico superficiale e nelle quali mancano ampie porzioni di comunità biologiche interessate di norma associate al tipo di corpo idrico superficiale inalterato, sono classificate come aventi stato cattivo.

A.2.1. Definizioni dello stato ecologico elevato, buono e sufficiente dei fiumi

A.2.2. Definizioni dello stato ecologico elevato, buono e sufficiente dei laghi

A.2.3. Definizioni di stato ecologico elevato, buono e sufficiente nelle acque di transizione

A.2.4. Definizioni dello stato ecologico elevato, buono e sufficiente delle acque costiere

A.2.5. Definizioni del potenziale ecologico massimo, buono e sufficiente dei corpi idrici fortemente modificati o artificiali


A.2.6 Stato chimico

Al fine di raggiungere o mantenere il buono stato chimico, le Regioni applicano per le sostanze dell’elenco di priorità, selezionate come indicato ai punti A.3.2.5 e A.3.3.4 gli standard di qualità ambientali così come riportati per le diverse matrici nelle tabelle 1A, 2A, 3A, del presente Allegato.
Le sostanze dell’elenco di priorità sono: le sostanze prioritarie (P), le sostanze pericolose prioritarie (PP) e le rimanenti sostanze (E).
Tali standard rappresentano, pertanto, le concentrazioni che identificano il buono stato chimico. Ai fini della classificazione delle acque superficiali il monitoraggio chimico viene eseguito nella matrice acquosa.
Per le acque marino-costiere e di transizione, limitatamente alle sostanze di cui in tabella 2/A, la matrice su cui effettuare l’indagine è individuata sulla base dei criteri riportati al successivo punto A.2.6.1.
Analisi supplementari possono essere eseguite nel biota al fine di acquisire ulteriori elementi conoscitivi utili a determinare cause di degrado del corpo idrico e fenomeni di bioaccumulo. A tal proposito vengono definiti nella tabella 3/A standard di qualità per mercurio, esaclorobenzene ed esaclorobutadiene.

Tab. 1/A Standard di qualità nella colonna d’acqua per le sostanze dell’elenco di priorità

Note alla tabella 1/A:
1 – CAS: Chemical Abstracts Service.
2 – Questo parametro rappresenta lo SQA espresso come valore medio
annuo (SQA-MA). Se non altrimenti specificato, si applica alla concentrazione totale di tutti gli isomeri.
3 – Per acque superficiali interne si intendono i fiumi, i laghi e i corpi idrici artificiali o fortemente modificati.
4 – Questo parametro rappresenta lo standard di qualità ambientale espresso come concentrazione massima ammissibile (SQA-CMA). Quando compare la dicitura “non applicabile” riferita agli SQA-CMA, si ritiene che i valori SQA-MA tutelino dai picchi di inquinamento di breve termine, in scarichi continui, perchè sono sensibilmente
inferiori ai valori derivati in base alla tossicità acuta.
5 – Per il gruppo di sostanze prioritarie “difenileteri bromurati” (voce n. 5), lo SQA ambientale si riferisce alla somma delle concentrazioni dei congeneri numeri 28, 47, 99, 100, 153 e 154.
6 – Per il cadmio e composti (voce n. 6) i valori degli SQA variano in funzione della durezza dell’acqua classificata secondo le seguenti cinque categorie:
classe 1: < 40 mg CaCO³/l,
classe 2: da 40 a < 50 mg CaCO³/l,
classe 3: da 50 a < 100 mg CaCO³/l,
classe 4: da 100 < 200 mg CaCO³/l e
classe 5: ≥ 200 mg CaCO³/l.
7 – Questa sostanza non e’ prioritaria, ma e’ uno degli altri inquinanti in cui gli SQA sono identici a quelli fissati dalla normativa applicata prima del 13 gennaio 2009.
8 – Per questo gruppo di sostanze non e’ fornito alcun parametro indicativo. Il parametro o i parametri indicativi devono essere definiti con il metodo analitico.
9 – Il DDT totale comprende la somma degli isomeri 1,1,1-tricloro 2,2 bis (p-clorofenil)etano (numero CAS 50-29-3; numero UE 200-024-3), 1,1,1-tricloro-2 (o-clorofenil)-2-(p-clorofenil)etano
(numero CAS 789-02-6; numero UE 212-332-5), 1,1-dicloro-2,2 bis (p-clorofenil)etilene (numero CAS 72-55-9; numero UE 200-784-6) e 1,1-dicloro-2,2 bis (p-clorofenil)etano (numero CAS 72-54-8; numero UE 200-783-0).
10 – Per queste sostanze non sono disponibili informazioni sufficienti per fissare un SQA-CMA.
11 – Per il gruppo di sostanze prioritarie “idrocarburi policiclici aromatici” (IPA) (voce n. 28), lo SQA per il biota e il corrispondente SQA-AA in acqua si riferiscono alla concentrazione di benzo(a)pirene sulla cui tossicità sono basati. Il benzo(a)pirene può essere considerato marcatore degli altri IPA, di conseguenza
solo il benzo(a)pirene deve essere monitorato per raffronto con lo SQA per il biota o il corrispondente SQA-AA in acqua.
12 – Se non altrimenti indicato, lo SQA per il biota è riferito ai pesci. Si può monitorare un taxon del biota alternativo o un’altra matrice purchè lo SQA applicato garantisca un livello equivalente di
protezione. Per le sostanze numeri 15 (Fluorantene) e 28 (IPA), lo SQA per il biota si riferisce ai crostacei ed ai molluschi. Ai fini della valutazione dello stato chimico, il monitoraggio di Fluorantene
e di IPA nel pesce non e’ opportuno. Per la sostanza numero 37 (Diossine e composti diossina-simili), lo SQA per il biota si riferisce al pesce, ai crostacei ed ai molluschi. Fare riferimento al
punto 5.3 dell’allegato al regolamento (UE) n. 1259/2011 della Commissione del 2 dicembre 2011, che modifica il regolamento (CE) n. 1881/2006 per quanto riguarda i tenori massimi per le diossine, i PCB
diossina-simili e per i PCB non diossina-simili nei prodotti alimentari (Gazzetta Ufficiale n. L 320 del 3 dicembre 2011).
13 – Questi SQA si riferiscono alle concentrazioni biodisponibili delle sostanze.
14 – PCDD: dibenzo-p-diossine policlorurate; PCDF: dibenzofurani policlorurati; PCB-DL: bifenili policlorurati diossina-simili; TEQ:
equivalenti di tossicita’ conformemente ai fattori di tossicita’
equivalente del 2005 dell’Organizzazione mondiale della sanita’.
15 – Le sostanze contraddistinte dalla lettera P e PP sono, rispettivamente, le sostanze prioritarie e quelle pericolose prioritarie individuate ai sensi della direttiva 2008/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, modificata dalla direttiva 2013/39/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 agosto 2013. Le sostanze contraddistinte dalla lettera E sono le sostanze incluse nell’elenco di priorita’ individuate dalle “direttive figlie” della direttiva 76/464/CE.


A.2.6.1 Paragrafo soppresso dal D.LGS. 13 OTTOBRE 2015, N. 172


A.2.7. Standard di qualità ambientale nella colonna d’acqua per alcune delle sostanze non appartenenti all’elenco di priorità

Nella tabella 1/B sono definiti standard di qualità ambientale per alcune delle sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 del presente decreto legislativo. La selezione delle sostanze da monitorare è riportata ai punti A.3.2.5 e A.3.3.4 del presente Allegato.

Tab. 1/B

Note alla tabella 1/B
(1) Standard di qualità ambientale espresso come valore medio annuo (SQA-MA).
(2) Per acque superficiali interne si intendono i fiumi, i laghi e i corpi idrici artificiali o fortemente modificati.
(3) Per altre acque di superficie si intendono le acque marino-costiere e le acque di transizione.
(4) Cloronitrotolueni: lo standard è riferito al singolo isomero.
(5) Xileni: lo standard di qualità si riferisce ad ogni singolo isomero (orto-, meta- e para-xilene).
(6) Per tutti i singoli pesticidi (inclusi i metaboliti) non presenti in questa tabella si applica il valore cautelativo di 0,1 μg/l. Tale valore, per le singole sostanze, potrà essere modificato sulla base di studi di letteratura scientifica nazionale e internazionale che ne giustifichino una variazione.
(7) Per i pesticidi totali (la somma di tutti i singoli pesticidi individuati e quantificati nella procedura di
monitoraggio compresi i metaboliti ed i prodotti di degradazione) si applica il valore di 1 μg/l, fatta eccezione per le risorse idriche destinate ad uso potabile, per le quali si applica il valore di 0,5 μg/l.
(8) Per le sostanze perfluorurate 50, 51, 52, 53, 54 sono applicati i relativi SQA con effetto dal 22 dicembre 2018, al fine di concorrere al conseguimento di un buono stato ecologico entro il 22 dicembre 2027 ed impedire il deterioramento dello stato ecologico relativamente a tali sostanze. Le Autorità di bacino, le regioni e le province autonome elaborano, a tal fine, entro il 22 dicembre 2018, un programma di monitoraggio supplementare e un programma preliminare di misure relative a tali sostanze e li trasmettono al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ed al SINTAI per il successivo inoltro alla Commissione europea. Le Autorità di bacino, le regioni e le province autonome elaborano, entro il 22 dicembre 2021, un programma di misure definitivo, ai sensi dell’articolo 116, che è attuato e reso operativo entro e non oltre il 22 dicembre 2024. Qualora, invece, gli esiti di monitoraggi pregressi, anche condotti a scopo di studio, abbiano già evidenziato la presenza di tali sostanze in concentrazioni superiori agli SQA di cui alla tabella 1/B, le Autorità di bacino, le regioni e le province autonome elaborano e riportano nei piani di gestione, entro il 22 dicembre 2015, i programmi di monitoraggio ed un programma preliminare di misure relative a tali sostanze, immediatamente operativi.


Per le risorse idriche destinate ad uso potabile sono anche controllate le sostanze di seguito riportate con i relativi standard di qualità ambientale riportati in tab. 2/B. Per tali risorse idriche, inoltre, si applicano gli standard di qualità fissati dal decreto legislativo 2 febbraio 2008, 31 nei casi in cui essi risultino più restrittivi dei valori individuati nelle tabelle 1/A e 1/B.

Tab 2/B

(1) E’ da soddisfare la condizione: (nitrato)/50+(nitrito)/0,5(0.1) ≤ 1 ove le parentesi esprimono la concentrazione in mg/l per il nitrato e il nitrito e il valore di 0,1 mg/l per i nitriti sia rispettato nelle acque provenienti da impianti di trattamento.


A.2.7.1 Standard di qualità ambientale per altre sostanze, non appartenenti all’elenco di priorità, nei sedimenti per i corpi idrici marino-costieri e di transizione

Nella tabella 3/B sono riportati standard di qualità ambientale per la matrice sedimenti per alcune delle sostanze diverse da quelle dell’elenco di priorità, appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 del presente decreto legislativo. In quest’ultimo caso il monitoraggio è effettuato almeno 1 volta nell’arco di un anno. Se sono effettuati ulteriori campionamenti nel corso dell’anno la conformità viene valutata sulla media dei campionamenti effettuati.
Per le sostanze PCB, Diossine, Ipa Totali e cromo esavalente resta comunque l’obbligo del controllo nei sedimenti in considerazione del fatto che per dette sostanze non è stato individuato lo standard nella colonna d’acqua.

Tab. 3/B

Note alla tabella 3/B (1) Standard di qualità ambientale espresso come valore medio annuo (SQA-MA). (2) In considerazione della complessità della matrice sedimento è ammesso, ai fini della classificazione del buono stato ecologico uno scostamento pari al 20% del valore riportato in tabella. (3) La somma è riferita ai seguenti IPA: (Naftalene, acenaftene, Acenaftilene, Fenantrene, Fluorantene, Benz(a) antracene, Crisene, Benz(b) fluorantene, Benzo(k) fluorantene, Benz(a)pirene, dibenzo(a,h)antracene, antracene, pirene, benzo(g,h,i) perilene, Indeno(1,2,3)c,d pirene, fluorene). (4) PCB diossina simili: PCB 77, PCB 81, PCB 118, PCB 126, PCB 156, PCB 169, PCB 189, PCB 105, PCB 114, PCB 123, PCB 157, PCB 167. (5) PCB totali, lo standard è riferito alla sommatoria dei seguenti congeneri: PCB 28, PCB 52, PCB 77, PCB 81, PCB 101, PCB 118, PCB 126, PCB 128, PCB 138, PCB 153, PCB 156, PCB 169, PCB 180.
Elenco congeneri e relativi Fattori di Tossicità Equivalenti (EPA, 1989) e elenco congeneri PCB Diossina simili (WHO, 2005).
vedi precedente didascalia

A.2.8. Applicazione degli standard di qualità ambientale per la valutazione dello stato chimico ed ecologico

1 SQA-MA (standard di qualità ambientale-media annua): rappresenta, ai fini della classificazione del buono stato chimico ed ecologico, la concentrazione da rispettare. Il valore viene calcolato sulla base della media aritmetica delle concentrazioni rilevate nei diversi mesi dell’anno.

2 SQA-CMA (standard di qualità ambientale-massima concentrazione ammissibile): rappresenta la concentrazione da non superare mai in ciascun sito di monitoraggio.

3 Per quanto riguarda le acque territoriali si effettua solo la valutazione dello stato chimico. Pertanto le sostanze riportate in tabella 1/A sono monitorate qualora vengano scaricate e/o rilasciate e/o immesse in queste acque a seguito di attività antropiche (ad es. piattaforme offshore) o a seguito di sversamenti causati da incidenti.

4 Gli standard di qualità ambientale (SQA) nella colonna d’acqua sono espressi sotto forma di concentrazioni totali nell’intero campione d’acqua. Per i metalli invece l’SQA si riferisce alla concentrazione disciolta, cioè alla fase disciolta di un campione di acqua ottenuto per filtrazione con un filtro da 0,45 μm o altro pretrattamento equivalente.

5 Nel caso delle acque interne superficiali le Autorità Competenti nel valutare i risultati del
monitoraggio possono tener conto dei seguenti fattori: pH, durezza e altri parametri chimico-fisici che incidono sulla biodisponibilità dei metalli.

6 Nei sedimenti ricadenti in Regioni geochimiche che presentano livelli di fondo naturali, dimostrati scientificamente, dei metalli superiori agli SQA di cui alle tabelle 2/A e 3/B, questi ultimi sono sostituiti dalle concentrazioni del fondo naturale. Le evidenze della presenza di livello di fondo naturali per determinati inquinanti inorganici sono riportate nei piani di gestione e di tutela delle acque.

7 Nelle acque in cui è dimostrata scientificamente la presenza di metalli in concentrazioni di fondo naturali superiori ai limiti fissati nelle tabelle 1/A e 1/B, tali livelli di fondo costituiscono gli standard da rispettare. Le evidenze della presenza di livello di fondo naturali per determinati inquinanti inorganici sono riportate nei piani di gestione e di tutela delle acque.

8 Il limite di rivelabilità è definito come la più bassa concentrazione di un analita nel campione di prova che può essere distinta in modo statisticamente significativo dallo zero o dal bianco. Il limite di rivelabilità è numericamente uguale alla somma di 3 volte lo scarto tipo del segnale ottenuto dal bianco (concentrazione media calcolata su un numero di misure di bianchi indipendenti > 10) del segnale del bianco).

9 Il limite di quantificazione è definito come la più bassa concentrazione di un analita che può essere determinato in modo quantitativo con una determinata incertezza. Il limite di quantificazione è definito come 3 volte il limite di rivelabilità.

10 Incertezza di misura: è il parametro associato al risultato di una misura che caratterizza la dispersione dei valori che possono essere attribuiti al parametro.

11 Il risultato è sempre espresso indicando lo stesso numero di decimali usato nella formulazione dello standard.

12 I criteri minimi di prestazione per tutti i metodi di analisi applicati sono basati su un’incertezza di misura del 50% o inferiore (k=2) stimata ad un livello pari al valore degli standard di qualità ambientali e su di un limite di quantificazione uguale o inferiore al 30% dello standard di qualità ambientale.

13 Ai fini dell’elaborazione della media per gli SQA, nell’eventualità che un risultato analitico sia inferiore al limite di quantificazione della metodica analitica utilizzata viene utilizzato il 50% del valore del limite di quantificazione.

14 Il punto 13 non si applica alle sommatorie di sostanze, inclusi i loro metaboliti e prodotti di reazione o degradazione. In questi casi i risultati inferiori al limite di quantificazione delle singole sostanze sono considerati zero.

15 Nel caso in cui il 90% dei risultati analitici siano sotto il limite di quantificazione non è effettuata la media dei valori; il risultato è riportato come “minore del limite di quantificazione”.

16 I metodi analitici da utilizzare per la determinazione dei vari analiti previsti nelle tabelle del presente Allegato fanno riferimento alle migliori tecniche disponibili a costi sostenibili. Tali metodi sono tratti da raccolte di metodi standardizzati pubblicati a livello nazionale o a livello internazionale e validati in accordo con la norma UNI/ ISO/ EN 17025.

17 Per le sostanze inquinanti per cui allo stato attuale non esistono metodiche analitiche standardizzate a livello nazionale e internazionale, si applicano le migliori tecniche disponibili a costi sostenibili. I metodi utilizzati, basati su queste tecniche, presentano prestazioni minime pari a quelle elencate nel punto 12 validati in accordo con la norma UNI/ ISO/EN 17025.

18 I risultati delle attività di monitoraggio pregresse, per le sostanze inquinanti di cui al punto 17, sono utilizzati a titolo conoscitivo in attesa della definizione di protocolli analitici, che saranno resi disponibili da CNR-IRSA, ISPRA e ISS. Fino all’adeguamento di tali metodi, lo standard si identifica con il limite di quantificazione dei metodi utilizzati che rispondono ai riportati al punto 17.


A.3. Monitoraggio dello stato ecologico e chimico delle acque superficiali

A.3.1. Parte generale

A.3.1.1. Tipi di monitoraggio

Il monitoraggio si articola in
1. sorveglianza
2. operativo
3. indagine

Le Regioni sentite le Autorità di bacino nell’ambito del proprio territorio definiscono un programma di monitoraggio di sorveglianza e un programma di monitoraggio operativo.
I programmi di monitoraggio hanno valenza sessennale al fine di contribuire alla predisposizione dei piani di gestione e dei piani di tutela delle acque. Il primo periodo sessennale è 2010-2015. Il programma di monitoraggio operativo può essere comunque modificato sulla base delle informazioni ottenute dalla caratterizzazione di cui all’Allegato 3 del presente decreto legislativo. Resta fermo che il primo monitoraggio di sorveglianza e quello operativo sono effettuati nel periodo 2008-2009. I risultati dei monitoraggi sono utilizzati per la stesura dei piani di gestione, da predisporre conformemente alle
specifiche disposizioni della Direttiva 2000/60/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2000 e anche sulla base dei Piani di tutela regionali, adeguati alla normativa vigente.
In taluni casi può essere necessario istituire anche programmi di monitoraggio d’indagine. I programmi di monitoraggio per le aree protette di cui all’articolo 117 e all’Allegato 9 alla parte terza del presente decreto legislativo, definiti ai sensi del presente Allegato, si integrano con quelli già in essere in attuazione delle relative direttive.
Le Regioni forniscono una o più mappe indicanti la rete di monitoraggio di sorveglianza e operativa. Le mappe con le reti di monitoraggio sono parte integrante del piano di gestione e del piano di tutela delle acque.
La scelta del programma di monitoraggio, che comprende anche l’individuazione dei siti, si basa sulla valutazione del rischio di cui all’Allegato 3, punto 1.1, sezione C del presente decreto legislativo; è soggetta a modifiche e aggiornamenti, al fine di tenere conto delle variazioni dello stato dei corpi idrici.
Rimangono, invece, fissi i siti della rete nucleo di cui al punto A.3.2.4 del presente Allegato che sono sottoposti a un monitoraggio di sorveglianza con le modalità di cui al medesimo punto A.3.2.4.

A.3.1.2. Obiettivi del monitoraggio

L’obiettivo del monitoraggio è quello di stabilire un quadro generale coerente ed esauriente dello stato ecologico e chimico delle acque all’interno di ciascun bacino idrografico ivi comprese le acque marino costiere assegnate al distretto idrografico in cui ricade il medesimo bacino idrografico e permettere la classificazione di tutti i corpi idrici superficiali, “individuati” ai sensi dell’Allegato 3, punto 1.1, sezione B del presente decreto legislativo, in cinque classi.
Le autorità competenti nel definire i programmi di monitoraggio assicurano all’interno di ciascun bacino idrografico:

  • la scelta dei corpi idrici da sottoporre al monitoraggio di sorveglianza e/o operativo in relazione alle diverse finalità dei due tipi di controllo;
  • l’individuazione di siti di monitoraggio in numero sufficiente ed in posizione adeguata per la valutazione dello stato ecologico e chimico, tenendo conto ai fini dello stato ecologico delle indicazioni minime riportate nei protocolli di campionamento.
    In particolari corpi idrici per alcuni elementi di qualità con grande variabilità naturale o a causa di pressioni antropiche, può essere necessario un monitoraggio più intensivo (per numero di siti e frequenze di campionamento) al fine di ottenere livelli alti o comunque sufficienti di attendibilità e precisione nella valutazione dello stato di un corpo idrico.

Per la categoria “Acque di Transizione”, per il primo anno dall’avvio del monitoraggio, è consentito di procedere in deroga rispetto a quanto previsto nel protocollo ICRAM, relativamente all’individuazione degli habitat da monitorare ed al conseguente posizionamento dei siti di misura.
In questo caso, nel primo anno il monitoraggio è comunque condotto in conformità alle disposizioni del presente decreto legislativo e volto a raccogliere gli elementi conoscitivi necessari all’individuazione degli habitat per l’adeguamento dei piani di monitoraggio negli anni successivi .

A.3.1.3. Progettazione del monitoraggio e valutazione del rischio

Sulla base di quanto disposto nell’Allegato 3 al presente decreto legislativo nella sezione relativa alle pressioni e agli impatti (punto 1.1 sezione C), i corpi idrici sono assegnati ad una delle categorie di rischio ivi elencate.

Tab. 3.1. Categorie del rischio

Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato nei corpi idrici rappresentativi per ciascun bacino idrografico, e fondamentalmente appartenenti alle categorie “b” e “c” salvo le eccezioni di siti in corpi idrici a rischio importanti per la valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica o particolarmente significativi su scala di bacino o laddove le Regioni ritengano opportuno effettuarlo, sulla base delle peculiarita’ del proprio territorio.

La priorità dell’attuazione del monitoraggio di sorveglianza è rivolta a quelli di categoria “b” al fine di stabilire l’effettiva condizione di rischio. Il monitoraggio operativo è, invece, programmato per tutti i corpi idrici a rischio rientranti nella categoria “a”.
Come riportato nella sezione C del punto 1.1 dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo, tra i corpi idrici a rischio possono essere inclusi anche corpi idrici che, a causa dell’importanza delle pressioni in essi incidenti, sono a rischio per il mantenimento dell’obiettivo buono.

A.3.2. Progettazione del monitoraggio di sorveglianza

A.3.2.1. Obiettivi

Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato per:

  • integrare e convalidare i risultati dell’analisi dell’impatto di cui alla sezione C del punto 1.1 dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo;
  • la progettazione efficace ed effettiva dei futuri programmi di monitoraggio;
  • la valutazione delle variazioni a lungo termine di origine naturale (rete nucleo);
  • la valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica (rete nucleo);
  • tenere sotto osservazione l’evoluzione dello stato ecologico dei siti di riferimento;
  • classificare i corpi idrici.

I risultati di tale monitoraggio sono riesaminati e utilizzati, insieme ai risultati dell’analisi dell’impatto di cui all’Allegato 3 del presente decreto legislativo, per stabilire i programmi di monitoraggio successivi.

Il monitoraggio di sorveglianza è effettuato per almeno un anno ogni sei anni (arco temporale di validità di un piano di gestione).

A.3.2.2. Selezione dei corpi idrici e dei siti di monitoraggio

Il monitoraggio di sorveglianza è realizzato su un numero sufficiente e, comunque, rappresentativo di corpi idrici al fine di fornire una valutazione dello stato complessivo di tutte le acque superficiali di ciascun bacino e sotto-bacino idrografico compreso nel distretto idrografico.
Nel selezionare i corpi idrici rappresentativi, le Autorità competenti, assicurano che il monitoraggio sia effettuato in modo da rispettare gli obiettivi specificati al punto A.3.2.1 del presente Allegato comprendendo anche i seguenti siti:

  • nei quali la proporzione del flusso idrico è significativa nell’ambito dell’intero bacino idrografico;
  • a chiusura di bacino e dei principali sottobacini;
  • nei quali il volume d’acqua presente è significativo nell’ambito del bacino idrografico, compresi i grandi laghi e laghi artificiali;
  • in corpi idrici significativi che attraversano la frontiera italiana con altri Stati membri;
  • identificati nel quadro della decisione 77/795/CEE sullo scambio di informazioni;
  • necessari per valutare la quantità d’inquinanti trasferiti attraverso le frontiere italiane con altri Stati membri e nell’ambiente marino;
  • identificati per la definizione delle condizioni di riferimento;
  • di interesse locale.

A.3.2.3. Monitoraggio e validazione dell’analisi di rischio

Qualora la valutazione del rischio, effettuata sulla base dell’attività conoscitiva pregressa, abbia una bassa attendibilità (es. per insufficienza dei dati di monitoraggio pregressi, mancanza di dati esaustivi sulle pressioni esistenti e dei relativi impatti), il primo monitoraggio di sorveglianza può essere esteso ad un maggior numero di siti e corpi idrici, rispetto a quelli necessari nei successivi programmi di sorveglianza.
Contestualmente, al fine di completare il processo dell’analisi puntuale delle pressioni e degli impatti, viene effettuata, secondo le modalità riportate nell’Allegato 3, punto 1.1 , sezione C del presente decreto legislativo, un’indagine integrativa dettagliata delle attività antropiche insistenti sul corpo idrico ed un’analisi della loro incidenza sulla qualità dello stesso per ottenere le informazioni necessarie per l’assegnazione definitiva della classe di rischio.
I corpi idrici che a seguito della suddetta attività vengono identificati come a rischio sono inseriti nell’elenco dei corpi idrici già identificati come a rischio e come tali assoggettati al programma di monitoraggio operativo.

A.3.2.4. Valutazione delle variazioni a lungo termine in condizioni naturali o risultanti da una diffusa attività antropica: definizione della rete nucleo

Il monitoraggio di sorveglianza è finalizzato altresì a fornire valutazioni delle variazioni a lungo termine dovute sia a fenomeni naturali sia a una diffusa attività antropica.
Per rispondere agli obiettivi, di cui al punto A.3.2.1 del presente Allegato, di valutare le variazioni sia naturali sia antropogeniche a lungo termine, è selezionato un sottoinsieme di punti fissi denominato rete nucleo.
Per le variazioni a lungo termine di origine naturale sono considerati, ove esistenti, i corpi idrici identificati come siti di riferimento di cui al punto 1.1.1 dell’Allegato 3 al presente decreto legislativo, in numero sufficiente per lo studio delle variazioni a lungo termine per ciascun bacino idrografico, tenendo conto dei diversi tipi di corpo idrico presenti. Qualora, per determinati tipi ed elementi biologici relativi non esistano siti di riferimento o non siano in numero sufficiente per una corretta analisi a lungo termine, si considerano in sostituzione siti in stato buono.
La valutazione delle variazioni a lungo termine risultanti da una diffusa attività di origine antropica richiede la scelta di corpi idrici e, nel loro ambito, di siti rappresentativi di tale attività per la determinazione o la conferma dell’impatto.
Il monitoraggio di sorveglianza nei siti della rete nucleo ha un ciclo più breve e più precisamente triennale con frequenze di campionamento di cui alle tabelle 3.6 e 3.7 del presente Allegato.
I primi risultati del monitoraggio di sorveglianza effettuato nella rete nucleo costituiscono il livello di riferimento per la verifica delle variazioni nel tempo. Rispetto a tale livello di riferimento sono valutati la graduale riduzione dell’inquinamento da parte di sostanze dell’elenco di priorità (indicate al punto A.2.6) e delle altre sostanze inquinanti di cui all’Allegato 8 del presente decreto legislativo, nonché i risultati dell’arresto e della graduale eliminazione delle emissioni e perdite delle sostanze pericolose prioritarie.

A.3.2.5. Selezione degli elementi di qualità

Nel monitoraggio di sorveglianza per la valutazione e classificazione dello stato ecologico sono monitorati, almeno per un periodo di un anno, i parametri indicativi di tutti gli elementi di qualità biologici idromorfologici, fisico-chimici di cui al punto A.1 del presente Allegato (fatto salve le eccezioni previste al punto A.3.5) e le altre sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 del presente decreto legislativo. In riferimento a queste ultime il monitoraggio è obbligatorio qualora siano scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o sottobacino. Per quantità significativa si intende la quantità di sostanza inquinante che potrebbe compromettere il raggiungimento di uno degli obiettivi di cui all’articolo 77 e seguenti del presente decreto legislativo; ad esempio uno scarico si considera significativo qualora abbia impattato  un’area protetta o ha causato superamenti di qualsiasi standard di cui al punto A.2.7 del presente Allegato o ha causato effetti tossici sull’ecosistema.
La selezione delle sostanze chimiche da controllare nell’ambito del monitoraggio di sorveglianza si basa sulle conoscenze acquisite attraverso l’analisi delle pressioni e degli impatti. Inoltre la selezione è guidata anche da informazioni sullo stato ecologico laddove risultino effetti tossici o evidenze di effetti ecotossicologici. Quest’ultima ipotesi consente di identificare quelle situazioni in cui vengono introdotti nell’ambiente prodotti chimici non evidenziati dall’analisi degli impatti e per i quali è pertanto necessario un monitoraggio d’indagine. Anche i dati di monitoraggio pregressi costituiscono un supporto per la selezione delle sostanze chimiche da monitorare.
Per quanto riguarda invece la valutazione e classificazione dello stato chimico sono da monitorare le sostanze dell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente Allegato per le quali a seguito di un’analisi delle pressioni e degli impatti, effettuata per ciascuna singola sostanza dell’elenco di priorità, risultano attività che ne comportano scarichi, emissioni, rilasci e perdite nel bacino idrografico o sottobacino.
Nell’analisi delle attività antropiche che possono provocare la presenza nelle acque di sostanze dell’elenco di priorità, è necessario tener conto non solo delle attività in essere ma anche di quelle pregresse. La selezione delle sostanze chimiche è supportata da documentazione tecnica relativa all’analisi delle pressioni e degli impatti, che costituisce parte integrante del programma di monitoraggio da inserire nei piani di gestione e nei piani di tutela delle acque. Qualora non vi siano informazioni sufficienti per effettuare una valida e chiara selezione delle sostanze dell’elenco di priorità, a fini precauzionali e di indagine, sono da monitorare tutte le sostanze di cui non si possa escludere a priori la
presenza nel bacino o sottobacino.

A.3.2.6. Monitoraggio di sorveglianza stratificato

Nel monitoraggio di sorveglianza non sono da monitorare necessariamente nello stesso anno tutti i corpi idrici selezionati. Il programma di sorveglianza può, pertanto, prevedere che i corpi idrici siano monitorati anche in anni diversi, con un intervallo temporale preferibilmente non superiore a 3 anni, nell’arco del periodo di validità del piano di gestione e del piano di tutela delle acque. In tal caso, nei diversi anni è consentito un monitoraggio stratificato effettuando il controllo a sottoinsiemi di corpi idrici, identificati sulla base di criteri geografici (ad esempio corpi idrici di un intero bacino o sottobacino). Comunque, tutti i corpi idrici inclusi nel programma di sorveglianza sono da monitorare in tempo utile, per consentire la verifica dell’obiettivo ambientale e la predisposizione del nuovo Piano
di gestione. Il monitoraggio stratificato può essere applicato a decorrere dal 2010.

A.3.3. Monitoraggio operativo delle acque superficiali

A.3.3.1. Obiettivi
Il monitoraggio operativo è realizzato per:

  • stabilire lo stato dei corpi idrici identificati “a rischio” di non soddisfare gli obiettivi ambientali dell’articolo 77 e seguenti del presente decreto legislativo;
  • valutare qualsiasi variazione dello stato di tali corpi idrici risultante dai programmi di misure;
  • classificare i corpi idrici

A.3.3.2. Selezione dei corpi idrici

Il monitoraggio operativo è effettuato per tutti i corpi idrici:

  • che sono stati classificati a rischio di non raggiungere gli obiettivi ambientali sulla base dell’analisi delle pressioni e degli impatti e/o dei risultati del monitoraggio di sorveglianza e/o da precedenti campagne di monitoraggio;
  • nei quali sono scaricate e/o immesse e/o rilasciate e/o presenti le sostanze riportate nell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente Allegato.

Ove tecnicamente possibile è consentito raggruppare corpi idrici secondo i criteri riportati al punto A.3.3.5 del presente Allegato e limitare il monitoraggio solo a quelli rappresentativi.

A.3.3.3. Selezione dei siti di monitoraggio

I siti di monitoraggio sono selezionati come segue:

  • per i corpi idrici soggetti a un rischio di pressioni significative da parte di una fonte d’inquinamento puntuale, i punti di monitoraggio sono stabiliti in numero sufficiente per poter valutare l’ampiezza e l’impatto delle pressioni della fonte d’inquinamento. Se il corpo è esposto a varie pressioni da fonte puntuale, i punti di monitoraggio possono essere identificati con la finalità di valutare l’ampiezza dell’impatto dell’insieme delle pressioni;
  • per i corpi soggetti a un rischio di pressioni significative da parte di una fonte diffusa, nell’ambito di una selezione di corpi idrici, si situano punti di monitoraggio in numero sufficiente e posizione adeguata a valutare ampiezza e impatto delle pressioni della fonte diffusa. La selezione dei corpi idrici deve essere effettuata in modo che essi siano rappresentativi dei rischi relativi alle pressioni della fonte diffusa e dei relativi rischi di non raggiungere un buono stato delle acque superficiali;
  • per i corpi idrici esposti a un rischio di pressione idromorfologica significativa vengono individuati, nell’ambito di una selezione di corpi, punti di monitoraggio in numero sufficiente ed in posizione adeguata, per valutare ampiezza e impatto delle pressioni idromorfologiche. I corpi idrici selezionati devono essere rappresentativi dell’impatto globale della pressione idromorfologica a cui sono esposti tutti i corpi idrici.

Nel caso in cui il corpo idrico sia soggetto a diverse pressioni significative è necessario distinguerle al fine di individuare le misure idonee per ciascuna di esse. Conseguentemente si considerano differenti siti di monitoraggio e diversi elementi di qualità. Qualora non sia possibile determinare l’impatto di ciascuna pressione viene considerato l’impatto complessivo.

A.3.3.4. Selezione degli elementi di qualità

Per i programmi di monitoraggio operativo devono essere selezionati i parametri indicativi degli elementi di qualità biologica, idromorfologica e chimico-fisica più sensibili alla pressione o pressioni significative alle quali i corpi idrici sono soggetti.
Nelle seguenti tabelle 3.2, 3.3, 3.4 e 3.5 vengono riportati, a titolo indicativo, gli elementi di qualità più idonei per specifiche pressioni per fiumi, laghi, acque di transizione e acque marino-costiere. Quando più di un elemento è sensibile a una pressione, si scelgono, sulla base del giudizio esperto dell’autorità competente, gli elementi più sensibili per la categoria di acque interessata o quelli per i quali si disponga dei sistemi di classificazione più affidabili.
Tra le sostanze chimiche quelle da monitorare sono da individuare, come nel monitoraggio di sorveglianza, sulla base dell’analisi delle pressioni e degli impatti. Le sostanze dell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente Allegato sono monitorate qualora vengano scaricate, immesse o vi siano perdite nel corpo idrico indagato. Le altre sostanze riportate all’Allegato 8 del presente decreto legislativo sono monitorate qualora tali scarichi, immissioni o perdite nel corpo idrico siano in quantità significativa da poter essere un rischio per il raggiungimento o mantenimento degli obiettivi di cui all’articolo 77 e seguenti del presente decreto legislativo.

Tab. 3.2. Elementi di qualità più sensibili alle pressioni che incidono sui fiumi

Tab. 3.3. Elementi di qualità più sensibili alle pressioni che incidono sui laghi

Tab. 3.4. Elementi di qualità sensibili alle pressioni che incidono sulle acque di transizione

Tab. 3.5. Elementi di qualità sensibili alle pressioni che incidono sulle acque marino-costiere

A.3.3.5. Raggruppamento dei corpi idrici

Al fine di conseguire il miglior rapporto tra costi del monitoraggio ed informazioni utili alla tutela delle acque ottenute dallo stesso, è consentito il raggruppamento dei corpi idrici e tra questi sottoporre a monitoraggio operativo solo quelli rappresentativi, nel rispetto di quanto riportato al presente paragrafo.
Il raggruppamento può essere applicato qualora l’Autorità competente al monitoraggio sia in possesso delle informazioni necessarie per effettuare le decisioni di gestione su tutti i corpi idrici del gruppo. In ogni caso, è necessario che il raggruppamento risulti  tecnicamente e scientificamente giustificabile e le motivazioni dello stesso siano riportate nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque assieme al protocollo di monitoraggio ed è comunque escluso nel caso di pressioni puntuali significative.
Il raggruppamento dei corpi idrici individuati è altresì applicabile solo nel caso in cui per gli stessi esistano tutte le seguenti condizioni:
a) appartengono alla stessa categoria ed allo stesso tipo;
b) sono soggetti a pressioni analoghe per tipo, estensione e incidenza;
c) presentano sensibilità paragonabile alle suddette pressioni;
d) presentano i medesimi obiettivi di qualità da raggiungere;
e) appartengono alla stessa categoria di rischio.

Qualora si faccia ricorso al raggruppamento è possibile monitorare, di volta in volta, i diversi corpi idrici appartenenti allo stesso gruppo allo scopo di avere una migliore rappresentatività dell’intero raggruppamento.
La classe di qualità risultante dai dati di monitoraggio effettuato sul/i corpo/i idrico/i rappresentativi del raggruppamento, si applica a tutti gli altri corpi idrici appartenenti allo stesso gruppo.
Per le caratteristiche fisiografiche delle acque lacustri italiane si ritiene non appropriata l’applicazione del raggruppamento per il monitoraggio di questa categoria di corpi idrici.

A.3.4. Ulteriori indicazioni per la selezione dei siti di monitoraggio

All’interno di un corpo idrico selezionato per il monitoraggio, sono individuati uno o più siti di monitoraggio. Per sito si intende una stazione di monitoraggio, individuata da due coordinate geografiche, rappresentativa di un’area del corpo idrico. Qualora non sia possibile monitorare nel sito individuato tutti gli elementi di qualità, si individuano sotto-siti, all’interno della stessa area, i cui dati di monitoraggio si integrano con quelli rilevati nel sito principale.
In tal caso i sotto-siti sono posizionati in modo da controllare la medesima ampiezza e il medesimo insieme di pressioni.
Nella rappresentazione cartografica va riportato unicamente il sito principale.
In merito al monitoraggio biologico è opportuno individuare e selezionare l’habitat dominante che sostiene l’elemento di qualità più sensibile alla pressione.
Nel determinare gli habitat da monitorare si tiene conto anche di quanto riportato, sull’argomento, nei singoli protocolli di campionamento.
I siti sono localizzati ad una distanza dagli scarichi tale da risultare esterne all’area di rimescolamento delle acque (di scarico e del corpo recettore) in modo da valutare la qualità del corpo idrico recettore e non quella degli apporti. A tal fine può essere necessario effettuare misure di variabili chimico-fisiche (quali temperatura e conducibilità) onde dimostrare l’avvenuto rimescolamento.
In base alla scala ed alla grandezza della pressione, la Regione identifica l’ubicazione e la distribuzione dei siti di campionamento.
Nei casi in cui il corpo idrico è soggetto a una o più pressioni che causano il rischio del non
raggiungimento degli obiettivi, i siti sono ubicati all’interno della zona d’impatto, conosciuta o prevista, per monitorare che gli obiettivi vengano raggiunti e che le misure di contenimento stabilite siano adatte alle pressioni esistenti.

A.3.5 Frequenze

Il monitoraggio di sorveglianza è effettuato, per almeno 1 anno ogni sei anni (periodo di validità di un piano di gestione del bacino idrografico), salvo l’eccezione della rete nucleo che è controllata ogni tre anni. Il ciclo del monitoraggio operativo varia invece in funzione degli elementi di qualità presi in considerazione così come indicato nelle note delle seguenti tabelle 3.6 e 3.7.
Nelle suddette tabelle sono riportate le frequenze di campionamento nell’anno di monitoraggio di sorveglianza e operativo, per fiumi e laghi e per acque di transizione e marino-costiere. Nell’ambito del monitoraggio operativo è possibile ridurre le frequenze di campionamento solo se giustificabili sulla base di conoscenze tecniche e indagini di esperti. Queste ultime, riportate in apposite relazioni tecniche, sono inserite nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque.
Nella progettazione dei programmi di monitoraggio si tiene conto della variabilità temporale e spaziale degli elementi di qualità biologici e dei relativi parametri indicativi. Quelli molto variabili possono richiedere una frequenza di campionamento maggiore rispetto a quella riportata nelle tabelle 3.6 e 3.7.
Può essere inoltre previsto anche un programma di campionamento mirato per raccogliere dati in un limitato ma ben definito periodo durante il quale si ha una maggiore variabilità.
Nel caso di sostanze che possono avere un andamento stagionale come ad esempio i prodotti fitosanitari e i fertilizzanti, le frequenze di campionamento possono essere intensificate in corrispondenza dei periodi di massimo utilizzo.
L’Autorità competente, per ulteriori situazioni locali specifiche, può prevedere per ciascuno degli elementi di qualità da monitorare frequenze più ravvicinate al fine di ottenere una precisione sufficiente nella validazione delle valutazioni dell’analisi degli impatti.
Al contrario, per le sostanze chimiche dell’elenco di priorità e per tutte le altre sostanze chimiche per le quali nel primo monitoraggio di sorveglianza vengono riscontrate concentrazioni che garantiscono il rispetto dello standard di qualità, le frequenze di campionamento nei successivi monitoraggi di sorveglianza possono essere ridotte. In tal caso le modalità e le motivazioni delle riduzioni sono riportate nel piano di gestione e nel piano di tutela delle acque.

Tab. 3.6. Monitoraggio di sorveglianza e operativo. Frequenze di campionamento nell’arco di un anno per fiumi e laghi.

Le frequenze riportate in tabella per fiumi e laghi sono applicate secondo le modalità descritte nei relativi protocolli di campionamento di cui al manuale APAT 46/2007 e quaderni e notiziari CNRIRSA.                                                Note alla tabella Tab. 3.6. (1) Il ciclo del monitoraggio di sorveglianza è almeno sessennale fatte salve le eccezioni previste in tabella per l’idrologia dei fiumi e per i siti della rete nucleo. (2) Il monitoraggio operativo degli elementi di qualità biologica, salvo il fitoplancton nei laghi, è effettuato con cicli non superiori a 3 anni. (3) Nei laghi che presentano un periodo di copertura glaciale il numero dei campioni viene ridotto di conseguenza. Nel monitoraggio di sorveglianza, per i laghi per i quali non ci siano dati tali da poter fornire un’attendibile classificazione è necessario avviare una prima campagna di monitoraggio per un totale di almeno 18 campioni (circa tre anni). Per i corpi idrici lacustri rientranti nella rete nucleo, il ciclo di monitoraggio è annuale secondo le frequenze di campionamento riportate in tabella. Il ciclo del monitoraggio operativo è sempre annuale secondo le frequenze di campionamento riportate in tabella. (4) Monitoraggio facoltativo per i fiumi ricadenti nelle idroecoregioni alpine e per i fiumi grandi e molto grandi così come definiti nella sezione A punto 1.1 dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo. (5) Monitoraggio non richiesto per gli invasi, così come definiti nella sezione A al punto 1.1 dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo. (6) La frequenza di campionamento è aumentata a 3 volte per fiumi ad elevata variabilità idrologica naturale o artificiale e grandi fiumi. (7) La frequenza di campionamento è ridotta a 2 volte per i fiumi temporanei mentre è aumentata a 4 volte per fiumi ad elevata variabilità idrologica naturale o artificiale e grandi fiumi. (8) Nel caso di corsi d’acqua temporanei il monitoraggio dei pesci è facoltativo. (9) Per gli invasi, così come definiti nella sezione A al punto 1.1 dell’Allegato 3, il monitoraggio dei pesci è facoltativo. (10) Il monitoraggio operativo è effettuato con cicli non superiori a 6 anni. (11) Le misurazioni in continuo sono da prevedersi per i siti idrologicamente significativi della rete, è possibile utilizzare interpolazioni per gli altri siti. E’ preferibile l’uso di stazioni idrologiche automatiche, in loro assenza è necessaria la misura di livello con frequenza mensile, incrementata a settimanale in caso di siccità con forti prelievi di acqua e, possibilmente, giornaliera in caso forti precipitazioni. (13) Nelle more della pubblicazione di un metodo ufficiale, le Regioni utilizzano metodologie di rilevamento già in essere. (14) Gli habitat prevalenti sono caratterizzati a partire dal 2010 sulla base dei criteri tecnici pubblicati dai competenti istituti scientifici nazionali. (15) Il ciclo del monitoraggio operativo degli elementi fisico-chimici e chimici è annuale. (16) Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel corpo idrico. (17) Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel corpo idrico.

Tab. 3.7. Monitoraggio di sorveglianza e operativo. Frequenze di campionamento nell’arco di un anno per acque di transizione e marino-costiere.

Le frequenze riportate in tabella per le acque di transizione e marino-costiere sono applicate secondo le modalità descritte nei relativi protocolli di campionamento di cui ai manuali ICRAM ed ISPRA.

Note alla tabella Tab. 3.7.

(1) Il ciclo del monitoraggio di sorveglianza è almeno sessennale eccetto per i siti della rete nucleo e, limitatamente alle acque di transizione, per la struttura della zona intertidale e del regime di marea (vedi rispettivamente nota 7 e 8).
(2) Il monitoraggio operativo degli elementi di qualità biologica, è effettuato con cicli non superiori a 3 anni, salvo il fitoplancton che è controllato ogni anno secondo le frequenze riportate in tabella.
(3) Campionamento stagionale.
(4) Campionamento da effettuarsi tra giugno e settembre.
(5) Campionamento semestrale.
(6) Il monitoraggio operativo è effettuato con cicli non superiori a 6 anni.
(7) Entrambi i monitoraggi (sorveglianza e operativo) sono effettuati con cicli non superiori a 3 anni. (8) Bilancio idrologico da eseguire ogni 3 anni, mediante misure distribuite nel tempo, con cadenze che dipendono dalle caratteristiche morfologiche ed idrodinamiche del corpo idrico da monitorare.
(9) Il ciclo del monitoraggio operativo degli elementi fisico-chimici e chimici è annuale.
(10) Per la fauna ittica sono obbligatorie solo le misure delle condizioni termiche, di ossigenazione e di salinità.
(11) Per le fanerogame sono obbligatorie solo le misure delle condizioni termiche e della trasparenza. (12) Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate in quantità significativa nel corpo idrico.
(13) Nel monitoraggio di sorveglianza se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel bacino idrografico o nel sottobacino. Nel monitoraggio operativo se scaricate e/o rilasciate e/o immesse e/o già rilevate nel corpo idrico.
(14) In merito alla frequenza di campionamento nei sedimenti, ulteriori criteri sono indicati al punto A.2.6.1 del presente Allegato.


A.3.6 . Monitoraggio d’indagine

Il monitoraggio d’indagine è richiesto in casi specifici e più precisamente:

  • quando sono sconosciute le ragioni di eventuali superamenti (ad esempio quando non si ha chiara conoscenza delle cause del mancato raggiungimento del buono stato ecologico e/o chimico, ovvero del peggioramento dello stato delle acque);
  • quando il monitoraggio di sorveglianza indica per un dato corpo idrico il probabile rischio di nonraggiungere gli obiettivi, di cui all’articolo 77 e seguenti del presente decreto legislativo, e il monitoraggio operativo non è ancora stato definito, al fine di avere un quadro conoscitivo più dettagliato sulle cause che impediscono il raggiungimento degli obiettivi;
  • per valutare l’ampiezza e gli impatti dell’inquinamento accidentale.

I risultati del monitoraggio costituiscono la base per l’elaborazione di un programma di misure volte al raggiungimento degli obiettivi ambientali e di interventi specifici atti a rimediare agli effetti dell’inquinamento accidentale.

A.3.7. Aree protette

Per le aree protette, i programmi di monitoraggio tengono conto di quanto già riportato al punto A.3.1.1 del presente Allegato. I programmi di monitoraggio esistenti ai fini del controllo delle acque per la vita dei pesci e dei molluschi di cui all’articolo 79 del presente decreto legislativo costituiscono fino al 22 dicembre 2013 parte integrante del monitoraggio di cui dal presente Allegato.

A.3.8. Acque utilizzate per l’estrazione di acqua potabile

I corpi idrici superficiali individuati a norma dell’articolo 82 del presente decreto legislativo che forniscono in media più di 100 m3 al giorno sono designati come siti di monitoraggio da eseguire secondo le modalità riportate ai paragrafi precedenti e sono sottoposti ad un monitoraggio supplementare al fine di soddisfare i requisiti previsti dal Decreto Legislativo del 02/02/2001 n. 31. Il monitoraggio suppletivo, da effettuarsi annualmente secondo la frequenza di campionamento riportata nella tab. 3.8, riguarda tutte le sostanze dell’elenco di priorità di cui al punto A.2.6 del presente Allegato scaricate e/o immesse e/o rilasciate, nonché tutte le altre sostanze appartenenti alle famiglie di cui all’Allegato 8 del presente decreto legislativo scaricate e/o immesse e/o rilasciate in quantità significativa da incidere negativamente sullo stato del corpo idrico. Nel monitoraggio si applicano i valori di parametro previsti dall’Allegato 1 del decreto legislativo del 2 febbraio 2001, n. 31 nei casi in cui essi risultino più restrittivi dei valori individuati per gli stessi parametri nelle tabelle 1/A, 1/B e 2B del presente Allegato. I parametri di cui alla tabella 1/A, indipendentemente dalla presenza di scarichi, immissioni o rilasci conosciuti, sono comunque tutti parte
integrante di uno screening chimico da effettuarsi con cadenza biennale.

Tab. 3.8. Frequenza di campionamento

Il monitoraggio supplementare non si effettua qualora siano già soddisfatti tutti i seguenti requisiti:

1) le posizioni dei siti di monitoraggio dello stato delle acque superficiali risultano anche idonee a un controllo adeguato ai fini della tutela della qualità dell’acqua destinata alla produzione di acqua potabile;
2) la frequenza del campionamento dello stato delle acque superficiali non è in nessun caso più bassa di quella fissata nella tabella 3.8; 3) il rischio per la qualità delle acque per l’utilizzo idropotabile non è connesso: – a un parametro non pertinente alla valutazione dello stato delle acque superficiali (es. parametri microbiologici); – a uno standard di qualità più restrittivo per le acque potabili rispetto a quello previsto per lo stato delle acque superficiali del corpo idrico. In tali casi, il corpo idrico può non essere a rischio di non raggiungere lo stato buono ma è a rischio di non rispettare gli obiettivi di protezione delle acque potabili.

A.3.9. Aree di protezione dell’habitat e delle specie

I corpi idrici che rientrano nelle aree di protezione dell’habitat e delle specie sono compresi nel programma di monitoraggio operativo qualora, in base alla valutazione dell’impatto e al monitoraggio di sorveglianza, si reputa che essi rischino di non conseguire i propri obiettivi ambientali. Il monitoraggio viene effettuato per valutare la grandezza e l’impatto di tutte le pertinenti pressioni significative esercitate su tali corpi idrici e, se necessario, per rilevare le variazioni del loro stato conseguenti ai programmi di misure. Il monitoraggio prosegue finché le aree non soddisfano i requisiti in materia di acque sanciti dalla normativa in base alla quale esse sono designate e finché non sono raggiunti gli obiettivi di cui all’articolo 77 del presente decreto legislativo.
Qualora un corpo idrico sia interessato da più di uno degli obiettivi si applica quello più rigoroso.
Come già riportato nella parte generale del presente Allegato, ai fini di evitare sovrapposizioni, la valutazione dello stato avviene per quanto possibile attraverso un unico monitoraggio articolato in modo da soddisfare le specifiche esigenze derivanti dagli obblighi delle disposizioni comunitarie e nazionali vigenti.

A.3.10. Precisione e attendibilità dei risultati del monitoraggio

La precisione ed il livello di confidenza associato al piano di monitoraggio dipendono dalla variabilità spaziale e temporale associata ai processi naturali ed alla frequenza di campionamento ed analisi previste dal piano di monitoraggio stesso.
Il monitoraggio è programmato ed effettuato al fine di fornire risultati con un adeguato livello di precisione e di attendibilità. Una stima di tale livello è indicata nel piano di monitoraggio stesso.
Al fine del raggiungimento di un adeguato livello di precisione ed attendibilità, è necessario porre attenzione a:

  • il numero dei corpi idrici inclusi nei vari tipi di monitoraggio;
  • il numero di siti necessario per valutare lo stato di ogni corpo idrico;
  • a frequenza idonea al monitoraggio dei parametri indicativi degli elementi di qualità.

Per quanto riguarda i metodi sia di natura chimica che biologica, l’affidabilità e la precisione dei risultati devono essere assicurati dalle procedure di qualità interne ai laboratori che effettuano le attività di campionamento ed analisi. Per assicurare che i dati prodotti dai laboratori siano affidabili, rappresentativi ed assicurino una corretta valutazione dello stato dei corpi idrici, i laboratori coinvolti nelle attività di monitoraggio sono accreditati od operano in modo conforme a quanto richiesto dalla UNI CEN EN ISO 17025. I laboratori devono essere accreditati almeno per i parametri di maggiore rilevanza od operare secondo un programma di garanzia della qualità/controllo della qualità per i seguenti aspetti:

  • campionamento, trasporto, stoccaggio e trattamento del campione;
  • documentazione relativa alle procedure analitiche che devono essere basate su norme tecniche riconosciute a livello internazionale (CEN, ISO, EPA) o nazionale (UNI, metodi proposti dall’ISPRA o da CNR-IRSA per i corpi idrici fluviali e lacustri e metodi proposti dall’ISPRA per le acque marino-costiere e di transizione);
  • procedure per il controllo di qualità interno ai laboratori e partecipazione a prove valutative organizzati da istituzioni conformi alla ISO Guide 43-1;
  • convalida dei metodi analitici, determinazione dei limiti di rivelabilità e di quantificazione, calcolo dell’incertezza;
  • piani di formazione del personale;
  • procedure per la predisposizione dei rapporti di prova, gestione delle informazioni.

Per i metodi per il campionamento degli elementi di qualità biologica si fa riferimento al manuale APAT 46/2007, quaderni e notiziari CNR-IRSA per le acque dolci e manuali ISPRA ed ICRAM per le acque marino-costiere e di transizione.
I metodi per i parametri chimici sono riportati nei Manuali e Linee Guida APAT/ CNR-IRSA n.
29/2003 e successivi aggiornamenti e in “Metodologie Analitiche di Riferimento. Programma di Monitoraggio per il controllo dell’Ambiente marino costiero (Triennio 2001-2003)” Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, ICRAM, Roma 2001 e successivi aggiornamenti.
Per le sostanze dell’elenco di priorità per le acque superficiali interne, nelle more della pubblicazione dell’aggiornamento dei quaderni APAT/CNR-IRSA si fa riferimento per i metodi analitici alle metodiche di cui alla seguente tabella 3.9.
Per la misura della portata (solida e liquida) per le acque superficiali interne, nelle more della pubblicazione dei metodi ISPRA/CNR, si fa riferimento a quelli indicati nell’elenco di seguito riportato.

Tab. 3.9. Metodi analitici per la misura delle concentrazioni delle sostanze dell’elenco di priorità nella colonna d’acqua per le acque interne.

(1) Per il parametro C10-13-cloroalcani il monitoraggio si effettua allorché sarà disponibile il relativo metodo analitico.

Riferimenti metodologici per la misura della portata (solida e liquida) dei corsi d’acqua e dei
laghi sono:

  • Manual on stream gauging – volume I – Fieldwork – World Meteorological Organization, n° 519;
  • Manual on stream gauging – volume II – Computation of discharge – World Meteorological Organization, n° 519 MO n° 519;
  • Hydrometry – Measurement of liquid flow in open channels using current-maters or floats – ISO 748/2007;
  • Measurement of liquid flow in open channels – Water level measuring devices – ISO 4373/1995;
  • Measurement of liquid flow in open channels – Part 1: Establishment and opertion of gauging station – ISO/1100-1;
  • Measurement of liquid flow in open channels – Part 2: Determination of the stage-discharge relation – ISO/1100-2;
  • Norme Tecniche per la raccolta e l’elaborazione dei dati idrometeorologici (Parte II, dati
    idrometrici) – Servizio Idrografico e Mareografico Nazionale, 1998.

I monitoraggi e i relativi dati devono essere rispettivamente programmati e gestiti in modo tale da evitare rischi di errore di classificazione del corpo idrico al fine di ottimizzare i costi per il monitoraggio e poter orientare maggiori risorse economiche all’attuazione delle misure per il risanamento degli stessi corpi idrici.
Le Autorità competenti riportano nei piani di gestione e nei piani di tutela delle acque la metodologia adottata per garantire adeguata attendibilità e precisione ai risultati derivanti dai programmi di monitoraggio.

A.4 Classificazione e presentazione dello stato ecologico e chimico

Sistemi di classificazione per lo stato ecologico

Vengono, di seguito, riportati i sistemi di classificazione dello stato ecologico per le varie categorie di corpi idrici (fiumi, laghi, acque marino-costiere e di transizione). La classificazione è effettuata sulla base della valutazione degli Elementi di Qualità Biologica (EQB), degli elementi fisicochimici, chimici (inquinanti specifici) e idromorfologici, nonché dei metodi di classificazione di cui al presente allegato.
Per gli elementi biologici la classificazione si effettua sulla base del valore di Rapporto di Qualità Ecologica (RQE), definito al punto 1.1.1, lett. D.2.1, dell’allegato 3, Parte terza del presente decreto legislativo, ossia del rapporto tra valore del parametro biologico osservato e valore dello stesso parametro, corrispondente alle condizioni di riferimento per il “tipo” di corpo idrico in osservazione. Pertanto, la classificazione degli elementi biologici deve tener conto del “tipo” di corpo idrico, stabilito in attuazione dei criteri tecnici di cui all’allegato 3 del presente decreto, e delle relative condizioni di riferimento tipo-specifiche. La tipo-specificità dei singoli EQB viene riportata all’interno dei relativi paragrafi del presente allegato. Si sottolinea che, in considerazione della diversa sensibilità degli EQB ai vari descrittori utilizzati nella tipizzazione in diversi casi la tipo specificità e le condizioni di riferimento sono indicate per gruppi di tipi (macrotipi). ISPRA predispone un manuale per la raccolta dei metodi di classificazione già elaborati, ciascuno per la propria competenza, dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), dall’Istituto di Ricerca sulle Acque del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IRSA), dall’Istituto per lo Studio degli Ecosistemi del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-ISE), dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Agenzia nazionale per le Nuove tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo economico sostenibile (ENEA), dall’ARPA Lombardia e dall’Ispettorato Generale del Corpo Forestale dello Stato (CFS). Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, avvalendosi degli Istituti e delle altre Amministrazioni su riportati, avvia un’attività di coordinamento con le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano, le ARPA e le APPA al fine della validazione dei metodi di classificazione indicati alla presente lettera A4 e per l’integrazione dei metodi non ancora definiti.

A. 4.1 Corsi d’acqua

Fermo restando le disposizioni di cui alla lettera A.1 del punto 2 del presente allegato, sono
riportati, ai fini della classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici fluviali, le metriche e/o gli
indici da utilizzare per i seguenti elementi di qualità biologica:
– Macroinvertebrati
– Diatomee
– Macrofite
– Pesci

Macrotipi fluviali per la classificazione
Ai fini della classificazione, per i macroinvertebrati bentonici e le diatomee i tipi fluviali di cui all’Allegato 3 del presente Decreto legislativo sono aggregati in 8 gruppi (macrotipi) come indicati alla Tab. 4.1/a.

Tab. 4.1/a – Macrotipi fluviali e rapporto tra tipi fluviali per Macroinvertebrati e Diatomee

Per le macrofite i tipi fluviali di cui all’Allegato 3 del presente Decreto legislativo sono aggregati in 12 gruppi (macrotipi) come indicati alla tabella 4.1/b.

Tab. 4.1/b – Macrotipi fluviali per Macrofite

L’elemento di qualità biologica “Fauna ittica” non risulta sensibile ai descrittori utilizzati per la tipizzazione effettuata ai sensi dell’Allegato 3 del presente decreto legislativo. Pertanto, ai fini della classificazione è sufficiente considerare tutti i tipi fluviali presenti nelle idroecoregioni, prendendo a riferimento di volta in volta la comunità ittica attesa, in relazione alle Zone zoogeografico-ecologiche riportate nella tabella 4.1.1/h di cui alla sezione “Pesci” del paragrafo A.4.1.1 del presente Allegato.

A.4.1.1 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità biologica

Macroinvertebrati
Il sistema di classificazione per i macroinvertebrati, denominato MacrOper, è basato sul calcolo dell’indice denominato Indice multimetrico STAR di Intercalibrazione (STAR_ICMi), che consente di derivare una classe di qualità per gli organismi macrobentonici per la definizione dello Stato Ecologico.
Lo STAR_ICMi è applicabile anche ai corsi d’acqua artificiali e fortemente modificati.

Specifiche per i fiumi molto grandi e/o non accessibili2
La classificazione dei fiumi molto grandi e/o non accessibili, cioè “non guadabili”, ovvero di quei tipi fluviali per i quali non sia possibile effettuare in modo affidabile un campionamento
multihabitat proporzionale, si ottiene dalla combinazione dei valori RQE ottenuti per gli indici STAR_ICMi e MTS (Mayfly Total Score), mediante il calcolo della media ponderata.
Limiti di classe e classificazione In tab. 4.1.1/b sono riportati i valori di RQE relativi ai limiti di classe validi sia per lo STAR_ICMi sia per la media ponderata tra STAR_ICMi e MTS, nel caso di fiumi molto grandi e/o non accessibili, per i macrotipi fluviali. L’attribuzione a una delle cinque classi di qualità per il sito in esame è da effettuarsi sulla base del valore medio dei valori dell’indice utilizzato relativi alle diverse stagioni di campionamento.


2 Per i fiumi molto grandi e/o non accessibili il metodo di campionamento richiede l’utilizzo di substrati artificiali a lamelle, sulla base delle specifiche tecniche contenute nelle pubblicazioni Buffagni A., Moruzzi E., Belfiore C., Bordin F., Cambiaghi M., Erba S., Galbiati L., Pagnotta R., 2007. Macroinvertebrati acquatici e direttiva 2000/60/EC (WFD) –
parte D. Metodo di campionamento per i fiumi non guadabili. IRSA-CNR Notiziario dei metodi analitici, Marzo 2007 (1), 69-93.


Tab. 4.1.1/b – Limiti di classe fra gli stati per i diversi macrotipi fluviali

I valori riportati in Tab. 4.1.1/b corrispondono al valore più basso della classe superiore.

La sezione A dell’Appendice al presente Allegato riporta i valori di riferimento tipo-specifici ad oggi disponibili, per le sei metriche che compongono lo STAR_ICMi e per il valore dell’indice stesso, nonché i valori per l’indice MTS.

Diatomee
L’indice multimetrico da applicare per la valutazione dello stato ecologico, utilizzando le comunità diatomiche, è l’indice denominato Indice Multimetrico di Intercalibrazione (ICMi).
L’ ICMi si basa sull’Indice di Sensibilità agli Inquinanti IPS e sull’Indice Trofico TI.
Limiti di classe e classificazione In tabella 4.1.1/c sono riportati i valori di RQE relativi ai limiti di classe dell’ICMi, distinti nei macrotipi fluviali indicati nella tabella 4.1/a.

I valori riportati in Tab. 4.1.1/c corrispondono al valore più basso della classe superiore

Nella tabella 4.1.1/d vengono riportati i valori di riferimento degli indici IPS e TI da utilizzare per il calcolo dei rispettivi RQE.

Tab. 4.1.1/d – Valori di riferimento degli indici IPS e TI per i macrotipi fluviali.

Macrofite
L’indice da applicare per la valutazione dello stato ecologico, utilizzando le comunità macrofitiche, è l’indice denominato “Indice Biologique Macrophyitique en Rivière” IBMR. L’ IBMR è un indice finalizzato alla valutazione dello stato trofico inteso in termini di intensità di produzione primaria. Allo stato attuale questo indice non trova applicazione per i corsi d’acqua temporanei mediterranei.

Limiti di classe e classificazione
Nella tabella 4.1.1/e si riportano i valori di RQE_IBMR relativi ai limiti di classe differenziati per Area geografica.

Tab. 4.1.1/e – Valori di RQE_IBMR relativi ai limiti tra le classi Elevata, Buona e Sufficiente

In tabella 4.1.1/f sono riportati i valori di riferimento da utilizzare per il calcolo di RQE_IBMR per i macrotipi definiti in tabella 4.1/b.

Tab. 4.1.1/f – Valori di riferimento dell’IBMR per i macrotipi fluviali

Fauna ittica
L’indice da utilizzare per l’EQB fauna ittica è l’Indice dello Stato Ecologico delle Comunità Ittiche – ISECI.

Limiti di classe e condizioni di riferimento
Per quanto riguarda l’elemento di qualità biologica fauna ittica viene presa come condizione di riferimento, corrispondente allo stato ecologico elevato, la “comunità ittica attesa” con tutte le popolazioni che la costituiscono in buona condizione biologica (popolazioni ben strutturate in classi di età, capaci di riprodursi naturalmente, con buona o sufficiente consistenza demografica).
Al fine di individuare le comunità ittiche attese nei vari tipi fluviali viene compiuta una
prima suddivisione del territorio nazionale su base zoogeografica e una seconda articolazione su base ecologica. La prima porta a distinguere tre “regioni”: Regione Padana, Regione Italicopeninsulare, Regione delle Isole. La seconda porta a distinguere, all’interno di ciascuna regione, tre “zone” (tab. 4.1.1/g): Zona dei Salmonidi, Zona dei Ciprinidi a deposizione litofila, Zona dei Ciprinidi a deposizione fitofila; un’ultima zona fluviale, la Zona dei Mugilidi, non viene considerata in quanto appartenente alle acque di transizione.

Tab. 4.1.1/g – Caratteristiche ambientali delle tre “zone ittiche” dulcicole in cui è possibile suddividere i corsi d’acqua italiani.

La REGIONE PADANA è composta dalle seguenti idroecoregioni (livello 1 della tipizzazione
di cui alla sezione A dell’allegato 3 del presente decreto):

1) Alpi Occidentali;
2) Prealpi_Dolomiti;
3) Alpi Centro-Orientali;
4) Alpi Meridionali;
5) Monferrato;
6) Pianura Padana;
7) Carso;
8) Appennino Piemontese;
9) Alpi Mediterranee – versante padano;
10) Appennino settentrionale – versanti padano e adriatico;
12) Costa Adriatica – parte settentrionale fino al Fiume Vomano compreso;
13) Appennino Centrale – parte settentrionale fino al Fiume Chienti compreso.

La REGIONE ITALICO-PENINSULARE è composta dalle seguenti idroecoregioni:
10) Appennino settentrionale – versante tirrenico;
11) Toscana; 12) Costa Adriatica – parte meridionale a sud del Fiume Vomano;
13) Appennino centrale – parte centrale e meridionale a sud del Fiume Chienti;
14) Roma_Viterbese;
15) Basso Lazio;
16) Basilicata_Tavoliere;
17) Puglia_Carsica;
18) Appennino meridionale;
19) Calabria_Nebrodi – parte continentale.

La REGIONE DELLE ISOLE è composta dalle seguenti idroecoregioni:

19) Calabria_Nebrodi – parte insulare;
20) Sicilia;
21) Sardegna.

Tenendo conto della zonazione ittica vengono individuate 9 zone zoogeografico-ecologiche
fluviali principali riportate nella tab. 4.1.1/h.

Tab. 4.1.1/h – Zone zoogeografico-ecologiche fluviali principali individuabili in Italia

Nella sezione B dell’Appendice al presente allegato sono indicate le 9 comunità ittiche attese che si assumono come comunità di riferimento. Le indagini correlate alle attività di monitoraggio condotte dalle Regioni e dalle Province autonome possono portare all’affinamento della comunità ittica attesa, mediante osservazioni ecologiche sugli habitat effettivamente presenti nei corsi d’acqua e l’analisi storico-bibliografica delle conoscenze sulla fauna ittica di ogni singola idroecoregione o tipo fluviale.
Le Regioni che, a seguito delle indagini sopraindicate, abbiano realizzato l’affinamento delle comunità ittiche attese, trasmettono i risultati delle indagini effettuate e le relative informazioni, corredate dalla documentazione scientifica di supporto, al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Ai fini della classificazione, non sono considerate eventuali specie campionate non presenti nelle liste delle comunità ittiche attese e nelle liste delle specie aliene.

Tab. 4.1.1/i – Limiti di classe fra gli stati per l’indice ISECI

I valori riportati in Tab. 4.1.1/i corrispondono al valore più basso della classe superiore.

 

A.4.1.2 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità fisico –chimica a sostegno

Ai fini della classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici fluviali gli elementi fisico– chimici a sostegno del biologico da utilizzare sono i seguenti:
Nutrienti (N-NH4, N-NO3, Fosforo totale);
Ossigeno disciolto (% di saturazione).

Per un giudizio complessivo della classificazione si tiene conto, secondo i criteri riportati al paragrafo “Altri parametri”, anche di:
Temperatura;
pH;
Alcalinità (capacità di neutralizzazione degli acidi);
Conducibilità.

Nutrienti e ossigeno disciolto
I nutrienti e l’ossigeno disciolto, ai fini della classificazione, vengono integrati in un singolo descrittore LIMeco (Livello di Inquinamento dai Macrodescrittori per lo stato ecologico) utilizzato per derivare la classe di qualità.
La procedura prevede che sia calcolato un punteggio sulla base della concentrazione, osservata nel sito in esame, dei seguenti macrodescrittori: N-NH4, N-NO3, Fosforo totale e Ossigeno disciolto (100 – % di saturazione O2). Il punteggio LIMeco da attribuire al sito rappresentativo del corpo idrico è dato dalla media dei singoli LIMeco dei vari campionamenti effettuati nell’arco dell’anno in esame. Qualora nel medesimo corpo idrico si monitorino più siti per il rilevamento dei parametri fisico-chimici, il valore di LIMeco viene calcolato come media ponderata (in base alla percentuale di corpo idrico rappresentata da ciascun sito) tra i valori di LIMeco ottenuti per i diversi siti3.
Nel caso di monitoraggio operativo il valore di LIMeco da attribuire al sito è dato dalla media dei valori di LIMeco ottenuti per ciascuno dei 3 anni di campionamento. Per il monitoraggio di sorveglianza, si fa riferimento al LIMeco dell’anno di controllo o, qualora il monitoraggio venisse effettuato per periodi più lunghi, alla media dei LIMeco dei vari anni. Il LIMeco di ciascun campionamento viene derivato come media tra i punteggi attributi ai singoli parametri secondo le soglie di concentrazione indicate nella seguente tab. 4.1.2/a, in base alla concentrazione osservata.


3 Si deve valutare la percentuale di corpo idrico rappresentata da ciascuno dei siti in esame. Il valore di LIMeco calcolato per un sito va moltiplicato per la percentuale di corpo idrico che esso rappresenta; tale valore va quindi sommato al valore di LIMeco calcolato in un altro sito del medesimo corpo idrico moltiplicato per la percentuale di
rappresentatività del sito nel corpo idrico.


Tab. 4.1.2/a – Soglie per l’assegnazione dei punteggi ai singoli parametri per ottenere il punteggio LIMeco

* Punteggio da attribuire al singolo parametro ** Le soglie di concentrazione corrispondenti al Livello 1 sono state definite sulla base delle concentrazioni osservate in campioni (115) prelevati in siti di riferimento (49), appartenenti a diversi tipi fluviali. In particolare, tali soglie, che permettono l’attribuzione di un punteggio pari a 1, corrispondono al 75° percentile (N-NH4, N-NO3, e Ossigeno disciolto) o al 90° (Fosforo totale) della distribuzione delle concentrazioni di ciascun parametro nei siti di riferimento. I siti di riferimento considerati fanno parte di un database disponibile presso CNR-IRSA.

Per tipi fluviali particolari le Regioni e le Province Autonome possono derogare ai valori soglia di LIMeco stabilendo soglie tipo specifiche diverse, purché sia dimostrato, sulla base di un’attività conoscitiva specifica ed il monitoraggio di indagine, che i livelli maggiori di concentrazione dei nutrienti o i valori più bassi di ossigeno disciolto sono attribuibili esclusivamente a ragioni naturali.
Il valore di deroga e le relative motivazioni devono essere trasmesse al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e devono comunque essere riportate nel Piano di gestione e nel Piano di tutela delle acque.
Il valore medio di LIMeco calcolato per il periodo di campionamento è utilizzato per attribuire la classe di qualità al sito, secondo i limiti indicati nella successiva tab 4.1.2/b.
Conformemente a quanto stabilito nella Direttiva 2000/60/CE, lo stato ecologico del corpo idrico risultante dagli elementi di qualità biologica non viene declassato oltre la classe sufficiente qualora il valore di LIMeco per il corpo idrico osservato dovesse ricadere nella classe scarso o cattivo.

Tab. 4.1.2/b – Classificazione di qualità secondo i valori di LIMeco

* Il limite tra lo stato elevato e lo stato buono è stato fissato pari al 10° percentile dei campioni ottenuti da siti di riferimento

Altri parametri
Gli altri parametri, temperatura, pH, alcalinità e conducibilità, sono utilizzati esclusivamente per una migliore interpretazione del dato biologico e non per la classificazione. Ai fini della classificazione in stato elevato è necessario che sia verificato che gli stessi non presentino segni di alterazioni antropiche e restino entro la forcella di norma associata alle condizioni territoriali inalterate. Ai fini della classificazione in stato buono, è necessario che sia verificato che detti parametri non siano al di fuori dell’intervallo dei valori fissati per il funzionamento dell’ecosistema tipo specifico e per il raggiungimento dei corrispondenti valor per gli elementi di qualità biologica.


A.4.1.3 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità
idromorfologica a sostegno

Nella classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici fluviali, gli elementi idromorfologici a sostegno vengono valutati attraverso l’analisi dei seguenti aspetti (ciascuno dei quali descritto da una serie di parametri e/o indicatori):

– regime idrologico (quantità e variazione del regime delle portate);
– condizioni morfologiche (configurazione morfologica plano-altimetrica, configurazione delle sezioni fluviali, configurazione e struttura del letto, vegetazione nella fascia perifluviale, continuità fluviale – entità ed estensione degli impatti di opere artificiali sul flusso di acqua, sedimenti e biota).
Per i tratti di corpo idrico candidati a siti di riferimento sono valutate anche le condizioni di habitat, conformemente a quanto riportato al successivo paragrafo “Condizioni di habitat”.

Regime idrologico
L’analisi del regime idrologico è effettuata in corrispondenza di una sezione trasversale sulla base dell’Indice di Alterazione del Regime Idrologico IARI, che fornisce una misura dello scostamento del regime idrologico osservato rispetto a quello naturale che si avrebbe in assenza di pressioni antropiche.
L’ indice di alterazione è definito in maniera differente a seconda che la sezione in cui si effettua la valutazione del regime idrologico sia dotata o meno di strumentazione per la misura, diretta o indiretta, della portata.

La serie delle portate naturali, utilizzata dall’Autorità competente per definire il regime idrologico di riferimento deve essere sufficientemente lunga per ottenere una stima idrologica affidabile. I dati di portata sono stimati o ricostruiti secondo le disponibilità territoriali. I criteri e i modelli di stima e/o ricostruzione della serie delle portate naturali devono essere riportati nei piani di gestione.
La valutazione dello stato del regime idrologico si articola in due fasi (Fase 1 e Fase 2).
Nella Fase 1, sulla base del valore assunto da IARI, è individuato il corrispondente stato del regime idrologico così come indicato nella tabella 4.1.3/a.

Tab. 4.1.3/a- Classi di stato idrologico

Nel caso in cui il valore di IARI evidenzi la presenza di condizioni critiche, ossia corrispondenti ad uno stato inferiore al “BUONO” (IARI > 0,15), si procede alla Fase 2.
Nella Fase 2, si provvede ad un approfondimento per individuare l’origine della criticità e
conseguentemente confermare o variare il giudizio espresso.
Nel caso di sezione strumentata, si effettua l’indagine derivata dal metodo Indicators of Hydrologic Alterations (IHA) che individua cinque componenti critiche del regime idrologico fondamentali per la regolazione dei processi ecologici fluviali.
La differenza tra parametri omologhi dedotti dalle due diverse serie, naturale e reale, è valutata rispetto ad un intervallo di accettabilità prefissato, che definisce l’accettabilità dello scostamento dalle condizioni naturali.
Qualora alcuni parametri non rientrino nell’intervallo di accettabilità a causa di un’alterazione imputabile a fattori naturali (es. variazioni climatiche), è possibile elevare la classe di stato idrologico (indicazioni e motivazioni dell’attribuzione del corpo idrico ad una classe più elevata devono essere riportate nei piani di gestione). In questi casi deve inoltre essere valutato se si tratti di una tendenza consolidata e in tal caso se sia opportuno rivedere le condizioni di riferimento.
Se invece le cause sono di origine antropica, si conferma la valutazione derivante dalla Fase 1 e si definiscono le misure per riportare i parametri idrologici critici all’interno dell’intervallo di accettabilità prefissato.
Nel caso di sezione non strumentata, nella Fase 2, occorre provvedere al monitoraggio sistematico della portata nella sezione in esame al fine di investigare le cause che hanno determinato le condizioni di criticità, e quindi confermare o modificare il giudizio precedentemente espresso secondo le indicazioni sopra riportate.

Condizioni morfologiche
Le condizioni morfologiche vengono valutate per ciascuno dei seguenti aspetti:
– continuità: la continuità longitudinale riguarda la capacità del corso d’acqua di garantire il transito delle portate solide; la continuità laterale riguarda il libero manifestarsi di processi fisici di esondazione e di erosione;
– configurazione morfologica: riguarda la morfologia planimetrica e l’assetto altimetrico;
– configurazione della sezione: riguarda le variazioni di larghezza e profondità della sezione fluviale;
– configurazione e struttura alveo: riguarda la struttura e le caratteristiche tessiturali dell’alveo;
– vegetazione nella fascia perifluviale: riguarda gli aspetti legati alla struttura ed estensione della vegetazione nella fascia perifluviale.

La classificazione si basa sul confronto tra le condizioni morfologiche attuali e quelle di riferimento in modo da poter valutare i processi evolutivi in corso e i valori dei parametri per descriverne lo stato e le tendenze evolutive future.
La valutazione dello stato morfologico viene effettuata considerando la funzionalità
geomorfologica, l’artificialità e le variazioni morfologiche, che concorrono alla formazione dell’Indice di Qualità Morfologica, IQM.
Sulla base del valore assunto dall’IQM, è definita la classe di stato morfologico così come indicato nella tabella 4.1.3/b.

Tab. 4.1.3/b – Classi di stato morfologico

Classificazione per gli aspetti idromorfologici
La classificazione per gli aspetti idromorfologici è ottenuta dalla combinazione dello stato definito dagli indici IQM e IARI secondo la tabella 4.1.3/c .

Tab. 4.1.3/c – Classi di stato idromorfologico

Condizioni di habitat
Le condizioni di habitat sono valutate, secondo le modalità di seguito riportate, per i tratti di corpo idrico candidati a siti di riferimento. Le Regioni possono valutare le condizioni di habitat anche nei corpi idrici sottoposti a monitoraggio di sorveglianza per acquisire un quadro conoscitivo più articolato in relazione all’interpretazione del dato biologico.
La valutazione delle caratteristiche degli habitat è realizzata sulla base di informazioni (scala locale: tratto) relative ai seguenti aspetti: substrato, vegetazione nel canale e detrito organico, caratteristiche di erosione/deposito, flussi, continuità longitudinale, struttura e modificazione delle sponde, tipi di vegetazione/struttura delle sponde e dei territori adiacenti, uso del suolo adiacente al corso d’acqua e caratteristiche associate. Ai fini dell’attribuzione di un tratto fluviale allo stato elevato o non elevato, gli elementi sopra riportati devono essere formalizzati nelle seguenti categorie:
– diversificazione e qualità degli habitat fluviali e ripari;
– presenza di strutture artificiali nel tratto considerato;
– uso del territorio nelle aree fluviali e perifluviali.
Le informazioni relative a tali categorie, opportunamente mediate, concorrono a definire lo stato di qualità dell’habitat (Indice di Qualità dell’Habitat: IQH).
I limiti di classe per l’attribuzione dello stato elevato secondo la qualità dell’habitat sono riportati nelle tabelle 4.1.3/d e 4.1.3/e, separatamente per:
– corsi d’acqua temporanei e corsi d’acqua di pianura piccoli e molto piccoli;
– tutti i rimanenti tipi fluviali.

Tab. 4.1.3/d – Stato di qualità dell’habitat per i corsi d’acqua temporanei e per i corsi d’acqua di pianura piccoli e molto piccoli.

Tab. 4.1.3/e – Stato di qualità dell’habitat per tutti i rimanenti tipi fluviali.

Qualora nel medesimo corpo idrico si monitorino più tratti di corpo idrico candidati a sito di riferimento, per il rilevamento della qualità dell’habitat il valore di IQH è calcolato come media ponderata tra i diversi tratti. Occorre valutare quale percentuale del corpo idrico i diversi tratti in esame rappresentino. Il valore di IQH calcolato per un tratto andrà moltiplicato per la percentuale di corpo idrico che esso rappresenta; tale valore andrà quindi sommato al valore di IQH calcolato in un altro tratto del medesimo corpo idrico moltiplicato per la percentuale di rappresentatività del tratto nel corpo idrico.
La classificazione si basa sul rapporto tra le condizioni osservate e quelle attese in condizioni di riferimento. Nella sezione C dell’Appendice vengono riportati i valori di riferimento utili per il calcolo dei rapporti di qualità, qualora il metodo di valutazione IQH utilizzato fosse basato sull’applicazione del metodo “CARAVAGGIO”.
Ai fini della classificazione, qualora si faccia anche ricorso alla valutazione delle condizioni di habitat, lo stato idromorfologico complessivo, come riportato in tabella 4.1.3/f, è ottenuto dall’integrazione delle seguenti componenti:
– la classe ottenuta dagli aspetti idromorfologici;
– la classe ottenuta dalla qualità dell’habitat.

Tab. 4.1.3/f – Classificazione dello stato idromorfologico complessivo qualora sia valutata l’informazione relativa all’habitat.

A.4.2 Corpi idrici lacustri

Nella classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici lacustri gli elementi di qualità biologica
da considerare sono i seguenti:
Fitoplancton
Macrofite
Pesci

Macrotipi lacustri per la classificazione
Ai fini della classificazione, i tipi lacustri di cui all’Allegato 3 del presente Decreto legislativo sono aggregati nei macrotipi come indicati alla Tab. 4.2/a

Tab. 4.2/a – Accorpamento dei tipi lacustri italiani in macrotipi

A.4.2.1 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità biologica

Fitoplancton
La classificazione dei laghi e degli invasi a partire dal fitoplancton si basa sulla media dei valori di due indici, l’Indice medio di biomassa e l’Indice di composizione.
Il calcolo di questi due indici si basa a sua volta su più indici componenti: Concentrazione media di clorofilla a, Biovolume medio, PTI (PTIot, PTIspecies, MedPTI) e Percentuale di cianobatteri caratteristici di acque eutrofe.
Come indicato in tab. 4.2.1/a, l’Indice medio di biomassa è ottenuto, per tutti i macrotipi, come media degli RQE normalizzati della Concentrazione della clorofilla a e del Biovolume.
L’Indice di composizione è invece ottenuto attraverso indici diversi in relazione alla loro
applicabilità ai differenti macrotipi; il suo valore può così corrispondere all’RQE normalizzato del PTIot o del PTIspecies, ovvero alla media degli RQE normalizzati del MedPTI e della Percentuale di cianobatteri.

L’Indice complessivo per il fitoplancton (ICF), determinato sulla base dei dati di un anno di campionamento, si ottiene come media degli Indici medi di composizione e biomassa.
Per la classificazione nel caso di monitoraggio operativo si utilizza il valore medio dei tre ICF calcolati annualmente.

Tab. 4.2.1/a – Componenti degli indici da mediare per il calcolo dell’Indice finale di classificazione

*Calcolato come media degli RQE normalizzati degli indici componenti sottostanti **Corrispondente all’RQE normalizzato del singolo indice componente sottostante, o calcolato come media degli RQE normalizzati dei due indici componenti sottostanti per il solo macrotipo I1

Limiti di classe e classificazione
In tabella 4.2.1/b sono riportati i valori di RQE relativi ai limiti di classe dell’Indice complessivo per il fitoplancton (ICF). Nelle successive tabelle vengono riportati i limiti di classe ed i relativi valori di riferimento, distinti per macrotipi, per la Concentrazione media annua di clorofilla a, il Biovolume medio, la Percentuale di cianobatteri, il MedPTI, il PTIot e il PTIspecies.

Tab. 4.2.1/b – Limiti di classe, espressi come rapporti di qualità ecologica (RQE), dell’Indice complessivo per il fitoplancton

Nelle tabelle seguenti si riportano i valori di RQE relativi ai limiti di classe ed ai valori di
riferimento degli indici componenti.

Tab. 4.2.1/c – Limiti di classe RQE per la concentrazione media annua di clorofilla a

* gli invasi non possono avere classe di qualità elevata a causa della loro non naturalità idromorfologica I valori riportati in Tab. 4.2.1/c corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/d – Limiti di classe RQE del Biovolume medio annuo

* gli invasi non possono avere classe di qualità elevata a causa della loro non naturalità idromorfologica. I valori riportati in Tab. 4.2.1/d corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/e – Limiti di classe RQE per la percentuale di cianobatteri

* gli invasi non possono avere classe di qualità elevata a causa della loro non naturalità idromorfologica I valori riportati in Tab. 4.2.1/e corrispondono al valore più basso della classe superiore

Tab. 4.2.1/f – Limiti di classe RQE per l’indice MedPTI

*gli invasi non possono avere classe di qualità elevata a causa della loro non naturalità idromorfologica I valori riportati in Tab. 4.2.1/f corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/g – Limiti di classe RQE per l’indice PTIot

* gli invasi non possono avere classe di qualità elevata a causa della loro non naturalità idromorfologica I valori riportati in Tab. 4.2.1/g corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/h – Limiti di classe RQE dell’indice PTIspecies

I valori riportati in Tab. 4.2.1/h corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Macrofite
L’elemento biologico macrofite, o piante acquatiche, basa la classificazione dei laghi sull’utilizzo delle sole specie idrofitiche, cioè quelle macrofite che hanno modo di svilupparsi in ambienti puramente acquatici o su terreni o substrati che almeno periodicamente vengono sommersi dall’acqua.
Le metriche applicate alle macrofite per la classificazione degli ambienti lacustri sono in totale cinque: la massima profondità di crescita, la frequenza relativa delle specie con forma di colonizzazione sommersa, la frequenza delle specie esotiche, la diversità calcolata come indice Simpson e il punteggio trofico per ciascuna specie. Le metriche permettono di calcolare due indici MTIspecies, per i laghi di categoria L-AL3, e MacroIMMI, per i laghi appartenenti alle tipologie LAL4, L-AL5 e L-AL6. Allo stato attuale questi indici non trovano applicazione per i laghi mediterranei.
La metodologia di classificazione è diversa a seconda dell’indice che viene applicato e quindi della tipologia di lago che deve essere classificato.
Per determinare il valore dell’indice MTIspecies occorre calcolare per ciascun sito (inteso come porzione continua di riva, di ampiezza variabile, al cui interno è possibile individuare una comunità macrofisica omogenea in termini di composizione specifica) la media ponderata dei valori trofici di ciascuna specie rispetto alle abbondanze relative e, per l’intero corpo idrico , la media ponderata del valore ottenuto per ciascun sito rispetto alla lunghezza totale dei siti con presenza di vegetazione.
Per la determinazione del valore dell’indice MacroIMMI sono necessari due passaggi successivi: il primo passaggio prevede il calcolo in ciascun sito (definito come sopradetto) della media dei valori ottenuti di ciascuna metrica; il secondo passaggio prevede il calcolo della media ponderata dei valori in ciascun sito rispetto alla lunghezza totale dei siti con presenza di vegetazione. L’ambiente di applicazione e’ costituito dai laghi polimittici o non polimittici con profondità massima minore o uguale a 125 m.

Limiti di classe e classificazione
In tabella 4.2.1/i e in tabella 4.2.1/l sono riportati i limiti di classe e i valori di riferimento, distinti per macrotipi, rispettivamente per gli indici finali MTIspecies e MacroIMMI. Nelle tabelle successive sono indicati i limiti di classe e i valori di riferimento, distinti per macrotipi, per le metriche (massima profondità di crescita, frequenza relativa delle specie sommerse, frequenza delle specie esotiche, diversità, punteggio trofico per ciascuna specie) da utilizzare per il calcolo dei suddetti indici.

Tab. 4.2.1/i – Limiti di classe RQE per MTIspecies

I valori riportati in Tab. 4.2.1/i corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/l – Limiti di classe RQE per MacroIMMI

I valori riportati in Tab. 4.2.1/l corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/m – Limiti di classe RQE per la massima profondità di crescita

*Nel caso il lago abbia profondità inferiore ai 12 m il valore di limite tra la classe alta e la classe buona è da considerarsi compreso tra l’80 e il 100 % della profondità massima. I valori riportati in Tab. 4.2.1/m corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/n – Limiti di classe RQE per la frequenza relativa delle specie sommerse

I valori riportati in Tab. 4.2.1/n corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/o – Limiti di classe RQE per la frequenza delle specie esotiche

I valori riportati in Tab. 4.2.1/o corrispondono al valore più basso della classe superiore

Tab. 4.2.1/p – Limiti di classe RQE per la Diversità

valori riportati in Tab. 4.2.1/p corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/q – I limiti di classe RQE per il punteggio trofico per ciascuna specie

I valori riportati in Tab. 4.2.1/q corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Pesci
La classificazione dei laghi per l’elemento biologico pesci è effettuata attraverso l’applicazione dell’indice LFI (Lake Fish Index – LFI). Tale indice è composto da cinque metriche. Il LFI è applicabile ad ogni lago con superficie >0,5 km2 dell’Ecoregione Alpina e dell’Ecoregione Mediterranea.
Per ogni bacino lacustre sono definite delle specie indicatrici (specie chiave e tipo-specifiche) per la valutazione dello stato della fauna ittica.
Il valore degli RQE per ogni metrica è definito dal rapporto tra il punteggio della metrica e il
punteggio della stessa assunto in condizioni di riferimento4.
Il valore del Rapporto di Qualità Ecologica finale RQEtot, per la valutazione dello stato della fauna ittica, è calcolato come media aritmetica dei valori degli RQE delle singole metriche.

Limiti di classe e classificazione
In tabella 4.2.1/r sono riportati i valori di RQEtot relativi ai limiti di classe dell’Indice LFI.
Nelle successive tabelle vengono riportati i limiti di classe ed i relativi valori di riferimento per le seguenti metriche:
– abbondanza relativa delle specie chiave NPUS (Numero Per Unità di Sforzo) – metrica 1;
– struttura di popolazione delle specie chiave – Indice di struttura PSD – metrica 2;
– successo riproduttivo delle specie chiave e delle specie tipo-specifiche – metrica 3;
– diminuzione (%) del numero di specie chiave e tipo-specifiche – metrica 4;
– presenza di specie ittiche alloctone ad elevato impatto – metrica 5.

Tab. 4.2.1/r – Limiti di classe RQEtot per la valutazione dello stato della fauna ittica nei laghi con superficie > 0,5 km2

Tab. 4.2.1/s – Limiti di classe RQE1 per la metrica 1

I valori riportati in tab. 4.2.1/s corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/t – Limiti di classe RQE2 per la metrica 2

I valori riportati in tab. 4.2.1/t corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/u – Limiti di classe RQE3 per la metrica 3

I valori riportati in tab. 4.2.1/u corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/v – Limiti di classe RQE4 per la metrica 4

I valori riportati in tab. 4.2.1/v corrispondono al valore più basso della classe superiore.

Tab. 4.2.1/z – Limiti di classe RQE5 per la metrica 5

I valori riportati in tab. 4.2.1/z corrispondono al valore più basso della classe superiore.

4 Le condizioni di riferimento sono individuate sulla base di dati storici e di metriche desunte dalla letteratura di settore


Per quanto riguarda l’EQB “pesci” ogni lago è considerato come un unico corpo idrico.
Nei laghi con superficie superiore a 50km2 – il cui campionamento presuppone la suddivisione in sottobacini – il valore finale degli RQE è calcolato come media aritmetica degli RQE calcolati per ogni sottobacino.

A.4.2.2 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità fisico –chimica a sostegno

Ai fini della classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici lacustri gli elementi fisico –chimici a sostegno del biologico da utilizzare sono i seguenti:
– fosforo totale;
– trasparenza;
– ossigeno ipolimnico;
Per un giudizio complessivo della classificazione si tiene conto, secondo i criteri riportati al
paragrafo “Altri parametri”, anche di:
– pH;
– alcalinità;
– conducibilità;
– ammonio.

Fosforo totale, trasparenza e ossigeno disciolto (LTLeco)
Ai fini della classificazione, il fosforo totale, la trasparenza e l’ossigeno disciolto vengono integrati in un singolo descrittore LTLeco (livello trofico laghi per lo stato ecologico) secondo la metodologia di seguito riportata basato su un numero di campionamenti annuali pari a quelli previsti dal protocollo di campionamento APAT 46/2007 – . La procedura per il calcolo dell’LTL eco prevede l’assegnazione di un punteggio per fosforo totale, trasparenza e ossigeno ipolimnico, misurati in sito, sulla base di quanto indicato nelle tabelle 4.2.2/a, 4.2.2/b, 4.2.2/c del presente paragrafo. Dette tabelle riportano punteggi distinti per i livelli corrispondenti alle classi elevata, buona e sufficiente per i singoli parametri.

I livelli per il fosforo totale, di cui alla tab. 4.2.2/a, sono riferiti alla concentrazione media, ottenuta come media ponderata rispetto ai volumi o all’altezza degli strati, nel periodo di piena circolazione alla fine della stagione invernale, anche per i laghi e gli invasi meromittici.

Tab. 4.2.2/a – Individuazione dei livelli per il Fosforo Totale (μg/l)

(*) Valori di riferimento < 5 μg/l (**), Valori di riferimento < 10 μg/l

Tab. 4.2.2/b – Individuazione dei livelli per la trasparenza (metri)

(*) Valori di riferimento >15 m (**) Valori di riferimento >10 m

La concentrazione dell’ Ossigeno ipolimnico è ottenuta come media ponderata rispetto al volume degli strati. In assenza dei volumi possono essere utilizzate le altezze degli strati considerati. I valori di saturazione dell’ossigeno da utilizzare per la classificazione sono quelli misurati nell’ipolimnio alla fine del periodo di stratificazione. In tab. 4.2.2/c, sono riportati i valori per l’individuazione dei livelli dell’ossigeno disciolto.

Tab. 4.2.2/c – Individuazione dei livelli per l’Ossigeno disciolto (% saturazione)

(*) Valori di riferimento >90 %

La somma dei punteggi ottenuti per i singoli parametri (fosforo totale, trasparenza e ossigeno ipolimnico) costituisce il punteggio da attribuire all’LTLeco , utile per l’assegnazione della classe di qualità secondo i limiti definiti nella tabella 4.2.2/d di seguito riportata.

Nel caso di monitoraggio operativo, per la classificazione si utilizzano le medie dei valori misurati nei tre anni per ogni singolo parametro. Nel caso di monitoraggio di sorveglianza si fa riferimento ai valori o di un singolo anno o alla media dei valori misurati negli anni di monitoraggio. Qualora nel medesimo corpo idrico si monitorino più siti per il rilevamento dei parametri fisico-chimici, ai fini della classificazione del corpo idrico si considera lo stato più basso tra quelli attribuiti alle singole stazioni.
I valori di cui alle tabelle 4.2.2/a, 4.2.2/b, e 4.2.2/c sopra riportate possono essere derogati qualora coesistano le seguenti condizioni:
– gli elementi di qualità biologica del corpo idrico sono risultati in stato buono o elevato;
– il superamento dei valori tabellari è dovuto alle caratteristiche peculiari del corpo idrico;
– non sono presenti pressioni che comportino l’aumento di nutrienti ovvero siano state messe in atto tutte le necessarie misure per ridurre adeguatamente l’impatto delle pressioni presenti.
Limitatamente al parametro trasparenza, i limiti previsti dalla tabella 4.2.2/b possono essere derogati qualora l’autorità competente verifichi che la diminuzione di trasparenza è principalmente causata dalla presenza di particolato minerale sospeso dipendente dalle caratteristiche naturali del corpo idrico. Inoltre, qualora l’autorità competente verifichi che la concentrazione di riferimento del Fosforo Totale (μg/l) per un determinato lago o invaso, con particolare attenzione alla categoria dei polimittici, determinata con metodi paleolimnologici o altri modelli previsionali attendibili, risulti essere superiore ai valori indicati in tabella 4.2.2/a possono essere derivati altri limiti meno restrittivi utilizzando la relazione TP/Chl-a dei laghi alpini (OECD,1982).
Nel caso di deroga, il corpo idrico non subisce il declassamento a causa del superamento dei valori tabellari dei nutrienti.
Nei piani di gestione devono essere riportate le motivazioni dettagliate che giustificano
l’applicazione della deroga ed il nuovo valore di riferimento per il parametro utilizzato in deroga.

I corpi idrici ai quali è stata applicata la deroga per i valori dei nutrienti, sono sottoposti a
monitoraggio operativo e a verifica annuale finalizzata ad accertare l’assenza di un andamento di crescita statisticamente significativo, valutato sulla base di tre anni di campionamenti stagionali nella colonna d’acqua e, se disponibili, dal confronto con dati pregressi.

Altri parametri
Per quanto riguarda temperatura, pH, alcalinità, conducibilità e ammonio (nell’epilimnio) deve essere verificato che, ai fini della classificazione in stato elevato, non presentino segni di alterazioni antropiche e restino entro la variabilità di norma associata alle condizioni inalterate con particolare attenzione agli equilibri legati ai processi fotosintetici. Ai fini della classificazione in stato buono, deve essere verificato che essi non raggiungano livelli superiori alla forcella fissata per assicurare il funzionamento dell’ecosistema tipico specifico e il raggiungimento dei corrispondenti valori per gli elementi di qualità biologica. I suddetti parametri chimico-fisici ed altri non qui specificati, sono utilizzati esclusivamente per una migliore interpretazione del dato biologico, ma non sono da utilizzarsi per la classificazione.

A.4.2.3 Criteri tecnici per la classificazione dei laghi e dei corpi idrici lacustri naturali ampliati o soggetti a regolazione sulla base degli elementi di qualità idromorfologica a sostegno

Nella classificazione dello stato ecologico dei laghi e dei corpi idrici lacustri naturali-ampliati o soggetti a regolazione gli elementi idromorfologici a sostegno del biologico da utilizzare sono:
– il livello
– i parametri morfologici.

Livello
L’utilizzo del livello per la classificazione avviene attraverso il calcolo della sintesi annuale (Sa) dei dati mensili di livello (Im) come di seguito riportato.
La sintesi annuale Sa è definita come la media pesata dei valori ricavati per ciascun mese (Im) dell’anno da valutare, con peso 2 per i mesi da gennaio a luglio (compreso) e peso 1 per i restanti mesi e si applica a tutti i macrotipi. In tab. 4.2.3/a si riportano i limiti di classe per la sintesi annuale Sa.

Tab. 4.2.3/a – Limiti di classe espressi come Sa

(*) Sa 􀂔 1 rappresentano le condizioni di riferimento

Si definisce il valore mensile di livello (Im) come:
Im= ΔH mensile misurato/ ΔH di riferimento
(ΔH = variazione di livello)
La valutazione di qualità del livello mensile deve essere distinta per condizione di piovosità (bassa, media o elevata) e per macrotipi.

Le condizioni di piovosità, avute nel mese precedente a quello di misura del livello, sono stabilite sulla base delle seguenti definizioni:
condizione bassa: assenza di precipitazione sensibile (cioè > 1 mm), nel mese precedente a quello di misura. In alternativa utilizzare SPI;
condizione media: piovosità media mensile, nel mese precedente a quello di misura, calcolata su almeno 10 anni di osservazione;
– condizione elevata: piovosità, nel mese precedente a quello di misura, al di sopra (+ 30%) delle piogge medie mensili calcolate su almeno 10 anni di osservazione. In alternativa utilizzare SPI.
Nella successiva tab. 4.2.3/b si riportano i ΔH di riferimento per le diverse condizioni di piovosità (bassa, media o elevata).

Tab. 4.2.3/b – ΔH di riferimento

* in questo caso sono da intendersi solo invasi identificati come corpi idrici lacustri naturali ampliati o soggetti a regolazione

In alternativa alla classificazione con Sa, per casi specifici, le Regioni possono classificare attraverso la variazione di livello ΔH giornaliera come riportato in tabella 4.2.3/c

Tab. 4.2.3/c – Classificazione secondo i valori di ΔH giornalieri

(*)ΔH ≤ 5%/giorno profondità media (calcolata su 15-20 gg consecutivi, precedenti l’abbassamento) ΔH < 20 cm/giorno (abbassamento sotto il livello medio pluriennale) rappresentano le condizioni di riferimento per il parametro livello.

I valori di livello misurati (giornalieri, settimanali, o mensili) devono essere riportati al riferimento assoluto (rispetto al livello del mare), per permettere una confrontabilità a livello nazionale dei dati raccolti.

Parametri morfologici
I parametri morfologici da valutare ai fini della classificazione morfologica di un corpo idrico sono:
– la linea di costa intesa come la zona identificata attraverso il perimetro del corpo idrico lacustre;
– l’area litorale intesa come la parte di sponda che si trova tra il canneto, se presente, e le piante emerse galleggianti oppure, in assenza della zona a canneto, la zona tra il livello medio pluriennale del corpo idrico lacustre, dove batte l’onda, e la zona dove arrivano le macrofite emerse, galleggianti;
– il substrato inteso come la tipologia del materiale di cui sono composte sia la zona litorale che la zona pelagica;
– la profondità o interrimento intesa come evoluzione morfologica del fondo del corpo idrico
lacustre, considerando in particolare i delta alluvionali. Il metodo di riferimento per la valutazione dei suddetti parametri è il Lake Habitat Survey (LHS).
Tale metodo, mediante l’indice di alterazione morfologica (LHMS), permette di esprimere un
giudizio di sintesi sulla qualità morfologica attraverso l’elaborazione di dati raccolti in campo. Il metodo si basa sull’osservazione di 10 punti o sezioni (Hab-plot), ugualmente distribuite lungo tutto il perimetro del corpo idrico lacustre, in ciascuna delle quali si valutano le caratteristiche della linea di costa, dell’area litorale, del substrato, della profondità locale, della presenza di affluenti e di infrastrutture antropiche. Vengono anche segnalate e quindi conteggiate nell’elaborazione del giudizio finale, tutte le attività antropiche insistenti sul corpo idrico lacustre (es. attività ricreative, turistiche, economiche, la presenza di campeggi, porti, banchine, opere di ingegneria naturalista o classica, presenza di sbarramenti ecc.), individuate durante il passaggio tra un punto di osservazione
e l’altro.
In tab. 4.2.3/d si riportano i parametri da analizzare e una sintesi delle pressioni insistenti sul corpo idrico, ciascuna con diversi intervalli e relativi punteggi indicativi del passaggio da uno stato morfologico all’altro.

Tab. 4.2.3/d – Parametri da valutare e sintesi delle attività antropiche

Effettuando un’analisi incrociata dei parametri e delle pressioni di cui alla tab. 4.2.3/d, attraverso un database e un software dedicato, si definisce il punteggio dell’indice di alterazione morfologica (LHMS). In tab. 4.2.3/e si riportano le classi di stato morfologico sulla base dei punteggi del LHMS.

Tab. 4.2.3/e – Classificazione secondo i punteggi del LHMS

(*) Il punteggio = 0 rappresenta un valore indice di condizioni di riferimento morfologiche.

Classificazione degli elementi idromorfologici a sostegno
La classificazione idromorfologica del corpo idrico è data dal peggiore tra gli indici idrologico Sa e quello morfologico LHMS

A.4.3 Acque marino costiere

Fermo restando le disposizioni di cui alla lettera A.1 del punto 2 del presente allegato, sono
riportati, ai fini della classificazione dello stato ecologico delle acque marino-costiere, le metriche e/o gli indici da utilizzare per i seguenti elementi di qualità biologica:
– Fitoplancton
– Macroinvertebrati bentonici
– Macroalghe
– Angiosperme (Posidonia oceanica)

Macrotipi marino-costieri per la classificazione
I criteri per la tipizzazione dei corpi idrici, di cui all’Allegato 3 del presente Decreto legislativo, consentono l’individuazione dei tipi marino-costieri, su base geomorfologica e su base idrologica.
La suddivisione dei corpi idrici in tipi è funzionale alla definizione delle condizioni di riferimento tipo-specifiche.
In considerazione delle caratteristiche dei vari EQB, le differenze tipo-specifiche e
conseguentemente le condizioni di riferimento sono determinate, a seconda dell’EQB analizzato, dalle condizioni idrologiche e da quelle morfologiche.
La tipo-specificità per il Fitoplancton e i Macroinvertebrati bentonici è caratterizzata dal criterio di tipizzazione idrologico, ai fini della classificazione per tali EQB i tipi delle acque marino-costiere, sono aggregati nei 3 gruppi (macrotipi) indicati nella successiva Tab. 4.3/a.
Per ciò che riguarda le Angiosperme (Posidonia oceanica) si fa riferimento al solo macrotipo 3 (bassa stabilità).
Per l’EQB Macroalghe la tipo-specificità è caratterizzata dal criterio di tipizzazione morfologico, le condizioni di riferimento sono in relazione alle differenti condizioni geomorfologiche, ai fini della classificazione per questo EQB i tipi delle acque marino-costiere sono aggregati nei 2 gruppi (macrotipi) indicati nella successiva Tab. 4.3/b.

Tab. 4.3/a – Macrotipi marino-costieri per fitoplancton e macroinvertebrati bentonici

Tab. 4.3/b – Macrotipi marino-costieri per macroalghe

A.4.3.1 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità biologica

Fitoplancton
Il fitoplancton è valutato attraverso il parametro “clorofilla a” misurato in superficie, scelto come indicatore della biomassa. Occorre fare riferimento non solo ai rapporti di qualità ecologica (RQE) ma anche ai valori assoluti (espressi in mg/m3) di concentrazione di clorofilla a. Come già indicato nel paragrafo A.4.3 del presente allegato, la tipo-specificità per il fitoplancton è caratterizzata dal criterio idrologico. Di seguito vengono indicate le categorie “tipo-specifiche”, i valori da assegnare alle condizioni di riferimento e i limiti di classe distinti per ciascun macrotipo.

Modalità di calcolo, condizioni di riferimento e limiti di classe
Per il calcolo del valore del parametro “clorofilla a” si applicano 2 tipi di metriche:
– per i tipi ricompresi nei macrotipi 2 e 3 il valore del 90° percentile per la distribuzione
normalizzata dei dati(5)


5 Le serie annuali o pluriennali di clorofilla sono spesso ben approssimate da una distribuzione di tipo Log-normale. Per “normalizzare” queste distribuzioni si applica la Log-trasformazione dei dati originari, E Il 90° percentile della distribuzione dei logaritmi deve essere riconvertito in numero (i.e. in concentrazione di clorofilla). La Lognormalità dei dati di clorofilla giustifica anche la scelta della Media Geometrica al posto della Media Aritmetica.


– il valore della media geometrica, per i tipi ricompresi nel macrotipo 1.
La Tab. 4.3.1/a, di seguito riportata, indica per ciascun macrotipo:
– i valori delle condizioni di riferimento in termini di concentrazione di “clorofilla a”;
– i limiti di classe, tra lo stato elevato e lo stato buono, e tra lo stato buono e lo stato sufficiente,
espressi sia in termini di concentrazione di clorofilla a, che in termini di RQE;
– il tipo di metrica da utilizzare.

Tab. 4.3.1/a Limiti di classe fra gli stati e valori di riferimento per fitoplancton

Nella procedura di classificazione dello stato ecologico di un corpo idrico secondo l’EQB
Fitoplancton, le metriche da tenere in considerazione per il confronto con i valori della tabella, sono quelle relative alle distribuzioni di almeno un anno della clorofilla a.
Poiché il monitoraggio dell’EQB Fitoplancton è annuale, alla fine del ciclo di monitoraggio
operativo (3 anni) si ottiene un valore di “clorofilla a” per ogni anno. Il valore da attribuire al sito, si basa sul calcolo della media dei valori di “clorofilla a” ottenuti per ciascuno dei 3 anni di campionamento. Nel caso in cui le misure di risanamento ed intervento siano già in atto, si utilizzano solo i dati dell’ultimo anno.

Macroinvertebrati bentonici
Sistema di classificazione
Per l’EQB Macroinvertebrati bentonici si applica l’Indice M-AMBI, che utilizza lo strumento dell’ analisi statistica multivariata ed è in grado di riassumere la complessità delle comunità di fondo mobile, permettendo una lettura ecologica dell’ecosistema in esame.
Come indicato nel paragrafo A.4.3 del presente allegato, la tipo-specificità per i macroinvetebrati bentonici è caratterizzata dal criterio idrologico. Pertanto le categorie “tipo-specifiche” per i macroinvertebrati sono quelle associabili ai macrotipi 1, 2 e 3.
Modalità di calcolo dell’M-AMBI, condizioni di riferimento e limiti di classe.
L’M-AMBI è un indice multivariato che deriva da una evoluzione dell’AMBI integrato con l’Indice di diversità di Shannon-Wiener ed il numero di specie (S). La modalità di calcolo dell’M-AMBI prevede l’elaborazione delle suddette 3 componenti con tecniche di analisi statistica multivariata.
Per il calcolo dell’indice è necessario l’utilizzo di un software gratuito (AZTI Marine Biotic Index-New Version AMBI 4.1) da applicarsi con l’ultimo aggiornamento già disponibile della lista delle specie.
Il valore dell’M-AMBI varia tra 0 ed 1 e corrisponde al Rapporto di Qualità Ecologica (RQE).
Nella tab. 4.3.1/b sono riportati:
– i valori di riferimento per ciascuna metrica che compone l’M-AMBI;
– i limiti di classe dell’M-AMBI, espressi in termini di RQE, tra lo stato elevato e lo stato buono, e tra lo stato buono e lo stato sufficiente.
I valori delle condizioni di riferimento e i relativi limiti Buono/Sufficiente ed Elevato/Buono
descritti in tabella devono intendersi relativi al solo macrotipo 3 (bassa stabilità).

Tab. 4.3.1/b – Limiti di classe e valori di riferimento per l’M-AMBI

Macroalghe
Sistema di classificazione
Il metodo da applicare per la classificazione dell’ EQB Macroalghe è il CARLIT.
La tipo-specificità per le macroalghe è definita dal criterio geomorfologico di cui all’Allegato 3 sez. A.3 del presente decreto legislativo. I macrotipi su base geomorfologica da tenere in
considerazione sono: A) rilievi montuosi e B) terrazzi. Nella procedura di valutazione dell’Indice CARLIT è necessario precisare anche i seguenti elementi morfologici: la morfologia della costa (blocchi metrici, falesia bassa, falesia alta), il diverso grado di inclinazione della frangia infralitorale, l’orientazione della costa, il grado di esposizione all’idrodinamismo, il tipo di substrato (naturale, artificiale).

Modalità di calcolo del CARLIT, condizioni di riferimento e limiti di classe
Sulla base dei diversi elementi morfologici precedentemente citati sono individuate alcune
situazioni geomorfologiche rilevanti, a ciascuna delle quali è assegnato un Valore di Qualità
Ecologica di riferimento (EQVrif) come riportato nella tab. 4.3.1/c.

L’indice CARLIT si basa su una prima valutazione del Valore di Qualità Ecologica (VQE), in ogni sito e per ogni categoria geomorfologica rilevante.
Il risultato finale dell’applicazione del CARLIT non fornisce un valore assoluto, ma direttamente il rapporto di qualità ecologica (RQE).
La tabella seguente riporta i limiti di classe, espressi in termini di RQE, tra lo stato elevato e lo stato buono, e tra lo stato buono e lo stato sufficiente.

Tab. 4.3.1/d – Limiti di classe per Elemento di qualità biologica “MACROALGHE” secondo il
metodo CARLIT espresso in termini di RQE

Angiosperme – Prateria a Posidonia oceanica
Sistema di classificazione

Per l’EQB Posidonia oceanica si applica l’Indice PREI.
L’Indice PREI include il calcolo di cinque descrittori: la densità della prateria (fasci m-2); la
superficie fogliare fascio, (cm2 fascio-1); il rapporto tra la biomassa degli epifiti (mg fascio-1) e la biomassa fogliare fascio (mg fascio-1); la profondità del limite inferiore e la tipologia del limite inferiore.
La densità della prateria, la superficie fogliare fascio ed il rapporto tra la biomassa degli epifiti e la biomassa fogliare vengono valutati alla profondità standard di 15 m, su substrato sabbia o matte; nei casi in cui lo sviluppo batimetrico della prateria non consenta il campionamento alla profondità standard, può essere individuata, motivandone la scelta, una profondità idonea al caso specifico.
Le praterie a P.oceanica vengono monitorate nel piano infralitorale non influenzato da apporti d’acqua dolce significativi, ovvero nel macrotipo 3: bassa stabilità, siti costieri non influenzati da apporti d’acqua dolce e continentale.

Modalità di calcolo dell’indice PREI, condizioni di riferimento e limiti di classe
La modalità di calcolo dell’indice PREI prevede l’applicazione della seguente equazione:
RQE= (RQè+ 0,11)/(1 + 0,10)
dove


Ndensità = valore misurato – 0 / valore di riferimento – 0,
in cui 0 viene considerato il valore di densità indicativo di pessime condizioni .

Nsuperficie fogliare fascio= valore misurato – 0 / valore di riferimento – 0,
in cui 0 viene considerato il valore di superficie fogliare fascio indicativo di pessime condizioni .

Nbiomassa epifiti/biomassa fogliare= [1- (biomassa epifiti/biomassa fogliare)] * 0,5.

Nlimite inferiore= (N’ – 12) / (valore di riferimento profondità – 12),
in cui 12 m viene considerata la profondità minima del limite inferiore indicativa di pessime condizioni.

N’= profondità limite inferiore misurata + λ,

dove

λ= 0 (limite inferiore stabile),
λ=3 (limite inferiore progressivo),
λ = -3 (limite inferiore regressivo).

Il valore del PREI varia tra 0 ed 1 e corrisponde al Rapporto di Qualità Ecologica (RQE).
Il risultato finale dell’applicazione dell’Indice PREI non fornisce un valore assoluto, ma
direttamente il rapporto di qualità ecologica (RQE). La tabella 4.3.1/e riporta i limiti di classe, espressi in termini di RQE.
Nel sistema di classificazione seguente lo stato cattivo corrisponde ad una recente non
sopravvivenza di P. oceanica, ovvero, alla sua scomparsa da meno di cinque anni.

Tab. 4.3.1/e – Limiti di classe degli RQE per Elemento di Qualità Biologica “Posidonia oceanica”, e condizioni di riferimento riferiti ai valori dell’Indice PREI.

A.4.3.2 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità fisico-chimica e idromorfologica a sostegno
Nelle acque marino costiere con l’espressione: “a sostegno”, si intende che gli elementi di qualità fisico-chimica, salvo le eccezioni riportate nella Tab. 4.3.2/b, devono essere considerati nel sistema di classificazione dello stato ecologico, in quanto concorrono alla definizione di tale stato. Gli elementi idromorfologici devono essere utilizzati per migliorare l’interpretazione dei risultati biologici, in modo da pervenire all’assegnazione di uno stato ecologico certo. Si riportano di seguito le tabelle che indicano gli elementi idromorfologici, Tab. 4.3.2/a e fisicochimici, Tab. 4.3.2/b, a sostegno dei vari EQB.

Tab. 4.3.2/a- Elementi idromorfologici a sostegno dei vari EQB

* Gli elementi idromorfologici non rientrano nella classificazione finale ma sono utilizzati per una migliore interpretazione dei dati acquisiti per gli altri elementi di qualità

Tab. 4.3.2/b – Elementi fisico-chimici a sostegno dei vari EQB con indicazione dell’applicazione ai fini della classificazione dello stato ecologico

* Elementi fisico-chimici che rientrano nel sistema di classificazione dello stato ecologico da assegnare al corpo idrico **Elementi fisico-chimici che non rientrano nel sistema di classificazione dello stato ecologico da assegnare al corpo, ma sono utilizzati ai fini interpretavi dei risultati degli altri elementi

Elementi di qualità fisico-chimica e relativi limiti di classe

Ossigeno disciolto e nutrienti
L’ossigeno disciolto e i nutrienti, unitamente al parametro clorofilla a, sono valutati attraverso l’applicazione dell’Indice TRIX, al fine di misurare il livello trofico degli ambienti marino-costieri.
L’Indice TRIX può essere utilizzato non solo ai fini della valutazione del rischio eutrofico (acque costiere con elevati livelli trofici e importanti apporti fluviali), ma anche per segnalare scostamenti significativi dalle condizioni di trofia tipiche di aree naturalmente a basso livello trofico.
Ai fini dell’applicazione di tale indice, nella classificazione dello stato ecologico delle acque
marino-costiere, nella Tab. 4.3.2/c, vengono riportati i valori di TRIX (espressi come valore medio annuo), ossia i limiti di classe tra lo stato buono e quello sufficiente, per ciascuno dei macrotipi individuati su base idrologica.

Tab. 4.3.2/c – Limiti di classe, espressi in termini del TRIX, tra lo stato buono e quello sufficiente

Nella procedura di classificazione dello stato ecologico, il giudizio espresso per ciascun EQB deve essere perciò congruo con il limite di classe di TRIX: in caso di stato ecologico “buono” il corrispondente valore di TRIX deve essere minore della soglia riportata in tabella, per ciascuno dei tre macrotipi individuati. Qualora il valore del TRIX sia conforme alla soglia individuata dallo stato biologico, nell’esprimere il giudizio di stato ecologico si fa riferimento al giudizio espresso sulla base degli elementi di qualità biologica. Poiché il monitoraggio degli elementi fisico-chimici è annuale, alla fine del ciclo di monitoraggio operativo (3 anni) si ottengono tre valori di TRIX. Il valore di TRIX da attribuire al sito, si basa sul calcolo della media dei valori di TRIX ottenuti per ciascuno dei 3 anni di campionamento. Nel caso in cui le misure di risanamento ed intervento siano già in atto, si utilizzano solo i dati dell’ultimo anno.

Temperatura e salinità
La temperatura e la salinità sono elementi fondamentali per la definizione dei tipi: essi concorrono alla definizione della densità dell’acqua di mare e, quindi, alla stabilità, parametro su cui è basata la tipizzazione su base idrologica. Dalla stabilità della colonna d’acqua discende la tipo-specificità delle metriche e degli indici utilizzati per la classificazione degli EQB.

Trasparenza
Per la trasparenza, espressa come misura del Disco Secchi, si adotta la stessa risoluzione valida per gli elementi idromorfologici a sostegno: essa è utilizzata come elemento ausiliario per integrare e migliorare l’interpretazione del monitoraggio degli EQB, in modo da pervenire all’assegnazione di uno stato ecologico certo.

A.4.4 Acque di transizione
Fermo restando le disposizioni di cui alla lettera A.1 del punto 2 del presente allegato, sono
riportati, ai fini della classificazione dello stato ecologico delle acque di transizione, le metriche e/o gli indici da utilizzare per i seguenti elementi di qualità biologica:
– Macroalghe
– Fanerogame
– Macroinvertebrati bentonici

Tipizzazione e condizioni di riferimento
La suddivisione dei corpi idrici in tipi è funzionale alla definizione delle condizioni di riferimento tipo-specifiche.
Le condizioni di riferimento sono di seguito riportate per macrotipi, sulla base dell’escursione di marea e di intervalli di salinità (> 30 PSU e < 30 PSU) gli intervalli di salinità sono riferiti solo alla marea > 50 cm.
Pertanto ai fini della classificazione i corpi idrici di transizione sono distinti in tre macrotipi (vedi Tab. 4.4/a).

Tab. 4.4/a – Macrotipi ai fini della definizione delle condizioni di riferimento per gli elementi di qualità biologica macroalghe, fanerogame e macroinvertebrati bentonici.

I sistemi di classificazione dello stato ecologico per le acque di transizione definiti nel presente decreto non si applicano al tipo foci fluviali – delta.
Tali corpi idrici devono comunque essere tipizzati, secondo quanto previsto dall’allegato 3, sezione A del presente decreto e monitorati secondo quanto previsto dalla lettera A.3 del punto 2 del presente allegato

A.4.4.1 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità biologica

Fanerogame e macroalghe
Per l’EQB Macrofite, viene utilizzato l’indice E-MaQI, che integra i due elementi di qualità
biologica macroalghe e fanerogame.
L’affidabilità dell’indice è legata al numero di specie presenti nelle stazioni di monitoraggio;
l’applicabilità dell’indice richiede la presenza di almeno 20 specie.
Nel caso in cui il numero di specie presenti sia inferiore a 20, si applica l’indice R-MaQI,
modificato.

Valori di riferimento e limiti di classe
Le soglie relative al Rapporto di Qualità Ecologica (RQE) per la suddivisione dello stato nelle 5 classi previste è riportato in Tab. 4.1.1/a; i valori si applicano ai tre macrotipi (M-AT-1, M-AT-2, M-AT3).

Tab. 4.4.1/a – Limiti di classe per l’E-MaQI e per l’R-MaQI modificato.

Le condizioni di riferimento per l’indice E MaQI sono espresse in Tab. 4.1.1/b

Tab. 4.4.1/b – Valori di riferimento per l’applicazione dell’indice E-MaQI per i diversi macrotipi

L’indice R-MaQI modificato restituisce direttamente il rapporto di qualità ecologica (RQE),le
condizioni di riferimento dell’indice sono intrinseche nel metodo.

Macroinvertebrati bentonici
Per l’EQB Macroinvertebrati bentonici ai fini della classificazione dello stato di qualità viene
applicato l’indice M-AMBI e facoltativamente anche l’indice BITS.
L’M-AMBI è un indice multivariato che deriva da una evoluzione dell’AMBI integrato con l’Indice di diversità di Shannon-Wiener ed il numero di specie (S). La modalità di calcolo dell’M-AMBI
prevede l’elaborazione delle suddette 3 componenti con tecniche di analisi statistica multivariata.
Per il calcolo dell’indice è necessario l’utilizzo di un software gratuito (AZTI Marine Biotic Index-New Version AMBI 4.1) da applicarsi con l’ultimo aggiornamento già disponibile della lista delle specie. Il valore dell’M-AMBI varia tra 0 ed 1 e corrisponde al Rapporto di Qualità Ecologica (RQE).
In aggiunta può essere utilizzato anche l’indice BITS.
L’applicazione dell’indice BITS è finalizzata ad un’eventuale sostituzione dell’M-AMBI nei
successivi piani di gestione.

Valori di riferimento e limiti di classe

Tab. 4.4.1/c – Limiti di classe in termini di RQE per l’M-AMBI

Le condizioni di riferimento sono state definite sulla base di un criterio misto statistico/geografico.
L’indice M-AMBI è un indice multivariato, pertanto le condizioni di riferimento vanno indicate per i tre indici che lo compongono: AMBI, Indice di Diversità di Shannon-Wiener e numero di specie (S).

Tab. 4.4.1/d – Valori di riferimento tipo-specifiche per l’applicazione dell’M-AMBI

Tab. 4.4.1/e – Limiti di classe in termini di RQE per il BITS

Tab. 4.4.1/f – Valori di riferimento tipo-specifiche per l’applicazione del BITS

A.4.4.2 Criteri tecnici per la classificazione sulla base degli elementi di qualità fisico-chimica e idromorfologici a sostegno

Nella classificazione dello stato ecologico delle acque di transizione gli elementi fisico –chimici a sostegno del biologico da utilizzare sono i seguenti:
– Azoto inorganico disciolto (DIN);
– Fosforo reattivo (P-PO4);
– Ossigeno disciolto;
Limiti di classe per gli elementi di qualità fisico-chimica a sostegno
Si riportano in Tab. 4.4.2/a di seguito i limiti di classe degli elementi fisico-chimici a sostegno degli elementi di qualità biologica per la classificazione dello stato ecologico dei corpi idrici di transizione. I limiti di classe per l’azoto sono definiti per 2 diverse classi di salinità (>30 psu e <30 psu). Il limite per il fosforo reattivo è definito per gli ambienti con salinità >30 psu.

Tab. 4.4.2/a – Limiti di classe per gli elementi di qualità fisico-chimica nella colonna d’acqua

Note alla tab. 4.4.2/a *Valore espresso come medio annuo; considerata l’influenza degli apporti di acqua dolce, per la definizione degli standard di qualità dell’azoto e del fosforo si forniscono valori tipo-specifici in relazione alla salinità dei corpi idrici. **Anossia: valori dell’ossigeno disciolto nelle acque di fondo compresi fra 0-1.0 mg/l (campionamento effettuato in continuo) (ex D.Lgs 152/99), Ipossia: valori dell’ossigeno disciolto nelle acque di fondo compresi fra 1-2.0 mg/l (campionamento effettuato in continuo) (ex D.Lgs 152/99)

Criteri di utilizzo degli elementi di qualità fisico-chimica a sostegno

Nutrienti
Qualora gli elementi di qualità biologica monitorati consentano di classificare le acque di
transizione in stato buono o elevato, ma, per uno o entrambi i nutrienti, siano superati i limiti di classe riportati in Tab 4.4.2/a , e comunque di un incremento non superiore al 75% del limite di classe riportato nella suddetta tabella, le autorità competenti possono non declassare automaticamente a sufficiente il corpo idrico, purché attivino un approfondimento dell’attività conoscitiva, un’ analisi delle pressioni e degli impatti ed il contestuale avvio di un monitoraggio di indagine basato su:
a) la verifica dello stato degli elementi di qualità biologica rappresentativi dello stato trofico
del corpo idrico (macroalghe, angiosperme e fitoplancton);
b) il controllo dei nutrienti con frequenza mensile.

Le attività necessarie ad escludere il declassamento del corpo idrico come sopra indicato rivestono durata minima diversa a seconda dell’entità del superamento:
1) superamento<50% di uno o entrambi i parametri:

  •  il monitoraggio d’indagine sopra dettagliato è eseguito per un solo anno;
  • il corpo idrico può essere classificato in stato buono anche alla fine del successivo
    monitoraggio operativo, senza effettuare un ulteriore monitoraggio di indagine,
    purché risultino assenti impatti sulla comunità biologica indagata e non sia presente
    una tendenza significativa di aumento della concentrazione dei nutrienti;
    Se il superamento dei limiti di classe dei nutrienti riportati in Tab 4.4.2/a si verifica durante il monitoraggio di sorveglianza, il monitoraggio dei parametri fisico-chimici della colonna d’acqua deve essere effettuato per i 2 anni successivi al campionamento.

2) un superamento > 50%, e comunque inferiore a 75%, di uno o entrambi i parametri:

  • il monitoraggio di indagine sopra dettagliato è seguito per due anni consecutivi;
  • il corpo idrico può essere classificato in stato buono anche alla fine del successivo
    monitoraggio operativo, senza effettuare un ulteriore monitoraggio di indagine,
    purché risultino assenti impatti sulla comunità biologica indagata e non sia presente
    una tendenza significativa di aumento della concentrazione dei nutrienti;
  • il monitoraggio di indagine negli anni intermedi tra i successivi monitoraggi operativi può essere proseguito a giudizio dell’autorità competente.
    Resta fermo che anche in caso di esito positivo delle suddette attività volte ad escludere il declassamento, il corpo idrico è classificato in stato buono, anche nel caso in cui gli EQB siano in stato elevato.
    Nel caso in cui non sia attivata la procedura volta ad escludere il declassamento del corpo idrico sopra descritta, poiché il monitoraggio degli elementi fisico-chimici è annuale, alla fine del ciclo di monitoraggio operativo (tre anni) si ottengono tre valori di concentrazione dei nutrienti. Il valore di concentrazione da utilizzare per la classificazione è la media dei valori ottenuti per ciascuno dei tre anni di campionamento. Nel caso in cui le misure di risanamento ed intervento siano già in atto, si utilizzano solo i dati dell’ultimo anno.

Ossigeno
Qualora gli elementi di qualità biologica, controllati nel monitoraggio di sorveglianza od operativo, consentano di classificare le acque di transizione in stato buono o elevato ma si verifichino condizioni di anossia/ipossia si procede come descritto di seguito:
1) Condizioni di anossia6 per 1 o più giorni all’interno di un anno
Il corpo idrico viene automaticamente classificato in stato ecologico sufficiente.


6 Anossia: valori dell’ossigeno disciolto nelle acque di fondo compresi fra 0-1,0 mg/l (campionamento effettuato in continuo) (ex D.Lgs 152/99)


2) Condizioni di anossia7 di durata inferiore ad 1 giorno ma ripetute per più giorni consecutivi e/o condizioni di ipossia8 per più di 1 giorno/anno.

Si effettua per i due anni successivi e consecutivi al campionamento la verifica dello stato dei macroinvertebrati bentonici (anche qualora non selezionati per il monitoraggio operativo) quali elementi di qualità biologica indicativi delle condizioni di ossigenazione delle acque di fondo, al fine di verificare un eventuale ritardo nella risposta biologica.
In assenza di impatti sulla comunità biologica per due anni consecutivi, il corpo idrico può essere classificato in buono stato ecologico (anche nel caso in cui gli EQB siano in stato elevato), in caso contrario si classifica come sufficiente.
Alla fine del ciclo di monitoraggio operativo (tre anni), si classifica sulla base del valore peggiore nei tre anni. Nel caso in cui le misure di risanamento ed intervento siano già in atto, allora si utilizzano solo i dati dell’ultimo anno.
Il superamento dei limiti dell’ossigeno comporta il monitoraggio dei parametri fisico-chimici della colonna d’acqua per i successivi 2 anni anche nel caso di monitoraggio di sorveglianza.
Qualora il posizionamento della sonda per il rilevamento in continuo dell’ossigeno ponga dei
problemi di gestione possono essere dedotti indirettamente fenomeni di anossia pregressi o in corso, dalla concentrazione del parametro ferro labile (LFe) e del rapporto tra i solfuri volatili disponibili e il ferro labile (AVS/LFe) entrambi rilevati nei sedimenti.
Al riguardo le frequenze di campionamento dei suddetti parametri sono le seguenti:

  • tra giugno e luglio e tra fine agosto e settembre (in concomitanza con le maree di
    quadratura) quando il rischio di anossia è elevato;
  • tra febbraio e marzo (in concomitanza con le maree di sizigia) quando la
    riossigenazione del sistema è massima.
    Di seguito sono riportati i limiti di classe per il ferro labile (Lfe) e per il rapporto tra i solfuri volatilidisponibili e il ferro labile (AVS/Lfe)

Tab. 4.4.2/b– Limiti di classe per il ferro labile (LFe) e il rapporto tra i solfuri volatili disponibili e il ferro labile (AVS/Lfe) nei sedimenti. 

Altri parametri
Il valore della trasparenza e della temperatura non concorrono direttamente alla classificazione dello stato ecologico, ma sono utilizzati per migliorare l’interpretazione dei risultati biologici evidenziare eventuali anomalie di origine antropica. Lo stesso criterio vale per i parametri fisicochimici a sostegno, indicati nel protocollo di monitoraggio ISPRA per i quali non sono stati definiti valori di soglia.


7 Anossia: valori dell’ossigeno disciolto nelle acque di fondo compresi fra 0-1,0 mg/l (campionamento effettuato in continuo) (ex D.Lgs 152/99)
8 Ipossia: valori dell’ossigeno disciolto nelle acque di fondo compresi fra 1-2,0 mg/l (campionamento effettuato in continuo) (ex D.Lgs 152/99)   


Elementi di qualità idromorfologica a sostegno
La valutazione degli elementi di qualità idromorfologica influenza la classificazione dello stato ecologico solo nel passaggio tra stato “buono ed elevato”.
I parametri idromorfologici a supporto degli elementi di qualità biologica previsti dalla tab. A.1.1 del punto 2 del presente allegato sono:

Condizioni morfologiche
– variazione della profondità
– massa, struttura e substrato del letto
– struttura della zona intertidale
Regime di marea
– flusso di acqua dolce
– esposizione alle onde
Le condizioni idromorfologiche dei corpi idrici di transizione per gli elementi sopra indicati sono valutate tramite giudizio esperto, come di seguito indicato.

Variazione della profondità
I dati di profondità derivanti dai rilievi morfobatimetrici dei fondali previsti dalla lettera A.3.3.4 del punto 2 dell’allegato 1 al presente decreto da eseguirsi sono utilizzati secondo le frequenze riportate nella tabella 3.7 del punto 2 del presente allegato, almeno una volta nell’arco temporale del Piano di Gestione.
E’ necessario indicare la presenza di attività antropiche rilevanti, quali dragaggio di canali e
bassofondali o ripascimenti.

Struttura della zona intertidale
La valutazione della struttura della zona intertidale comprende diversi aspetti, quali l’estensione degli habitat caratteristici (es. barene, velme) e la copertura e composizione della vegetazione.
Per una prima analisi è utile l’utilizzo di supporti cartografici e di foto aeree o satellitari, integrate dai risultati dell’attività di monitoraggio della vegetazione da eseguirsi secondo le frequenze riportate nella tabella 3.7 del punto 2 del presente allegato.

Massa struttura e composizione del substrato.
Per l’analisi del substrato si utilizzano i dati rilevati in corrispondenza delle stazioni di
macroinvertebrati e angiosperme, ovvero granulometria, densità e contenuto organico del
sedimento. Qualora tali elementi di qualità biologica, nel caso di monitoraggio operativo, non siano stati selezionati, è necessario provvedere a appositi campionamenti del substrato o utilizzare informazioni derivanti da altre attività di monitoraggio.
Va inoltre considerata la presenza di attività antropiche rilevanti, quali ripascimenti con sedimenti di diverse caratteristiche.

Flusso di acque dolce
L’analisi diretta della variazione dei flussi d’acqua dolce è possibile qualora siano attive (o previste) stazioni di monitoraggio degli apporti d’acqua derivanti dai corsi d’acqua o artificialmente da idrovore e altri scarichi (possibilmente integrati dagli altri elementi conoscitivi utili alla determinazione del bilancio idrologico del corpo idrico).
Ad integrazione delle analisi, le variazioni di flusso di acqua dolce possono essere indirettamente valutate tramite i dati di salinità derivanti dai campionamenti della matrice acqua previsti in corrispondenza delle stazioni di monitoraggio degli elementi di qualità biologica o integrati da dati derivanti da altre attività di monitoraggio.
Esposizione alle onde Non si ritiene necessaria l’installazione obbligatoria nelle acque di transizione di ondametri per l’analisi del moto ondoso. L’impiego di tali strumenti può essere previsto nel caso in cui, dall’analisi delle condizioni morfologiche, siano evidenti fenomeni di erosione e instabilità del substrato dei bassofondali o delle zone interditali e si ritenga necessaria la quantificazione delle pressioni idrodinamiche.

A.4.5 Elementi chimici a sostegno (altri inquinanti specifici di cui all’allegato 8 e non appartenenti all’elenco di priorità)

Per la classificazione dello stato ecologico attraverso gli elementi chimici a sostegno si deve fare riferimento a quanto riportato nella tabella 4.5/a in merito alla definizione di stato elevato, buono sufficiente. Per la classificazione del triennio del monitoraggio operativo si utilizza il valore peggiore della media calcolata per ciascun anno. Nel caso del monitoraggio di sorveglianza si fa riferimento al valor medio di un singolo anno; qualora nell’arco dei sei anni le regioni programmino il monitoraggio di sorveglianza per più di un anno si deve considerare il valore medio annuale peggiore. Qualora nel medesimo corpo idrico si monitorino più siti per il rilevamento dei parametri chimici ai fini della classificazione del corpo idrico si considera lo stato peggiore tra quelli attribuiti alle singole stazioni.

Tab. 4.5/a – Definizioni dello stato Elevato, Buono e Sufficiente per gli elementi chimici a sostegno

Per la selezione delle sostanze chimiche, rimangono ferme le disposizioni di cui alla lettera A.3.2.5 e A.3.3.4 del presente allegato

A.4.6 Identificazione dello stato delle acque superficiali e relativa presentazione

A.4.6.1 Stato ecologico

Lo stato ecologico del corpo idrico è classificato in base alla classe più bassa, risultante dai dati di monitoraggio, relativa agli:
– elementi biologici;
– elementi fisico-chimici a sostegno, ad eccezione di quelli indicati, nel presente allegato,
come utili ai fini interpretativi;
– elementi chimici a sostegno (altre sostanze non appartenenti all’elenco di priorità).

Qualora lo stato complessivo risulti “elevato”, è necessario provvedere ad una conferma mediante l’esame degli elementi idromorfologici. Se tale conferma risultasse negativa, il corpo idrico è declassato allo stato “buono”.
Fanno eccezione le acque marino-costiere per le quali gli elementi idromorfologici non rientrano nella classificazione finale ma sono utilizzati per una migliore interpretazione dei dati acquisiti per gli altri elementi di qualità.
Si riportano di seguito gli schemi che chiariscono le 2 fasi necessarie per arrivare alla
classificazione ecologica dei corpi idrici superficiali.

Fase I: Integrazione tra gli elementi biologici, fisico-chimici e idromorfologici (distinta per fiumi, laghi/invasi e acque marino costiere/acque di transizione)

A) FIUMI

(1) Lo stato elevato deve essere confermato dagli elementi idromorfologici a sostegno

 

B) LAGHI E INVASI

(1) Lo stato elevato deve essere confermato dagli elementi idromorfologici a sostegno

C) ACQUE MARINO COSTIERE E ACQUE DI TRANSIZIONE

(1) Per le Acque di transizione, ma non per le Acque marino-costiere, lo stato elevato deve essere confermato dagli elementi idromorfologici a sostegno. (2) Per le acque marino costiere e le acque di transizione non è stato distinto un limite di classe tra lo stato elevato e il buono. (3) Per le acque di transizione se al termine del processo di verifica previsto dal decreto non si evidenzia la presenza di criticità per le comunità biologiche e il superamento delle soglie dei nutrienti è inferiore al 75% i corpi idrici possono essere classificati in stato buono (se elementi biologici sono in stato elevato o buono). Le Autorità competenti possono in caso di superamento della soglia declassare il corpo idrico a sufficiente evitando di attivare il processo di verifica.

Fase II: Integrazione risultati della Fase I con gli elementi chimici (altri inquinanti specifici)

Secondo passaggio: Integrazione Primo passaggio / Elementi chimici a sostegno

Presentazione dello stato ecologico Per le varie categorie di acque superficiali, le Autorità competenti forniscono una mappa che riporta la classificazione dello stato ecologico di ciascun corpo idrico secondo lo schema cromatico delineato nella tabella 4.6.1/a di seguito riportata. Le Autorità competenti indicano inoltre, con un punto nero sulla mappa, i corpi idrici per cui lo stato ecologico non è stato raggiunto a causa del mancato soddisfacimento di uno o più degli standard di qualità ambientale fissati per il corpo idrico in questione relativamente a determinati inquinanti sintetici e non sintetici.

Tab. 4.6.1/a – Schema cromatico per la presentazione delle classi dello stato ecologico

A.4.6.2 Potenziale ecologico

Per i corpi idrici fortemente modificati o artificiali, il potenziale ecologico del corpo idrico in
questione è classificato in base al più basso dei valori riscontrati durante il monitoraggio biologico, fisico-chimico e chimico (inquinanti specifici) relativamente ai corrispondenti elementi qualitativi classificati secondo la prima colonna della tabella 4.6.2/a di seguito riportata. Le Autorità competenti forniscono una mappa che riporta la classificazione del potenziale ecologico di ciascun corpo idrico secondo lo schema cromatico delineato, per i corpi idrici artificiali, nella seconda colonna della medesima tabella e, per quelli fortemente modificati, nella terza. Le Autorità competenti indicano inoltre, con un punto nero sulla mappa, i corpi idrici per cui il buon potenziale ecologico non è stato raggiunto a causa del mancato soddisfacimento di uno o più degli standard di qualità ambientale fissati per il corpo idrico in questione relativamente a determinati inquinanti sintetici e non sintetici.

Tab. 4.6.2/a – Schema cromatico per la presentazione delle classi del potenziale ecologico

A.4.6.3 Stato chimico

In conformità a quanto riportato al punto A.2.6 e A.2.8 del presente allegato, il corpo idrico che soddisfa, per le sostanze dell’elenco di priorità, tutti gli standard di qualità ambientale fissati al punto 2, lettera A.2.6 tabella 1/A, o 2/A del presente allegato, è classificato in buono stato chimico.
In caso negativo, il corpo idrico è classificato come corpo idrico cui non è riconosciuto il buono stato chimico.
Per la selezione delle sostanze chimiche, rimangono ferme le disposizioni di cui alla lettera A.3.2.5 e A.3.3.4 del presente allegato.
Le Autorità competenti forniscono una mappa che indica lo stato chimico di ciascun corpo idrico secondo lo schema cromatico delineato nella seconda colonna della tabella 4.6.3/a di seguito riportata per rispecchiare la classificazione dello stato chimico del corpo idrico.

Tab. 4.6.3/a – Schema cromatico per la rappresentazione delle classi dello stato chimico

A.4.6.4 Trasmissione dati

I dati di cui ai punti A.4.6.1, A.4.6.2 e A.4.6.3 sono parte integrante delle informazioni fornite ai sensi del decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 17 luglio 2009 recante: “ Individuazione delle informazioni territoriali e modalità per la raccolta, lo scambio e l’utilizzazione dei dati necessari alla predisposizione dei rapporti conoscitivi sullo stato di attuazione degli obblighi comunitari e nazionali in materia di acque”.

B. ACQUE SOTTERRANEE

Buono stato delle acque sotterranee

Parte A – Buono stato chimico

Nella Tabella 1 è riportata la definizione di buono stato chimico delle acque sotterranee.

Tabella 1- definizione del buono stato chimico

A.1 – Standard di qualità

Nella Tabella 2 sono inclusi gli standard di qualità individuati a livello comunitario.

Tabella 2- Standard di qualità

* Per pesticidi si intendono i prodotti fitosanitari e i biocidi, quali definiti all’articolo 2,
rispettivamente del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, e del decreto legislativo 25 febbraio
2000, n. 174.
** “Totale” significa la somma di tutti i singoli pesticidi individuati e quantificati nella procedura di
monitoraggio, compresi i corrispondenti metaboliti e i prodotti di degradazione e reazione.

  • I risultati dell’applicazione degli standard di qualità per i pesticidi ai fini del presente
    decreto non pregiudicano i risultati delle procedure di valutazione di rischio prescritte dal
    decreto, n. 194 del 1995 dal decreto del Presidente della Repubblica 23 aprile 2001, n. 290, e dal decreto n. 174 del 2000.
  • Quando per un determinato corpo idrico sotterraneo si considera che gli standard di qualità in materia possono impedire il conseguimento degli obiettivi ambientali specificati agli articoli 76 e 77 del decreto n.152 del 2006 per i corpi idrici superficiali connessi o provocare un deterioramento significativo della qualità ecologica o chimica di tali corpi o un danno significativo agli ecosistemi terrestri direttamente dipendenti dal corpo idrico sotterraneo sono stabiliti valori soglia più severi conformemente all’articolo 3 e all’Allegato 3. I programmi e le misure richiesti in relazione a tali valori soglia si applicano anche alle attività che rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 92 del decreto n.152 del 2006.

A.2 – Valori soglia ai fini del buono stato chimico

Il superamento dei valori soglia di cui alla tabella 3, in qualsiasi punto di monitoraggio è indicativo del rischio che non siano soddisfatte una o più condizioni concernenti il buono stato chimico delle acque sotterranee di cui all’articolo 4, comma 2, lettera c, punti 1, 2 e 3. I valori soglia di cui alla tabella 3 si basano sui seguenti elementi: l’entità delle interazioni tra acque sotterranee ed ecosistemi acquatici associati ed ecosistemi terrestri che dipendono da essi; l’interferenza con legittimi usi delle acque sotterranee, presenti o futuri; la tossicità umana, l’ecotossicità, la tendenza alla dispersione, la persistenza e il loro potenziale di bioaccumulo.

Tabella 3- Valori soglia da considerare ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del presente decreto

Nei corpi idrici sotterranei in cui è dimostrata scientificamente la presenza di metalli e altri
parametri di origine naturale in concentrazioni di fondo naturale superiori ai limiti fissati in tabella, tali livelli di fondo costituiscono i valori soglia per la definizione del buono stato chimico.

  • Per i pesticidi per cui sono stati definiti i valori soglia si applicano tali valori in sostituzione dello standard di qualità individuato alla tabella 2.
  • Per i metalli il valore dello standard di qualità si riferisce alla concentrazione disciolta, cioè alla fase disciolta di un campione di acqua ottenuta per filtrazione con un filtro da 0,45 􀁐m.
  • Per tutti gli altri parametri il valore si riferisce alla concentrazione totale nell’intero
    campione di acqua
    * Tali valori sono cautelativi anche per gli ecosistemi acquatici e si applicano ai corpi idrici sotterranei che alimentano i corpi idrici superficiali e gli ecosistemi terrestri dipendenti. Le Regioni, sulla base di una conoscenza approfondita del sistema idrologico superficiale e sotterraneo, possono applicare ai valori di cui alla colonna (*) fattori di attenuazione o diluizione. In assenza di tale conoscenza, si applicano i valori di cui alla medesima colonna.
    ** Per il cadmio e composti i valori dei valori soglia variano in funzione della durezza dell’acqua classificata secondo le seguenti quattro categorie: Classe 1: <50 mg CaCO3/l, Classe 2: da 50 a <100 mg CaCO3/l, Classe 3: da 100 a <200 mg CaCO3/l e Classe 4: 􀂕200 mg CaCO3/l.
    *** Il DDT totale comprende la somma degli isomeri 1,1,1-tricloro-2,2 bis(p-clorofenil)etano (numero CAS 50-29-3; numero UE 200-024-3), 1,1,1-tricloro-2(o-clorofenil)-2-(pclorofenil) etano (numero CAS 789-02-6; numero UE 212-332-5), 1,1-dicloro-2,2 bis(pclorofenil) etilene (numero CAS 72-55-9; numero UE 200-784-6) e 1,1-dicloro-2,2 bis(pclorofenil) etano (numero CAS 72-54-8; numero UE 200-783-0).
    **** Il valore della sommatoria deve far riferimento ai seguenti congeneri: 28,52, 77, 81, 95, 99, 101, 105, 110, 114, 118, 123, 126, 128, 138, 146, 149, 151, 153, 156, 157, 167, 169,170, 177, 180,
    183, 187, 189.

A.2.1 Applicazione degli standard di qualità ambientale e dei valori soglia

1 La conformità del valore soglia e dello standard di qualità ambientale deve essere calcolata attraverso la media dei risultati del monitoraggio, riferita al ciclo specifico di monitoraggio, ottenuti in ciascun punto del corpo idrico o gruppo di corpi idrici sotterranei.

2 Il limite di rivelabilità è definito come la più bassa concentrazione di un analita nel
campione di prova che può essere distinta in modo statisticamente significativo dallo zero o
dal bianco. Il limite di rivelabilità è calcolato come la somma di 3 volte lo scarto tipo del
segnale ottenuto dal bianco e della concentrazione media del bianco.

3 Il limite di quantificazione è definito come la più bassa concentrazione di un analita che può essere determinato in modo quantitativo con una determinata incertezza. Il limite di quantificazione è definito come 3 volte il limite di rivelabilità.

4 Incertezza di misura: è il parametro associato al risultato di una misura che caratterizza la dispersione dei valori che possono essere attribuiti al parametro.

5 Il risultato è sempre espresso indicando lo stesso numero di decimali usato nella
formulazione dello standard.

6 I criteri minimi di prestazione per tutti i metodi di analisi applicati sono basati su
un’incertezza di misura del 50% o inferiore (k=2) stimata ad un livello pari al valore degli
standard di qualità ambientali e su di un limite di quantificazione uguale o inferiore al 30%
dello standard di qualità ambientale.

7 Ai fini dell’elaborazione della media, nell’eventualità che un risultato analitico sia inferiore
al limite di quantificazione della metodica analitica utilizzata viene utilizzato il 50% del
valore del limite di quantificazione .

8 Il paragrafo 7 non si applica alle sommatorie di sostanze, inclusi i loro metaboliti e prodotti di reazione o degradazione. In questi casi i risultati inferiori al limite di quantificazione delle singole sostanze sono considerati zero.

9 Nel caso in cui il 90% dei risultati analitici siano sotto il limite di quantificazione non è
effettuata la media dei valori; il risultato è riportato come “minore del limite di
quantificazione”.

10 I metodi analitici da utilizzare per la determinazione dei vari analiti previsti nelle tabelle del presente Allegato fanno riferimento alle più avanzate tecniche di impiego generale. Tali
metodi sono tratti da raccolte di metodi standardizzati pubblicati a livello nazionale o a
livello internazionale e validati in accordo con la norma UNI/ ISO/ EN 17025.

11 Per le sostanze inquinanti per cui allo stato attuale non esistono metodiche analitiche
standardizzate a livello nazionale e internazionale si applicano le migliori tecniche
disponibili a costi sostenibili riconosciute come appropriate dalla comunità analitica
internazionale. I metodi utilizzati, basati su queste tecniche, presentano prestazioni minime
pari a quelle elencate nel punto 6 e sono validati in accordo con la norma UNI/ ISO/EN
17025.

12 a) per le sostanze per cui non sono presenti metodi analitici normalizzati, in attesa che
metodi analitici validati ai sensi della ISO 17025 siano resi disponibili da ISPRA, in
collaborazione con IRSA-CNR ed ISS, il monitoraggio sarà effettuato utilizzando le
migliori tecniche, sia da un punto di vista scientifico che economico, disponibili.
b) I risultati delle attività di monitoraggio pregresse, per le sostanze inquinanti
di cui al punto 11, sono utilizzati a titolo conoscitivo.

Parte B – Stato quantitativo

Nella Tabella 4 è riportata la definizione di buono stato quantitativo delle acque sotterranee.

Tabella 4- Definizione di buono stato quantitativo

La media annua dell’estrazione a lungo termine di acque sotterranee è da ritenersi tale da non esaurirne le risorse idriche qualora non si delineino diminuzioni significative, ovvero trend negativi significativi, delle medesime risorse.
Ai fini della valutazione della conformità a dette condizioni, è necessario, nell’ambito della
revisione dei piani di gestione e dei piani di tutela da pubblicare nel 2015, acquisire le informazioni utili a valutare il bilancio idrico.

Monitoraggio dei corpi idrici sotterranei
Al fine di controllare lo stato quali-quantitativo di un corpo idrico, è necessario realizzare due specifiche reti di monitoraggio volte a rilevare:

a) per lo stato quantitativo, una stima affidabile dello stato di tutti i corpi idrici o gruppo di corpi idrici sotterranei, compresa la stima delle risorse idriche sotterranee disponibili;

b) per lo stato chimico, una panoramica corretta e complessiva dello stato chimico delle acque sotterranee all’interno di ciascun bacino idrogeologico e tale da rilevare eventuali trend crescenti dell’inquinamento antropico sul lungo periodo.

I programmi di monitoraggio delle acque sotterranee ricadenti all’interno di ciascun bacino
idrografico devono comprendere:

a) una rete per il monitoraggio quantitativo: al fine di integrare e validare la caratterizzazione e la definizione del rischio di non raggiungere l’obiettivo di buono stato quantitativo per tutti i corpi idrici o gruppi di corpi idrici, di cui alla Parte B dell’Allegato 1; il principale obiettivo è, quindi, quello di facilitare la valutazione dello stato quantitativo dei corpi idrici sotterranei;

b) una rete per il monitoraggio chimico che si articola in:

1. una rete per il monitoraggio di sorveglianza: al fine di integrare e validare la caratterizzazione e la identificazione del rischio di non raggiungere l’obiettivo di buono stato chimico per tutti i corpi idrici o gruppi di corpi idrici, di cui alla Parte B dell’Allegato 1; fornire informazioni utili a valutare le tendenze a lungo termine delle condizioni naturali e delle concentrazioni di inquinanti derivanti dall’attività antropica; indirizzare, in concomitanza con l’analisi delle pressioni e degli impatti, il monitoraggio operativo;

2. una rete per il monitoraggio operativo: al fine di stabilire lo stato di qualità di tutti i corpi idrici o gruppi di corpi idrici definiti a rischio; stabilire la presenza di significative e durature tendenze ascendenti nella concentrazione di inquinanti.
Nei corpi idrici sotterranei destinati all’approvvigionamento idropotabile, in caso di particolari pressioni, sono considerati nel monitoraggio anche l’Escherichia Coli, come indicatore microbiologico, e le sostanza chimiche di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 “Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano”.
Detti parametri sono monitorati almeno una volta prima ed una durante ciascun periodo di
pianificazione della gestione del bacino idrografico. Con particolare riferimento all’Escherichia Coli, tale parametro non è utilizzato ai fini della classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici, ma come indicatore per l’individuazione delle misure da intraprendere. Inoltre, lo stesso parametro è monitorato solo in assenza di adeguati controlli.

I risultati dei programmi di monitoraggio devono essere utilizzati per:

a) stabilire lo stato chimico e quantitativo di tutti i corpi idrici sotterranei, inclusa una
valutazione delle risorse idriche sotterranee disponibili;
b) supportare l’ ulteriore caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei;
c) validare la valutazione del rischio;
d) stimare la direzione e la portata delle acque sotterranee che oltrepassano la frontiera tra Stati Membri;
e) assistere la progettazione dei programmi di misure;
f) valutare l’efficacia dei programmi di misure;
g) dimostrare la conformità con gli obiettivi delle aree protette comprese le aree protette
designate per l’estrazione di acque destinate al consumo umano;
h) definire la qualità naturale delle acque sotterranee, incluse le tendenze naturali;
i) identificare le tendenze nella concentrazione di inquinanti di origine antropica e la loro
inversione.

Le Regioni assicurano che i programmi di monitoraggio dei corpi idrici sotterranei siano basati su:
a) l’identificazione dei corpi idrici di cui all’Allegato 1, Parte A;
b) i risultati della caratterizzazione, compresa la valutazione del rischio, di cui
all’Allegato 1, Parte B;
c) il modello concettuale di cui all’Allegato 1, Parte C.

I monitoraggi, da effettuarsi con modalità e frequenze stabilite nel presente Allegato, hanno valenza sessennale, al fine di contribuire alla revisione dei piani di gestione del bacino idrografico, all’interno di ciascun distretto, e dei piani di tutela delle acque. Il primo periodo sessennale è 2010- 2015. Resta fermo che i risultati del monitoraggio effettuato nel periodo 2008, ai sensi del decreto n. 152 del 2006, sono utilizzati per la predisposizione del primo piano di gestione da pubblicare entro il 22 dicembre 2009.
Caratteristiche dei siti per il monitoraggio chimico e per il monitoraggio quantitativo
La selezione, l’ubicazione e l’appropriata densità di siti di monitoraggio devono essere basate sul modello concettuale (caratteristiche idrogeologiche e pressioni) e possono essere supportate dalle seguenti informazioni esistenti:
a) dati esistenti sulla qualità e/o quantità;
b) caratteristiche costruttive degli esistenti siti di monitoraggio e regime delle
estrazioni;
c) distribuzione spaziale dei siti esistenti in rapporto alle dimensioni del corpo idrico
sotterraneo;
d) considerazioni pratiche inerenti la facilità di accesso, l’accesso a lungo termine e la
sicurezza.
La selezione di appropriati tipi di siti di monitoraggio all’interno di una rete a livello di corpi idrici sotterranei deve essere basata sulla conoscenza degli obiettivi del monitoraggio, del tempo di percorrenza e/o dell’età delle acque sotterranee che nel sito di monitoraggio vengono campionati.
Queste conoscenze possono essere migliorate con la datazione delle acque sotterranee, attraverso specifiche metodiche quali, ad esempio, Trizio e Carbonio-14. Le coppie isotopiche 18O/ 16O e 2 H/1H danno informazioni sul tasso di rinnovamento delle falde e permettono di distinguere gli acquiferi confinati da quelli liberi; inoltre, permettono di identificare le zone di ricarica in relazione ai dati isotopici dell’acqua piovana.
Le informazioni dettagliate sui siti devono essere disponibili e revisionate periodicamente. Dette informazioni, riportate a livello indicativo nella successiva tabella 1, devono essere usate per valutare l’adeguatezza del sito e costituiscono supporto per l’individuazione dei programmi di monitoraggio pertinenti.

Tabella 1- Informazioni utili per un sito di monitoraggio

* (E): informazioni essenziali. Per quanto riguarda le altre informazioni non identificate come essenziali, se ne raccomanda la raccolta.

Per la selezione dei siti del monitoraggio quantitativo si riportano le seguenti indicazioni:
a) nei siti di monitoraggio non si devono svolgere attività di pompaggio o possono essere
svolte solo per periodi brevi e in tempi ben definiti, e comunque interrotto per tempi
significativi, in modo tale che le misurazioni del livello idrico riflettano le condizioni
naturali;
b) l’ubicazione dei siti deve essere al di fuori del raggio di influenza idraulico della pressione
(pompaggio) così che le variazioni quotidiane dovute al pompaggio non siano evidenziate
nei dati di monitoraggio.
c) possono essere utilizzate sorgenti caratterizzate da una portata totale superiore a 1
litro/secondo.

Ove non vi siano alternative, i dati provenienti da siti che fungono da pozzi di estrazione continua possono essere ritenuti accettabili solo se vi siano opportune correlazioni tra il livello statico ed il livello dinamico.
Al fine di ottimizzare i monitoraggi previsti da specifiche disposizioni in relazione a differenti
obiettivi, è raccomandato, ove possibile, procedere alla individuazione di siti comuni rappresentativi dei diversi obiettivi. Tale pratica costituisce il monitoraggio integrato che contribuisce significativamente ad un monitoraggio a basso rapporto costi/efficacia, combinando i requisiti del monitoraggio di cui all’art. 92, comma 5, del decreto n.152 del 2006, alle aree protette designate per l’estrazione di acque destinate al consumo umano, alla registrazione di prodotti per la protezione delle piante o biocidi, di cui al decreto n. 59 del 2005, e la conformità al presente decreto legislativo.

4.1 Raggruppamento dei corpi idrici
I corpi idrici sotterranei possono essere raggruppati ai fini del monitoraggio garantendo che le informazioni ottenute forniscano una valutazione affidabile dello stato di ciascun corpo idrico all’interno del gruppo e la conferma di ogni tendenza significativa ascendente della concentrazione di inquinanti.
Il raggruppamento non deve compromettere il raggiungimento degli obiettivi ambientali e di monitoraggio di ciascun corpo idrico componente il gruppo.
Il raggruppamento può avvenire purché i corpi idrici siano assimilabili in termini di:
a) caratteristiche dell’acquifero;
b) alterazione delle linee di flusso;
c) pressioni a cui il corpo idrico è sottoposto;
d) attendibilità della valutazione del rischio.
Se i corpi idrici sotterranei sono classificati come “non a rischio”, non è necessario che gli stessi siano adiacenti né prevedere siti di monitoraggio per ogni corpo idrico appartenente allo stesso aggruppamento. In quest’ultimo caso deve comunque essere garantito un monitoraggio complessivo sufficiente a rappresentarli.
Se i corpi idrici sotterranei sono classificati come “a rischio”, il raggruppamento è possibile solo quando gli stessi sono adiacenti, fatta eccezione per i piccoli corpi idrici sotterranei simili o per i corpi idrici sotterranei ricadenti nelle isole di medie o piccole dimensioni. Per ciascun corpo idrico è raccomandato almeno un sito di monitoraggio. Per determinare la relazione tra i corpi idrici, comunque, il numero di siti di monitoraggio dipenderà dalle caratteristiche dell’acquifero, direzione di deflusso idrico, pressioni a cui il corpo idrico è sottoposto e attendibilità della valutazione del rischio.
Il monitoraggio operativo può essere rivolto ad uno o più corpi idrici componenti il gruppo,
selezionati sulla base del modello concettuale, di cui alla Parte C dell’Allegato 1, per esempio il corpo o i corpi idrici più sensibili. Quest’ultimo criterio è finalizzato all’ottimizzazione del monitoraggio ambientale in termini di rapporto costi/efficacia.

4.2 Monitoraggio dello stato chimico e valutazione delle tendenze
I programmi di monitoraggio delle acque sotterranee sono necessari per fornire un quadro
conoscitivo completo e corretto dello stato delle acque all’interno di ciascun bacino idrografico, per rilevare la presenza di tendenze ascendenti all’aumento delle concentrazioni di inquinanti nel lungo termine causate dall’impatto di attività antropiche ed assicurare la conformità agli obiettivi delle aree protette.
In base alla caratterizzazione ed alla valutazione dell’impatto svolti conformemente all’Allegato 1, le Regioni definiscono un programma di monitoraggio di sorveglianza per ciascun periodo cui si applica un piano di gestione del bacino idrografico. I risultati del programma del monitoraggio di sorveglianza sono utilizzati per elaborare un programma di monitoraggio operativo da applicare per il restante periodo coperto dal piano.
Il piano riporta le stime sul livello di attendibilità e precisione dei risultati ottenuti con i programmi di monitoraggio.

4.2.1 Monitoraggio di sorveglianza
Il monitoraggio di sorveglianza, da condurre durante ciascun ciclo di gestione del bacino
idrografico, va effettuato nei corpi idrici o gruppi di corpi idrici sia a rischio sia non a rischio.
Il programma di monitoraggio di sorveglianza è inoltre utile per definire le concentrazioni di fondo naturale e le caratteristiche all’interno del corpo idrico.

Selezione dei parametri
Le Regioni devono obbligatoriamente monitorare i seguenti parametri di base:
– Tenore di ossigeno (OD), qualora ci sia un’interazione con le acque superficiali;
– pH;
– Conduttività elettrica (CE);
– Nitrati;
– Ione ammonio.
Qualora sia appropriato, tra i parametri da monitorare devono essere inclusi la temperatura ed un set di ioni diffusi ed in traccia ed indicatori selezionati.
L’elenco dei parametri di base deve anche includere ulteriori parametri inorganici specifici della struttura geologica locale per l’acquisizione di informazioni sullo stato qualitativo del fondo naturale, per poter verificare l’efficacia del modello concettuale, del piano di monitoraggio, del campionamento e dei risultati analitici.
In aggiunta ai parametri di base, le Regioni, sulla base di una dettagliata analisi delle pressioni, selezionano tra le sostanze riportate di seguito quelle potenzialmente immesse nel corpo idrico sotterraneo. In assenza di detta analisi tutte le sostanze di seguito riportate devono essere monitorate.
Inquinanti di origine naturale

  • Arsenico
  • Cadmio
  • Piombo
  • Mercurio
  • Cloruri
  • Solfati

Inquinanti di sintesi

  • Tricloroetilene
  • Tetracloroetilene

Inoltre è necessario monitorare obbligatoriamente quelle sostanze indicative di rischio e di impatto sulle acque sotterranee ascrivibili alle pressioni definite nella fase di caratterizzazione, tenendo in considerazione la lista dei contaminanti definita nelle tabelle 2 e 3, Parte A, dell’Allegato 3. In questa fase di selezione risulta fondamentale utilizzare il modello concettuale che consente, tra l’altro, di identificare qualunque pressione che vada ad influenzare ciascun sito di campionamento.
Per i corpi idrici che, in base alla caratterizzazione, si ritiene rischino di non raggiungere lo stato buono, il monitoraggio riguarda anche i parametri indicativi dell’impatto delle pressioni determinanti il rischio.
Sono monitorati, se necessario, anche parametri addizionali quali, ad esempio, la torbidità ed il potenziale redox (Eh).
In corrispondenza di tutti i siti è raccomandato il controllo del livello piezometrico o della portata al fine di descrivere “lo stato fisico del sito” come supporto per interpretare le variazioni (stagionali) o le tendenze nella composizione chimica delle acque sotterranee.
I corpi idrici transfrontalieri sono controllati rispetto ai parametri utili per tutelare tutti gli usi legittimi cui sono destinate le acque sotterranee.

Selezione dei siti
Il processo di selezione dei siti di monitoraggio è basato su tre fattori principali:

a) il modello concettuale (o i modelli concettuali), compresa la valutazione delle
caratteristiche idrologiche, idrogeologiche e idrochimiche del corpo idrico
sotterraneo, quali i tempi di percorrenza, la distribuzione dei diversi tipi di uso del
suolo (esempi: insediamenti, industria, foresta, pascolo/agricoltura), alterazione delle
linee di flusso, sensibilità del recettore e dati di qualità esistenti;
b) la valutazione del rischio e grado di confidenza nella valutazione, compresa la
distribuzione delle pressioni principali;
c) considerazioni pratiche relative all’adeguatezza dei singoli siti di campionamento. I
siti devono essere facilmente accessibili a breve e a lungo termine e sicuri.
Una rete efficace di monitoraggio deve essere in grado di monitorare impatti potenziali delle pressioni identificate e l’evoluzione della qualità delle acque sotterranee lungo le linee di flusso all’interno del corpo idrico.
Nel caso in cui i rischi riguardino alcuni recettori specifici come ad esempio alcuni ecosistemi particolari, devono essere previsti siti addizionali di campionamento nelle aree adiacenti a questi recettori specifici (ad esempio, corpi idrici superficiali ad elevata biodiversità).
I principi fondamentali da seguire ai fini dell’identificazione dei siti, che comunque non può
prescindere da una analisi caso per caso, sono:
a) siti adatti: la selezione deve essere basata sul modello concettuale regionale dei corpi idrici (o dei gruppi di corpi idrici sotterranei) e su una revisione dei siti di monitoraggio esistenti e candidati sul modello concettuale locale. Estese aree di estrazione e sorgenti possono fornire adeguati siti di campionamento, poiché prelevano acqua da una grande area e volume dell’acquifero particolarmente in sistemi omogenei. Le sorgenti sono particolarmente raccomandate in acquiferi in cui predominano fratture carsiche o superficiali. Comunque, una rete rappresentativa di monitoraggio deve idealmente basarsi su un mix bilanciato di diversi tipi di siti di monitoraggio. In alcuni sistemi idrogeologici in cui l’acqua sotterranea contribuisce in maniera significativa al flusso di base di un corso d’acqua, il campionamento dell’acqua superficiale può fornire campioni rappresentativi dell’acqua sotterranea;

b) rappresentatività: nei sistemi acquiferi caratterizzati da fenomeni di stratificazione, la
collocazione dei siti di monitoraggio deve ricadere su quelle parti del corpo idrico che sono
più suscettibili all’inquinamento. In genere tali parti sono quelle superiori. Per avere una
valutazione rappresentativa della distribuzione dei contaminanti in tutto il corpo idrico, può
essere necessario prevedere ulteriori punti di monitoraggio;

c) corpi a rischio: i siti di monitoraggio di sorveglianza servono a fornire la base per il
monitoraggio operativo, ossia, a partire dai risultati la rete può essere adattata di
conseguenza. Per i programmi di sorveglianza ed operativo possono essere usati gli stessi
siti;

d) corpi non a rischio dove la confidenza per la valutazione del rischio è bassa: il numero dei siti di monitoraggio deve essere sufficiente a rappresentare il range delle pressioni e delle condizioni del percorso dell’inquinante nei corpi idrici sotterranei (o gruppi di corpi idrici sotterranei) con lo scopo di fornire dati sufficienti ad integrare la valutazione di rischio. L’ubicazione dei siti di campionamento può dunque ricadere sulla aree più suscettibili del corpo idrico per ciascuna combinazione pressione/percorso. Si raccomanda un minimo di 3 punti di campionamento in un corpo idrico sotterraneo o gruppo di corpi idrici;

e) gruppi di corpi idrici sotterranei in cui le pressioni sono limitate (basse o assenti): nei gruppi di corpi idrici sotterranei definiti non a rischio e per i quali la confidenza nella valutazione del rischio è elevata, i siti di campionamento sono necessari in primo luogo per valutare le concentrazioni di fondo naturale e le tendenze naturali.

Frequenza di monitoraggio
Il monitoraggio di sorveglianza deve essere effettuato durante ogni periodo di pianificazione della gestione di un bacino idrografico e non può superare la periodicità dei 6 anni prevista per la revisione e l’aggiornamento dei Piani di gestione dei bacini idrografici; le Regioni ne possono aumentare la frequenza in relazione ad esigenze territoriali.
La scelta di un’appropriata frequenza di monitoraggio di sorveglianza è generalmente basata sul modello concettuale e sui dati di monitoraggio delle acque sotterranee esistenti.
Laddove vi sia una adeguata conoscenza del sistema delle acque sotterranee e sia già stato istituito un programma di monitoraggio a lungo termine, questo deve essere utilizzato per determinare un’appropriata frequenza del monitoraggio di sorveglianza.
Qualora le conoscenze siano inadeguate e i dati non disponibili, la tabella 2 indica le frequenze minime di monitoraggio di sorveglianza che possono essere adottate per differenti tipi di acquiferi.

Tabella 2 – frequenze minime del monitoraggio di sorveglianza

Al fine di definire un programma corretto delle frequenze di monitoraggio è necessario considerare anche quanto di seguito riportato.
Di grande importanza sono i cambiamenti nell’andamento temporale della concentrazione degli inquinanti che influenza la frequenza di monitoraggio selezionata così come l’accresciuta conoscenza del modello concettuale.
In generale, i corpi sotterranei di prima falda sono piuttosto dinamici nelle variazioni qualitative e quantitative delle acque. Quando si verifica tale variabilità, la frequenza di monitoraggio deve essere selezionata in modo tale da caratterizzare in maniera adeguata la stessa variabilità.
Nei sistemi di corpi idrici sotterranei meno dinamici due campionamenti per anno possono,
inizialmente, essere sufficienti per il monitoraggio di sorveglianza. Se questo monitoraggio non mostra significative variazioni in un ciclo di pianificazione di bacino idrografico (6 anni), può essere opportuna una successiva riduzione della frequenza di campionamento.
A causa dei probabili cambiamenti temporali nell’andamento della concentrazione di inquinanti, specialmente nei sistemi con flusso sotterraneo piuttosto dinamico, i campionamenti nei siti di monitoraggio devono essere eseguiti ad uguali intervalli temporali. Questo garantisce risultati di monitoraggio comparabili e un’appropriata valutazione delle tendenze.
Sulla base dei risultati del monitoraggio di sorveglianza acquisiti, le frequenze devono essere riviste regolarmente ed adeguate di conseguenza al fine di assicurare la qualità delle informazioni.

4.2.2 Monitoraggio operativo

Il monitoraggio operativo è richiesto solo per i corpi idrici a rischio di non raggiungere gli obiettivi di qualità ambientale.
Deve essere effettuato tutti gli anni nei periodi intermedi tra due monitoraggi di sorveglianza a una frequenza sufficiente a rilevare gli impatti delle pressioni e, comunque, almeno una volta all’anno.
Deve essere finalizzato principalmente a valutare i rischi specifici che determinano il non
raggiungimento degli obiettivi.
Nella progettazione di un programma di monitoraggio operativo, la confidenza richiesta nei risultati di monitoraggio deve essere definita. Tale confidenza nei monitoraggi operativi dipende dalla variabilità delle sorgenti di impatto, dalle caratteristiche dell’acquifero o delle acque sotterranee in questione, così come dai rischi in caso di errore. In teoria l’incertezza derivante dal processo di monitoraggio non deve aggiungersi significativamente all’incertezza nel controllo del rischio.
L’accettabilità di non individuare un nuovo rischio o di non controllarne uno conosciuto deve essere stabilita, usata per fissare gli obiettivi di variabilità delle proprietà in questione e usata per il controllo della qualità del monitoraggio rispetto alla variabilità dei dati.

Selezione dei parametri
Nella maggior parte dei casi sia i parametri di base, sia parametri selezionati sono richiesti in ogni stazione di monitoraggio.
Il processo di selezione di tali parametri è basato su:
a) caratterizzazione e modello/i concettuale/i inclusa una valutazione della suscettibilità del
percorso delle acque sotterranee, sensibilità del recettore, il tempo necessario perché ciascun programma di misure sia efficace e la capacità di discernere tra gli effetti delle varie misure;
b) valutazione del rischio e livello di confidenza nella valutazione; inclusa la distribuzione
delle pressioni principali identificate nel processo di caratterizzazione che possono
determinare lo “stato scarso” del corpo idrico;
c) considerazioni pratiche relative alla idoneità dei singoli siti di monitoraggio.

Selezione dei siti
Nel selezionare i siti di monitoraggio operativo la priorità nella ubicazione degli stessi deve essere basata su:
a) disponibilità di siti idonei esistenti (ad esempio siti impiegati nei monitoraggi di
sorveglianza) che forniscano campioni rappresentativi;
b) potenzialità nel supportare differenti programmi di monitoraggio (per es. determinate
sorgenti possono fungere da siti di monitoraggio per la qualità e la quantità delle acque
sotterranee e per le acque superficiali);
c) potenzialità per monitoraggi integrati-multiobiettivo ad esempio combinando i requisiti del monitoraggio di cui all’articolo 92, comma 5, del decreto n.152 del 2006, del monitoraggio di cui alle aree protette designate per l’estrazione di acque destinate al consumo umano, del monitoraggio connesso alla registrazione di prodotti per la protezione delle piante o biocidi, del monitoraggio ai sensi del decreto n.59 del 2005, e la conformità al presente decreto;
d) potenziali collegamenti con siti di monitoraggio delle acque superficiali esistenti o
pianificati.
Qualora il rischio coinvolga ecosistemi significativi di corpi idrici superficiali connessi alle acque sotterranee, la Regione può prevedere siti di campionamento addizionali da ubicare in aree prossime ai corpi idrici superficiali. Detto monitoraggio suppletivo può includere il controllo delle parti più superficiali dell’acquifero ed eventualmente delle acque che drenano dai suoli, per esempio tramite campionatori multilivello, lisimetri e prove di drenaggio in situ. I dati ottenuti, oltre che contribuire a valutare lo stato e le tendenze, possono anche aiutare a distinguere gli impatti dei differenti tipi di pressioni, valutare l’estensione spaziale degli impatti e determinare il destino dei contaminanti e il trasporto tra la sorgente e il recettore.
Nel caso in cui i rischi e le pressioni riguardino le stesse acque sotterranee, per esempio pressioni diffuse, i siti di campionamento devono essere maggiormente distribuiti lungo il corpo idrico, e devono essere rivolti alle differenti pressioni e alla loro distribuzione all’interno del corpo idrico sotterraneo. Nell’ambito di tale monitoraggio è importante tenere conto della combinazione tra le pressioni più rappresentative e la sensibilità delle acque sotterranee.

Frequenza di monitoraggio
La selezione della frequenza nell’ambito di ogni anno di monitoraggio è generalmente basata sul modello concettuale e, in particolare, sulle caratteristiche dell’acquifero e sulla sua suscettibilità alle pressioni inquinanti.
La tabella 3 individua frequenze minime di monitoraggio operativo per differenti tipologie di
acquifero dove il modello concettuale è limitato e i dati esistenti non sono disponibili.
Se, invece, vi è una buona conoscenza della qualità delle acque sotterranee e del comportamento del sistema idrogeologico, possono essere adottate frequenze ridotte di monitoraggio, comunque non inferiori ad una volta l’anno.
La frequenza e la tempistica del campionamento in ogni sito di monitoraggio deve, inoltre,
considerare i seguenti criteri:

a) i requisiti per la valutazione della tendenza;

b) l’ubicazione del sito di campionamento rispetto alla pressione (a monte, direttamente al
disotto, o a valle). Infatti le ubicazioni direttamente al disotto di una pressione possono
richiedere monitoraggi più frequenti;

c) il livello di confidenza nella valutazione del rischio e i cambiamenti della stessa valutazione nel tempo;

d) le fluttuazioni a breve termine nella concentrazione degli inquinanti, per esempio effetti
stagionali. Laddove sia probabile riscontrare effetti stagionali e altri effetti a breve termine, è essenziale che le frequenze di campionamento e le tempistiche siano adattate (incrementate) di conseguenza e che il campionamento abbia luogo nello stesso momento ogni anno, o nelle stesse condizioni, per rendere comparabili i dati per la valutazione delle tendenze, per accurate caratterizzazioni e per la valutazione degli stati di qualità;

e) la tipologia di gestione dell’uso del suolo, per esempio periodo di applicazione di nitrati o
pesticidi. Questo è importante specialmente per i sistemi a rapido scorrimento come gli
acquiferi carsici e/o i corpi idrici sotterranei di prima falda.
Il campionamento per il monitoraggio operativo deve continuare finché il corpo idrico sotterraneo è considerato, con adeguata confidenza, non più nello stato scarso o a rischio di essere in uno stato scarso e ci sono adeguati dati che dimostrano un’inversione delle tendenze.

4.3 Monitoraggio dello stato quantitativo
La rete di monitoraggio dello stato quantitativo delle acque sotterranee è progettata in modo da fornire una stima affidabile dello stato quantitativo di tutti i corpi idrici o gruppi di corpi idrici sotterranei, compresa la stima delle risorse idriche sotterranee disponibili. Le Regioni inseriscono nei piani di tutela una o più mappe che riportano detta rete.
Il Monitoraggio dello stato quantitativo ha l’obiettivo di integrare e confermare la validità della caratterizzazione e della procedura di valutazione di rischio, determinare lo stato quantitativo del corpo idrico sotterraneo, supportare la valutazione dello stato chimico, l’analisi delle tendenze e la progettazione e la valutazione dei programmi di misure.
Come per le altre reti di monitoraggio, la progettazione della rete per il monitoraggio quantitativo deve essere basata sul modello concettuale del sistema idrico sotterraneo e sulle pressioni.
Gli elementi chiave del modello concettuale quantitativo sono:

a) la valutazione della ricarica e del bilancio idrico predisposto secondo le linee guida di cui
all’Allegato 1 al decreto ministeriale del 28 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
del 15 novembre 2004, n. 268;

b) le valutazioni esistenti del livello dell’acqua sotterranea o della portata ed informazioni
pertinenti sui rischi per le acque superficiali e gli ecosistemi terrestri che dipendono dalle
acque sotterranee;

c) il grado di interazione tra acque sotterranee e relativi ecosistemi terrestri e superficiali dove questa interazione è importante e potrebbe potenzialmente determinare un’influenza
negativa sullo stato di qualità del corpo idrico superficiale.
Lo sviluppo di una rete di monitoraggio quantitativo può essere iterativo; i dati raccolti dai nuovi siti di monitoraggio possono essere usati per migliorare e perfezionare il modello concettuale, usato per collocare ogni sito di monitoraggio, sull’intero corpo idrico sotterraneo, e la gestione del programma di monitoraggio quantitativo.

L’implementazione di un modello numerico delle acque sotterranee o di un modello idrologico che integri le acque superficiali e sotterranee sono utili strumenti per compilare ed interpretare i dati del monitoraggio quantitativo ed identificare le risorse e gli ecosistemi a rischio. Inoltre, le stime di incertezza che si possono ottenere con un modello numerico possono essere d’aiuto per identificare parti del corpo idrico sotterraneo che necessitano dell’integrazione di siti per meglio descrivere la quantità e la portata delle acque sotterranee.

Selezione dei parametri
Per la valutazione dello stato quantitativo delle acque sotterranee sono raccomandati almeno i seguenti parametri:
a) livelli delle acque sotterranee nei pozzi o nei piezometri;
b) portata delle sorgenti;
c) caratteristiche del flusso e/o livelli idrici dei corsi d’acqua superficiali durante i periodi di
siccità (ad es. quando il contributo delle piogge al flusso delle acque superficiali può essere
trascurato e la portata del fiume è mantenuta sostanzialmente dall’acqua sotterranea);
d) livelli idrici delle zone umide e dei laghi che dipendono significativamente dalle acque
sotterranee.
La selezione dei siti di monitoraggio e dei parametri deve essere basata su un solido modello concettuale del corpo idrico che deve essere monitorato.
Un monitoraggio addizionale per supportare la caratterizzazione e la classificazione delle acque sotterranee tiene conto almeno di:

a) parametri chimici e indicatori (per esempio temperatura, conduttività, etc.) per monitorare l’intrusione salina o di altra natura. Qualora venga utilizzato un unico sito di monitoraggio sia per la valutazione dello stato chimico sia per la valutazione dello stato quantitativo e i controlli avvengano contemporaneamente, i dati per il controllo dei parametri chimici addizionali sono utilizzati per le finalità sopra riportate. Per gli acquiferi delle isole può essere appropriato monitorare le zone di transizione tra acqua dolce ed acqua marina;

b) piovosità e altri componenti richiesti per calcolare l’evapotraspirazione (per il calcolo della ricarica delle acque sotterranee);

c) monitoraggio ecologico degli ecosistemi terrestri connessi alle acque sotterranee (inclusi gli indicatori ecologici);

d) estrazione di acque sotterranee.

I requisiti specifici per i dati di monitoraggio di supporto, che integrano le conoscenze ottenute dal monitoraggio del livello delle acque sotterranee, sono fortemente determinati dagli strumenti o dai metodi adoperati per supportare la valutazione del rischio o dello stato e della confidenza richiesta in queste valutazioni.
La chiave per la selezione dei parametri dipende da quanto quel parametro sia rappresentativo dello scenario idrogeologico monitorato e della sua importanza nel determinare il rischio o lo stato del corpo idrico.
In alcuni scenari idrogeologici particolarmente complessi, limitare il monitoraggio al solo livello delle acque sotterranee nei piezometri può essere inappropriato per le finalità del presente decreto e in alcuni casi altamente fuorviante. In queste circostanze le caratteristiche del flusso dei corsi d’acqua o delle sorgenti connesse può fornire dati migliori con i quali intraprendere una valutazione.
Ciò è maggiormente probabile nei casi di bassa permeabilità o di acquiferi fratturati. Ci sono casi in cui il livello dell’acqua rimane più o meno stabile, ma si verificano fenomeni di intrusione di acqua proveniente da altri acquiferi o da corpi idrici superficiali o dal mare. Specifiche condizioni devono essere considerate nel caso dei copri idrici sotterranei delle isole. Se c’è il rischio di intrusione, allora specifici indicatori della qualità delle acque andranno monitorati (per esempio la conduttività elettrica e la temperatura dell’acqua).

Densità dei siti di monitoraggio
La rete per il monitoraggio quantitativo deve essere progettata prevedendo un numero di pozzi tale da consentire il controllo su eventuali variazioni dello stato quantitativo del corpo idrico sotterraneo.
La rete si articola in sufficienti siti di monitoraggio rappresentativi per stimare il livello delle acque sotterranee di ciascun corpo idrico o gruppi di corpi idrici, tenuto conto delle variazioni del ravvenamento a breve e a lungo termine ed in particolare:
a) per i corpi idrici sotterranei che si ritiene rischino di non conseguire gli obiettivi ambientali, bisogna assicurare una densità dei punti di monitoraggio sufficiente a valutare l’impatto
delle estrazioni sulle variazioni dello stato quantitativo delle acque sotterranee;
b) per i corpi idrici sotterranei le cui acque fluiscono attraverso la frontiera tra l’Italia ed altri Paesi, è necessario designare sufficienti punti di monitoraggio per stimare la direzione e la portata delle acque sotterranee attraverso la frontiera.
Il monitoraggio quantitativo può essere richiesto su due differenti piani.
In primo luogo, se possibile, bisogna valutare i livelli e i flussi delle acque lungo un corpo idrico sotterraneo. Questi possono essere correlati alla valutazione del bilancio idrico dell’intero corpo idrico sotterraneo predisposto secondo le linee guida di cui all’Allegato 1 al decreto ministeriale del 28 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 novembre 2004, n. 268.
In secondo luogo, può essere necessario un monitoraggio “locale” più mirato sui flussi e sui livelli riferiti ai corpi recettori pertinenti che sono localmente alimentati dalle acque sotterranee, ad es. corpi idrici superficiali (fiumi, laghi ed estuari) ed ecosistemi terrestri dipendenti dalle acque sotterranee. Quest’ultimo monitoraggio può includere informazioni integrative sulla salinità (con riferimento alle intrusioni saline) o informazioni integrative derivanti dal monitoraggio ecologico svolto ai sensi della normativa nazionale e comunitaria vigente (come prova dell’impatto sugli ecosistemi dovuti all’estrazione di acqua sotterranea).
Nei corpi idrici o gruppi di corpi idrici classificati “non a rischio” il monitoraggio quantitativo può essere ridotto. Infatti, non è necessario svolgere il monitoraggio su ogni corpo idrico all’interno di un gruppo di corpi idrici, a patto che tutti i corpi idrici del gruppo siano comparabili dal punto di vista idrogeologico.
Nei corpi idrici o gruppi di corpi idrici classificati “a rischio” la distribuzione dei siti di
monitoraggio deve essere sufficiente per capire le condizioni idrogeologiche relative ai recettori identificati come a rischio e alla loro importanza.
La densità del monitoraggio deve essere sufficiente per assicurare un’appropriata valutazione degli impatti sul livello delle acque sotterranee causati dalle estrazioni.
Per quei corpi idrici sotterranei che attraversano la frontiera tra l’Italia ed uno o più Stati Membri, il numero di siti di campionamento deve essere sufficiente per stimare la direzione e la portata delle acque sotterranee attraverso il confine.
Frequenza di monitoraggio La frequenza dei rilevamenti deve essere sufficiente a permettere di stimare lo stato quantitativo di ciascun corpo idrico o gruppo di corpi idrici sotterranei, tenuto conto delle variazioni del ravvenamento a breve e lungo termine. In particolare:

a) per i corpi idrici sotterranei che si ritiene rischino di non conseguire gli obiettivi ambientali, è fissata una frequenza delle misurazioni sufficiente a valutare l’impatto delle estrazioni sul livello delle acque sotterranee;

b) per i corpi idrici sotterranei le cui acque fluiscono attraverso la frontiera tra l’Italia ed altri Paesi, è fissata una frequenza delle misurazioni sufficiente a stimare la direzione e la portata delle acque sotterranee attraverso la frontiera.

La frequenza dei monitoraggi si stabilisce sulla base dei dati necessari per determinare rischio e stato dei corpi idrici e, laddove necessario, per supportare la progettazione e valutazione dei programmi di misure.
La frequenza di monitoraggio dipende principalmente dalle caratteristiche di un corpo idrico e dal sito di monitoraggio. I siti con una significativa variabilità annuale devono essere monitorati più frequentemente rispetto a siti con minore variabilità. In generale un monitoraggio trimestrale sarà sufficiente per il monitoraggio quantitativo dove la variabilità è bassa, ma un monitoraggio giornaliero è preferito, in particolare quando si misurano le portate. La frequenza deve essere rivista quando migliora la comprensione della risposta e del comportamento dell’acquifero e in relazione all’importanza di ciascun cambiamento delle pressioni sul corpo idrico sotterraneo. Questo assicura che sia mantenuto un programma caratterizzato da un basso rapporto costi/efficacia.

4.4 Controlli di qualità
Per il campionamento e l’analisi devono essere stabilite procedure appropriate per il controllo di
qualità; tali misure sono necessarie per ridurre al minimo le incertezze.
Gli elementi minimi che devono essere presi in considerazione nei controlli di qualità sono:
a) identificazione e registrazione dei campioni;
b) metodi di campionamento, pianificazione del campionamento e report per esercizi di campo;
c) trasporto e magazzinaggio del campione;
d) validazione dei metodi analitici;
e) procedure per le misure analitiche;
f) controlli di qualità interni dei metodi;
g) partecipazione in schemi esterni per i controlli di qualità (intercalibrazione);
h) elaborazione dei risultati;
i) tracciabilità dei documenti e delle misure.

Per i laboratori di analisi l’accreditamento deve avvenire ai sensi della ISO 17025.

4.5 Protocollo per il campionamento-ISO raccomandate

Un appropriato piano di campionamento deve includere la selezione dei siti di campionamento, la frequenza e la durata del campionamento, le procedure di campionamento, il trattamento dei campioni e l’analisi dei campioni.
Le procedure di campionamento e di trattamento del campione dovranno riferirsi a linee guida e/o standard internazionali incluse parti rilevanti della norma ISO 5667 nello stato di ultima revisione.
Allo stato attuale le parti della norma ISO 5667 utili per il monitoraggio delle acque sotterranee sono le seguenti:
La norma ISO 5667-1: 2006 fornisce i principi per una corretta progettazione del campionamento negli ambienti acquatici.
La norma ISO 5667-3: 2003 fornisce indicazioni riguardo alla preparazione, stabilizzazione,
trasporto e conservazione dei campioni di acqua.
La norma ISO 5667-11: 1993 fornisce i principi a) per la progettazione dei programmi di
campionamento, b) le tecniche di campionamento, c) la manipolazione dei campioni e d) il sistema di identificazione del campione e le procedure di registrazione e tracciabilità delle acque sotterranee;
La norma ISO 5667-18: 2001 fornisce dei principi per i metodi di campionamento delle acque sotterranee nei siti contaminati.
La norma ISO 5667-14: 1993 fornisce linee guida per il controllo di qualità delle operazioni di campionamento e trattamento del campione.


APPENDICE

SEZIONE A

Tabella 1a. Elenco dei tipi fluviali presenti in Italia settentrionale e inclusi nel sistema MacrOper In molti casi, cioè quando siano disponibili valori di riferimento distinti per le aree di pool, riffle o riferiti ad una raccolta proporzionale generica di invertebrati bentonici, il tipo è riportato in più righe. Ciò è stato ritenuto utile per rendere più agevole associare i valori riportati in Tabella 1b ai tipi fluviali qui elencati. La prima colonna (‘ord’) rappresenta l’elemento di unione tra le tre tabelle e consente di associare un tipo fluviale in una determinata area regionale tra le tre tabelle.

Tabella 1b. Valori di riferimento per le metriche componenti e per lo STAR_ICMi nei tipi fluviali dell’Italia settentrionale inclusi nel sistema MacrOper. In tabella vengono anche indicati i limiti di classe. I valori sono riportati, quando disponibili, in funzione di dove si effettui la raccolta dei macroinvertebrati: per aree di pool, riffle o campionamento generico.

(…)

Tabella 2a. Elenco dei tipi fluviali presenti in Italia centrale e inclusi nel sistema MacrOper.
In molti casi, cioè quando siano disponibili valori di riferimento distinti per le aree di pool, riffle o riferiti ad una raccolta proporzionale generica di invertebrati bentonici, il tipo è riportato in più righe. Ciò è stato ritenuto utile per rendere più agevole associare i valori riportati in Tabella 2b ai tipi fluviali qui elencati. La prima colonna (‘ord’) rappresenta l’elemento di unione tra le due tabelle e consente di associare un tipo fluviale in una determinata area regionale tra le due tabelle.

 

Tabella 2b. Valori di riferimento per le metriche componenti e per lo STAR_ICMi nei tipi fluviali dell’Italia centrale inclusi nel sistema MacrOper
In tabella vengono anche indicati i limiti di classe. I valori sono riportati in funzione di dove si effettui la raccolta dei macroinvertebrati: per aree di pool, riffle o campionamento generico.

Tabella 3a. Elenco dei tipi fluviali presenti in Italia meridionale e inclusi nel sistema MacrOper.

In molti casi, cioè quando siano disponibili valori di riferimento distinti per le aree di pool, riffle o riferiti ad una raccolta proporzionale generica di invertebrati bentonici, il tipo è riportato in più righe. Ciò è stato ritenuto utile per rendere più agevole associare i valori riportati nella successiva tabella 3b ai tipi fluviali qui elencati. La prima colonna (‘ord’) rappresenta l’elemento di unione tra le due tabelle e consente di associare un tipo fluviale in una determinata area regionale tra le due tabelle.


Tabella 3b. Valori di riferimento per le metriche componenti e per lo STAR_ICMi nei tipi fluviali dell’Italia meridionale inclusi nel sistema MacrOper
In tabella vengono anche indicati i limiti di classe. I valori sono riportati in funzione di dove si effettui la raccolta dei macroinvertebrati: per aree di pool, riffle o campionamento generico qualora il campione sia disponibile da diversi mesohabitat.

Tabella 4. Valori di riferimento per le metriche componenti lo STAR_ICMi, per lo STAR_ICMi e per l’indice MTS nei fiumi molto grandi e/o non accessibili

9 Per i fiumi molto grandi e/o non accessibili di area Alpina (A1, A2) si devono utilizzare i valori di riferimento (e i limiti di classe) riportati per il macrotipo C.

Tabella 5. Valori di riferimento per le metriche componenti e per lo STAR_ICMi
I valori sono organizzati per macrotipi fluviali, validi per i tipi fluviali non inclusi nelle tabelle di dettaglio relative a Italia settentrionale, centrale e meridionale. Tali valori sono validi per i 2 anni successivi all’emanazione del decreto classificazione, qualora nel frattempo non si rendessero disponibili dati di dettaglio per i singoli tipi fluviali. In tabella vengono anche indicati i limiti di classe. I valori sono riportati in funzione di dove si effettui la raccolta dei macroinvertebrati: per aree di pool, riffle o campionamento generico.

SEZIONE B

Tabella 1. Comunità ittiche attese nelle 9 zone zoogeografico-ecologiche fluviali principali.

10 Le popolazioni del ceppo mediterraneo di Salmo (trutta) trutta hanno naturalmente un areale molto frammentato. Per ogni regione andrebbe stabilito meglio l’areale. 11 In Piemonte, a esclusione dei tributari di destra del Po a valle del Tanaro e, nel bacino del Tanaro, a valle della confluenza con il torrente Rea. 12 In Piemonte, la distribuzione è limitata al solo Verbano.

SEZIONE C

Tabella 1. Valore di riferimento (mediana siti riferimento) per la componente relativa alla presenza di strutture artificiali nel tratto considerato (indice HMS) e per la componente relativa all’uso del territorio nelle aree fluviali e perifluviali (indice LUI).

Il valore utilizzato per convertire l’HMS in RQ è pari a 100. Il valore utilizzato per convertire il LUI in RQ è pari a 39,2.

Tabella 2. Valori di riferimento (mediana siti riferimento) per la componente relativa alla diversificazione e qualità degli habitat fluviali e ripari (indice HQA)

È opportuno far riferimento alla categoria “Tutti gli altri fiumi” qualora il tipo fluviale in esame, per la sua peculiarità, non risulti attribuibile con certezza ad una delle macrocategorie riportate in tabella. Per la conversione dell’HQA in RQ si è considerato come valore minimo 11 per tutte le categorie.


AGGIORNAMENTO (85)
Il D.Lgs. 13 ottobre 2015, n. 172 ha disposto:
– (con l’art. 1, comma 1, lettera m)) che “il numero 1.4.1 del punto 1.4 “Informazioni per l’analisi di tendenza” del paragrafo A.2.8-ter della sezione A “Stato delle acque superficiali”, della parte 2 “Modalita’ per la classificazione dello stato di qualita’ dei corpi idrici” dell’allegato 1 alla parte terza e’ sostituito dal seguente:
«1.4.1 In attuazione del comma 8 dell’articolo 78, le regioni e le provincie autonome raccolgono, aggiornano e trasmettono i dati relativi alle concentrazioni rilevate nei sedimenti e nel biota in particolare per le seguenti sostanze, se rilevate:
a) antracene;
b) difeniletere bromurato;
c) cadmio e composti (in funzione delle classi di durezza
dell’acqua);
d) cloroalcani, C10-13 (7);
e) di(2-etilesil) ftalato (DEHP);
f) fluorantene;
g) esaclorobenzene;
h) esaclorobutadiene;
i) esaclorocicloesano;
l) piombo e composti;
m) mercurio e composti;
n) pentaclorobenzene;
o) benzo(a)pirene;
p) benzo(b)fluorantene;
q) benzo(k)fluorantene;
r) benzo(g,h,i)perilene;
s) indeno(1,2,3-cd)pirene;
t) tributilstagno (composti) (tributilstagno catione);
u) dicofol;
v) acido perfluorottansolfonico e derivati (PFOS);
z) chinossifen;
aa) diossine e composti diossina-simili;
bb) esabromociclododecano (HBCDD);
cc) eptacloro ed eptacloro epossido.»”.
– (con l’art. 1, comma 1, lettera n)) che “il paragrafo A.
2.8-quater della sezione A “Stato delle acque superficiali”, della parte 2 “Modalita’ per la classificazione dello stato di qualità dei corpi idrici” dell’allegato 1 alla parte terza e’ sostituito dal
seguente:
«A. 2.8-quater (Numeri UE sostanze prioritarie).

Tabella 1: elenco numeri UE sostanze prioritarie.

(tabella nc)

Con il presente allegato è avviata la procedura finalizzata a garantire la validazione
dell’allegato 1 nonché a garantire la messa a punto di ulteriori metodiche non disponibili.

INDICE>>


#

INDICE>>

ALLEGATO 2

CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DEI CORPI IDRICI A DESTINAZIONE FUNZIONALE

SEZIONE A: Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative e per la classificazione delle acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile.

I seguenti criteri si applicano alle acque dolci superficiali utilizzate o destinate ad essere utilizzate per la produzione di acqua potabile dopo i trattamenti appropriati.

1) Calcolo della conformità e classificazione

Per la classificazione delle acque in una delle categorie A1, A2, A3, di cui alla tabella 1/A i valori specificati per ciascuna categoria
devono essere conformi nel 95% dei campioni ai valori limite specificati nelle colonne I e nel 90% ai valori limite specificati nelle colonne G, quando non sia indicato il corrispondente valore nella colonna I. Per il rimanente 5% o il 10% dei campioni che,
secondo i casi, non sono conformi, i parametri non devono discostarsi in misura superiore al 50% dal valore dei parametri in questione, esclusi la temperatura, il pH, l’ossigeno disciolto ed i parametri microbiologici.

2) Campionamento

2.1) Ubicazione delle stazioni di prelievo

Per tutti i laghi naturali ed artificiali e per tutti i corsi d’acqua naturali ed artificiali utilizzati o destinati ad essere utilizzati per l’approvvigionamento idrico potabile – fermo restando quanto previsto nell’allegato 1 – le stazioni di prelievo dovranno essere ubicate in prossimità delle opere di presa esistenti o previste in modo che i campioni rilevati siano rappresentativi della qualità delle acque da utilizzare.
Ulteriori stazioni di prelievo dovranno essere individuate in punti significativi del corpo idrico quando ciò sia richiesto da particolari condizioni locali, tenuto soprattutto conto di possibili fattori di rischio d’inquinamento. I prelievi effettuati in tali stazioni avranno la sola finalità di approfondire la conoscenza della qualità del corpo idrico, per gli opportuni interventi.

2.2) Frequenza minima dei campionamenti e delle analisi di ogni parametro.

(*) Per le acque della categoria A3 la frequenza annuale dei
campionamenti dei parametri del gruppo I deve essere portata a 12.
(°) I parametri dei diversi gruppi comprendono:

PARAMETRI I GRUPPO

pH, colore, materiali totali in sospensione, temperatura, conduttività, odore, nitrati, cloruri, fosfati, COD, DO (ossigeno disciolto), BOD5, ammoniaca

PARAMETRI II GRUPPO

ferro disciolto, manganese, rame, zinco, solfati, tensioattivi, fenoli, azoto Kjeldhal, coliformi totali e coliformi fecali.

PARAMETRI III GRUPPO

fluoruri, boro, arsenico, cadmio, cromo totale, piombo, selenio, mercurio, bario, cianuro, idrocarburi disciolti o emulsioni, idrocarburi policiclici aromatici, antiparassitari totali, sostanze estraibili con cloroformio, streptococchi fecali e salmonelle.
[**] Per i parametri facenti parte del III gruppo, salvo che per quanto riguarda gli indicatori di inquinamento microbiologico, su indicazione dell’autorità competente al controllo ove sia dimostrato che non vi sono fonti antropiche, o naturali, che possano determinare la loro presenza nelle acque, la frequenza di campionamento può essere ridotta.

3. Modalità di prelievo, di conservazione e di trasporto dei campioni

I campioni dovranno essere prelevati, conservati e trasportati in modo da evitare alterazioni che possono influenzare significativamente i risultati delle analisi.

a) Per il prelievo, la conservazione ed il trasporto dei campioni per analisi dei parametri di cui alla tabella 2/A, vale quanto prescritto, per i singoli parametri, alla colonna G.
b) Per il prelievo, la conservazione ed il trasporto dei campioni per analisi dei parametri di cui alla tabella 3/A, vale quanto segue:

  • i prelievi saranno effettuati in contenitori sterili;
  • qualora si abbia motivo di ritenere che l’acqua in esame contenga cloro residuo, le bottiglie dovranno contenere una soluzione al 10% di sodio tiosolfato, nella quantità di mL 0,1 per ogni 100 mL di capacità della bottiglia, aggiunto prima della sterilizzazione;
  • le bottiglie di prelievo dovranno avere una capacità idonea a prelevare l’acqua necessaria all’esecuzione delle analisi microbiologiche;
  • i campioni prelevati, secondo le usuali cautele di asepsi, dovranno essere trasportati in idonei contenitori frigoriferi (4-10 °C) al riparo della luce e dovranno, nel più breve tempo possibile, e comunque entro e non oltre le 24 ore dal prelievo, essere sottoposti ad esame.

Tabella 1/A: Caratteristiche di qualità per acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile

Note:
[1] I valori indicati costituiscono i limiti superiori determinati in base alla temperatura media annua (alta e bassa temperatura)
[2] Tale parametro è inserito per soddisfare le esigenze ecologiche di taluni ambienti.

Tabella 2/A: metodi di misura per la determinazione dei valori dei parametri chimici e chimico-fisici di cui alla tab. 1/A

Tabella 3/A: Metodi di misura per la determinazione dei valori dei parametri microbiologici di cui alla tab. 1/A

Sezione B: Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative, per la classificazione ed il calcolo della conformità delle acque dolci superficiali idonee alla vita dei pesci salmonicoli e ciprinicoli.

I seguenti criteri si applicano alle acque dolci superficiali designate quali richiedenti protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci.

1) Calcolo della conformità
Le acque designate e classificate si considerano idonee alla vita dei pesci quando i relativi campioni prelevati con la frequenza minima riportata nella Tab. 1/B, nello stesso punto di prelevamento e per un periodo di dodici mesi, presentino valori dei parametri di qualità
conformi ai limiti imperativi indicati e alle relative note esplicative della medesima Tabella, per quanto riguarda:

a) il valore del 95% dei campioni prelevati, per i parametri:
– pH
– BOD5
– ammoniaca indissociata
– ammoniaca totale
– nitriti
– cloro residuo totale
– zinco totale
– rame disciolto.

Quando la frequenza di campionamento è inferiore ad un prelievo al mese, i valori devono essere conformi ai limiti tabellari nel 100% dei campioni prelevati;

b) i valori indicati nella tabella 1/B per i parametri:
– temperatura
– ossigeno disciolto;

c) la concentrazione media fissata per il parametro:
– materie in sospensione.
Il superamento dei valori tabellari o il mancato rispetto delle
osservazioni riportate nella tabella 1/B non sono presi in
considerazione se avvengono a causa di piene, alluvioni o altre
calamità naturali.

2) Campionamento
Ai fini dell’accertamento della conformità di cui al punto 1:

a) la frequenza dei campionamenti stabilita nella tabella 1/B può essere ridotta ove risulti accertato che la qualità delle acque è sensibilmente migliore di quella riscontrabile, per i singoli parametri dall’applicazione delle percentuali di cui al punto 1;

b) possono essere esentate dal campionamento periodico le acque per
le quali risulti accertato che non esistono cause di inquinamento o
rischio di deterioramento.

Il luogo esatto del prelevamento dei campioni, la sua distanza dal più vicino punto di scarico di sostanze inquinanti e la profondità alla quale i campioni devono essere prelevati sono definiti dall’autorità competente in funzione, soprattutto, delle condizioni
ambientali locali.

Tab. 1/B: Qualità delle acque idonee alla vita dei pesci salmonidi e ciprinidi

ABBREVIAZIONI: G = guida o indicativo; I = imperativo od obbligatorio. Note: (o): Conformemente al presente decreto sono possibili deroghe; * Totale = Disciolto più particolato; ** I composti fenolici non devono essere presenti in concentrazioni tali da alterare il sapore dei pesci *** I prodotti di origine petrolifera non devono essere presenti in quantità tali da: – produrre alla superficie dell’acqua una pellicola visibile o da depositarsi in strati sul letto dei corsi d’acqua o sul fondo dei laghi – dare ai pesci un sapore percettibile di idrocarburi – provocare effetti nocivi sui pesci.

Osservazioni di carattere generale:
Occorre rilevare che nel fissare i valori dei parametri si è partiti dal presupposto che gli altri parametri, considerati ovvero non considerati nella presente sezione, sono favorevoli. Cio’ significa in particolare che le concentrazioni di sostanze nocive diverse da quelle enumerate sono molto deboli. Qualora due o più sostanze nocive siano presenti sotto forma di miscuglio, è possibile che si manifestino, in maniera rilevante, effetti additivi, sinergici o antagonistici.

Metodiche analitiche e di campionamento:
Le metodiche analitiche e di campionamento da impiegarsi nella determinazione dei parametri sono quelle descritte nei volumi “Metodi analitici per le acque” pubblicati dall’Istituto di Ricerca sulle Acque del C.N.R. (Roma), e successivi aggiornamenti.

NOTE ESPLICATIVE AI PARAMETRI DELLA TAB. 1/B
(Integrano le prescrizioni figuranti nel prospetto di detta Tabella)

[1] Per la verifica del ΔT la temperatura deve essere misurata a valle di un punto di scarico termico al limite della zona di mescolamento; il valore riportato in tabella si riferisce alla
differenza tra la temperatura misurata e la temperatura naturale. Con riferimento alla temperatura di riproduzione, non è stato espresso alcun valore limite in considerazione della variabilità di temperatura ideale di riproduzione dei pesci appartenenti ai Ciprinidi nelle acque italiane.
[2]
a) Valore limite “I” – acque per Salmonidi: quando la concentrazione di ossigeno è inferiore a 6 mg/L, le Autorità competenti devono intervenire ai sensi della parte terza del presente decreto;
b) Valore limite “I” – acque per Ciprinidi: quando la concentrazione di ossigeno è inferiore a 4 mg/L, le Autorità competenti applicano le disposizioni della parte terza del presente
decreto;
– quando si verificano le condizioni previste in (a) e (b) le Autorità competenti devono provare che dette situazioni non avranno conseguenze dannose allo sviluppo equilibrato delle popolazioni ittiche;
– tra parentesi viene indicata la percentuale delle misure in cui debbono essere superati o eguagliati i valori tabellari (e.g. ≥ 9 (50%) significa che almeno nel 50% delle misure di controllo la concentrazione di 9 mg/L deve essere superata);
– campionamento: almeno un campione deve essere rappresentativo delle condizioni di minima ossigenazione nel corso dell’anno.
Tuttavia se si sospettano variazioni giornaliere sensibili dovranno essere prelevati almeno 2 campioni rappresentativi delle differenti situazioni nel giorno del prelievo.
[3] Le variazioni artificiali del pH, rispetto ai valori naturali medi del corpo idrico considerato, possono superare di ± 0,5 unità-pH i valori estremi figuranti nel prospetto della tabella 1/B (sia per le acque per Salmonidi che per le acque per Ciprinidi) a
condizione che tali variazioni non determinano un aumento della nocività di altre sostanze presenti nell’acqua.
[4] Si può derogare dai suddetti limiti nei corpi idrici, in particolari condizioni idrologiche, in cui si verifichino arricchimenti naturali senza intervento antropico;
i valori limite (G e I per le due sottoclassi) sono concentrazioni medie e non si applicano alle materie in sospensione aventi proprietà chimiche nocive. In quest’ultimo caso le Autorità competenti prenderanno provvedimenti per ridurre detto materiale, se individuata l’origine antropica;
– nell’analisi gravimetrica il residuo, ottenuto dopo filtrazione su membrana di porosità 0,45 µm o dopo centrifugazione (tempo 5 min. ed accelerazione media di 2.800 3.200 g), dovrà essere essiccato a 105 °C fino a peso costante.
[5] La determinazione dell’ossigeno va eseguita prima e dopo incubazione di cinque giorni, al buio completo, a 20 °C (± 1 °C) e senza impedire la nitrificazione.
[6] I valori limite “G” riportati possono essere considerati come indicativi per ridurre l’eutrofizzazione;
– per i laghi aventi profondità media compresa tra 18 e 300 metri,
per il calcolo del carico di fosforo totale accettabile, al fine di controllare l’eutrofizzazione, può essere utilizzata la seguente formula:

dove:
L = carico annuale espresso in mg di P per metro quadrato di superficie del lago considerato;
Z = profondità media del lago in metri (generalmente si calcola dividendo il volume per la superficie);
Tw = tempo teorico di ricambio delle acque del lago, in anni (si calcola dividendo il volume per la portata annua totale dell’emissario);
A = valore soglia per il contenimento dei fenomeni eutrofici – Per la
maggior parte dei laghi italiani “A” può essere considerato pari a
20.
Tuttavia per ogni singolo ambiente è possibile calcolare uno specifico valore soglia (A) mediante l’applicazione di una delle seguenti equazioni. (Il valore ottenuto va aumentato del 50% per i laghi a vocazione salmonicola e del 100% per i laghi a vocazione
ciprinicola).

Log [P] = 1,48 + 0,33 (± 0,09) Log MEI* alcal.
Log [P] = 0,75 + 0,27 (± 0,11) Log MEI* cond.

dove:
P = A = Concentrazione di fosforo totale di µg/L;
MEI alcal. = Rapporto tra alcalinità (meq/L) e profondità media (m);
MEI cond. = Rapporto tra conducibilità (µS/cm) e profondità media (m);
(*) MEI = Indice morfoedafico.

[7] Nei riguardi dei pesci i nitriti risultano manifestamente più tossici in acque a scarso tenore di cloruri. I valori “I” indicati nella tabella 1/B corrispondono ad un criterio di qualità per acque con una concentrazione di cloruri di 10 mg/L.
Per concentrazioni di cloruri comprese tra 1 e 40 mg/L i valori limite “I” corrispondenti sono riportati nella seguente tabella 2/B.

Tab. 2/B – Valori limite “Imperativi” per il parametro nitriti per concentrazioni di cloruri comprese tra 1 e 40 mg/L

[8] Data la complessità della classe, anche se ristretta ai fenoli monoidrici, il valore limite unico quotato nel prospetto della tabella 1/B può risultare a seconda del composto chimico specifico troppo restrittivo o troppo permissivo;
– poichè la direttiva del Consiglio (78/659/CEE del 18 luglio 1978) prevede soltanto l’esame organolettico (sapore), appare utile richiamare nella tabella 3/B la concentrazione più alta delle sostanze più rappresentative della sotto classe Clorofenoli che non altera il sapore dei pesci (U.S. EPA – Ambient Water Quality Criteria, 1978):

Tab 3/B

Appare infine utile richiamare, nella tabella 4/B, i criteri, di qualità per la protezione della vita acquatica formulati da B.C. Nicholson per conto del Governo Australiano in “Australian Water Quality Criteria for Organic Compound – Tecnical Paper n. 82 1984”.

Tab 4/B

[9] Considerato che gli olii minerali (o idrocarburi di origine
petrolifera) possono essere presenti nell’acqua o adsorbiti nel
materiale in sospensione o emulsionati o disciolti, appare
indispensabile che il campionamento venga fatto sotto la superficie:
– concentrazioni di idrocarburi anche inferiori al valore guida
riportato nella tabella 1/B possono tuttavia risultare nocivi per
forme ittiche giovanili ed alterare il sapore del pesce;
– la determinazione degli idrocarburi di origine petrolifera va
eseguita mediante spettrofotometria IR previa estrazione con
tetracloruro di carbonio o altro solvente equivalente.
[10] La proporzione di ammoniaca non ionizzata (o ammoniaca libera),
specie estremamente tossica, in quella totale (NH3 + NH4
+ ) dipende
dalla temperatura e dal pH;
– le concentrazioni di ammoniaca totale (NH3 + NH4
+ ) che
contengono una concentrazione di 0,025 mg/L di ammoniaca non
ionizzata, in funzione della temperatura e pH, misurate al momento
del prelievo, sono quelle riportate nella seguente tabella 5/B:

Tab 5/B

[11] Al fine di ridurre il rischio di tossicità dovuto alla presenza di ammoniaca non ionizzata, il rischio di consumo di ossigeno dovuto alla nitrificazione e il rischio dovuto all’instaurarsi di fenomeni di eutrofizzazione, le concentrazioni di ammoniaca totale non
dovrebbero superare i valori indicati nel prospetto della tabella 1/B;
– tuttavia per cause naturali (particolari condizioni geografiche o climatiche) e segnatamente in caso di basse temperature dell’acqua e di diminuzione della nitrificazione o qualora l’Autorità competente possa provare che non si avranno conseguenze dannose per lo sviluppo equilibrato delle popolazioni ittiche, è consentito il superamento dei valori tabellari.
[12] Quando il cloro è presente in acqua in forma disponibile, cioè in grado di agire come ossidante, i termini, usati indifferentemente in letteratura, “attivo”, o “residuo” si equivalgono;
– il “cloro residuo totale”, corrisponde alla somma, se presenti contemporaneamente, del cloro disponibile libero [cioè quello presente come una miscela in equilibrio di ioni ipoclorito (OCI- ) ed acido ipocloroso (HOCI] e del cloro combinato disponibile [cioè quello presente nelle cloroammine o in altri composti con legami N-Cl (i.e. dicloroisocianurato di sodio)];
– la concentrazione più elevata di cloro (Cl2 ) che non manifesta effetti avversi su specie ittiche sensibili, entro 5 giorni, è di 0,005 mg Cl2 /L (corrispondente a 0,004 mg/L di HOCl). Considerato che il cloro è troppo reattivo per persistere a lungo nei corsi d’acqua, che lo stesso acido ipocloroso si decompone lentamente a ione cloruro ed ossigeno (processo accelerato dalla luce solare), che i pesci per comportamento autoprotettivo fuggono dalle zone ad elevata concentrazione di cloro attivo, come valore è stato
confermato il limite suddetto;
– le quantità di cloro totale, espresse in mg/L di Cl2 , che contengono una concentrazione di 0,004 mg/L di HOCl, variano in funzione della temperatura e soprattutto del valore di pH (in quanto influenza in maniera rimarchevole il grado di dissociazione dell’acido ipocloroso HOCl <-> H+ + ClO- secondo la seguente tabella 6/B:

Tab 6/B

Pertanto i valori “I” risultanti in tabella corrispondono a pH = 6. In presenza di valori di pH più alti sono consentite concentrazioni di cloro residuo totale (Cl2 ) più elevate e comunque non superiori a quelle riportate in tabella 6/B; – per i calcoli analitici di trasformazione del cloro ad acido ipocloroso ricordare che, dell’equazione stechiometrica, risulta che una mole di cloro (Cl2 ) corrisponde ad 1 mole di acido ipocloroso (HOCl). – in ogni caso la  concentrazione ammissibile di cloro residuo totale non deve superare il limite di rilevabilità strumentale del metodo di riferimento. [13] L’attenzione è rivolta alla classe tensioattivi anionici, che trova il maggior impiego nei detersivi per uso domestico; – il metodo al blu di metilene, con tutti gli accorgimenti suggeriti negli ultimi anni (vedi direttiva del Consiglio 82/243/CEE del 31 marzo 1982, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee L. 109 del 22 aprile 1982), appare ancora il più valido per la determinazione di questa classe di composti. Per il futuro è da prevedere l’inclusione in questo parametro almeno della classe dei  tensioattivi non ionici. [14] Gli otto metalli presi in considerazione risultano più o meno tossici verso la fauna acquatica. Alcuni di essi (Hg, As, etc.) hanno la capacità di bioaccumularsi anche su pesci commestibili. La tossicità è spesso attenuata dalla durezza. I valori quotati nel prospetto della tabella 1/B, corrispondono ad una durezza dell’acqua di 100 mg/L come CaCO3 . Per durezze comprese tra <50 e >250 i valori limite corrispondenti sono riportati nei riquadri seguenti contraddistinti per protezione dei Salmonidi e dei Ciprinidi.

Protezione Salmonidi

 

Protezione Ciprinidi


Sezione C: Criteri generali e metodologie per il rilevamento delle caratteristiche qualitative ed il calcolo della conformità delle acque destinate alla vita dei molluschi

I seguenti criteri si applicano alle acque costiere e salmastre sedi di banchi e popolazioni naturali di molluschi bivalvi c gasteropodi designate come richiedenti protezione e miglioramento per consentire la vita e lo sviluppo dei molluschi e per contribuire alla buona
qualità dei prodotti della molluschicoltura destinati al consumo
umano.

1) Calcolo della conformità
1. Le acque designate ai sensi dell’art. 87 si considerano conformi quando i campioni di tali acque, prelevate nello stesso punto per un periodo di dodici mesi, secondo la frequenza minima prevista nella tab. 1/C, rispettano i valori e le indicazioni di cui alla medesima
tabella per quanto riguarda:
a) il 100% dei campioni prelevati per i parametri sostanze organo
alogenate e metalli;
b) il 95% dei campioni per i parametri ed ossigeno disciolto;
c) il 75% dei campioni per gli altri parametri indicati nella tab.
1/C.
2. Qualora la frequenza dei campionamenti, ad eccezione di quelli relativi ai parametri sostanze organo alogenate e metalli, sia inferiore a quella indicata nella tab. 1/C, la conformità ai valori ed alle indicazioni deve essere rispettata nel 100% dei campioni.
3. Il superamento dei valori tabellari o il mancato rispetto delle
indicazioni riportate nella tabella 1/C non sono presi in
considerazione se avvengono a causa di eventi calamitosi.

2) Campionamento
1. L’esatta ubicazione delle stazioni di prelievo dei campioni, la loro distanza dal più vicino punto di scarico di sostanze inquinanti e la profondità alla quale i campioni devono essere prelevati, sono definiti dall’Autorità competente in funzione delle condizioni
ambientali locali.
2. Ai fini dell’accertamento della conformità di cui al comma 1,
la frequenza dei campionamenti stabilita nella tabella 1/C può
essere ridotta dall’Autorità competente ove risulti accertato che la
qualità delle acque è sensibilmente superiore per i singoli
parametri di quella risultante dall’applicazione dei valori limite e
relative note.
3. Possono essere esentate dal campionamento periodico le acque per le quali risulti accertato che non esistano cause di inquinamento o rischio di deterioramento.

Tab. 1/C Qualità delle acque destinate alla vita dei molluschi

INDICE>>


#

INDICE>>

ALLEGATO 3

RILEVAMENTO DELLE CARATTERISTICHE DEI BACINI IDROGRAFICI E ANALISI DELL’IMPATTO ESERCITATO DALL’ATTIVITA’ ANTROPICA

Per la redazione dei piani di tutela, le Regioni devono raccogliere ed elaborare i dati relativi alle caratteristiche dei bacini idrografici secondo i criteri di seguito indicati.
A tal fine si ritiene opportuno che le Regioni si coordinino, anche con il supporto delle autorità di bacino, per individuare, per ogni bacino idrografico, un Centro di  documentazione cui attribuire il compito di raccogliere, catalogare e diffondere le informazioni relative alle caratteristiche dei bacini idrografici ricadenti nei territori di competenza.
Devono essere in particolare considerati gli elementi geografici, geologici, idrogeologici, fisici, chimici e biologici dei corpi idrici superficiali e sotterranei, nonchè quelli socioeconomici presenti nel bacino idrografico di propria competenza.

1 CARATTERIZZAZIONE DEI CORPI IDRICI SUPERFICIALI

Le regioni, nell’ambito del territorio di competenza, individuano l’ubicazione e il perimetro dei corpi idrici superficiali ed effettuano di tutti una caratterizzazione iniziale, seguendo la
metodologia indicata in appresso. Ai fini di tale caratterizzazione iniziale le regioni possono raggruppare i corpi idrici superficiali.

i) Individuare i corpi idrici superficiali all’interno del bacino idrografico come rientranti in una delle seguenti categorie di acque superficiali – fiumi, laghi, acque di transizione o acque costiere – oppure come corpi idrici superficiali artificiali o corpi idrici superficiali fortemente modificati.

ii) Per i corpi idrici superficiali artificiali o fortemente modificati, la classificazione si effettua secondo i descrittori relativi a una delle categorie di acque superficiali che maggiormente
somigli al corpo idrico artificiale o fortemente modificato di cui trattasi.

1.1 ACQUISIZIONE DELLE CONOSCENZE DISPONIBILI

La fase iniziale, finalizzata alla prima caratterizzazione dei bacini idrografici, serve a raccogliere le informazioni relative a:
a) gli aspetti geografici: estensione geografica ed estensione altitudinale, latitudinale e longitudinale
b) le condizioni geologiche: informazioni sulla tipologia dei substrati, almeno in relazione al contenuto calcareo, siliceo ed organico
c) le condizioni idrologiche: bilanci idrici, compresi i volumi, i regimi di flusso nonchè i trasferimenti e le deviazioni idriche e le relative fluttuazioni stagionali e, se del caso, la sanità
d) le condizioni climatiche: tipo di precipitazioni e, ove possibile, evaporazione ed evapotraspirazione.
Tali informazioni sono integrate con gli aspetti relativi a:
a) caratteristiche socioeconomiche utilizzo del suolo, industrializzazione dell’area, ecc.
b) individuazione e tipizzazione di aree naturali protette, c) eventuale caratterizzazione faunistica e vegetazionale dell’area del bacino idrografico.

SEZIONE A: METODOLOGIA PER L’INDIVIDUAZIONE I TIPI PER LE DIVERSE CATEGORIE DI ACQUE SUPERFICIALI

A.1 Metodologia per l’individuazione dei tipi fluviali

A.1.1 Definizioni:

– “corso d’acqua temporaneo“: un corso d’acqua soggetto a periodi di asciutta totale o di tratti dell’alveo annualmente o almeno 2 anni su 5;
– “corso d’acqua intermittente“: un corso d’acqua temporaneo con acqua in alveo per più di 8 mesi all’anno, che può manifestare asciutte anche solo in parte del proprio corso e/o più volte durante l’anno;
– “corso d’acqua effimero“: un corso d’acqua temporaneo con acqua in alveo per meno di 8 mesi all’anno, ma stabilmente; a volte possono essere rinvenuti tratti del corso d’acqua con la sola presenza di pozze isolate;
– “corso d’acqua episodico“: un corso d’acqua temporaneo con acqua in alveo solo in seguito ad eventi di precipitazione particolarmente intensi, anche meno di una volta ogni 5 anni. I fiumi a carattere episodico (esempio: le fiumare calabre o lame pugliesi), sono da
considerarsi ambienti limite, in cui i popolamenti acquatici sono assenti o scarsamente rappresentati, anche nei periodi di presenza d’acqua. Pertanto tali corpi idrici non rientrano nell’obbligo di monitoraggio e classificazione.
Nelle definizioni sopra riportate l’assenza di acqua in alveo si intende dovuta a condizioni naturali.

A.1.2 Basi metodologiche

La tipizzazione dei fiumi è basata sull’utilizzo di descrittori abiotici, in applicazione del sistema B dell’allegato II della Direttiva 2000/60/CE e devono, quindi, essere classificati in tipi sulla base di descrittori geografici, climatici e geologici. La tipizzazione si applica a tutti i fiumi che hanno un bacino idrografico ≥ 10 km2 . La tipizzazione deve essere applicata anche a fiumi con bacini idrografici di superficie minore nel caso di ambienti di particolare rilevanza paesaggistico-naturalistica, di ambienti individuati come siti di riferimento, nonchè di corsi d’acqua che, per il carico inquinante, possono avere un’influenza
negativa rilevante per gli obiettivi stabiliti per altri corpi idrici ad essi connessi.
La procedura utilizzata per la definizione dei tipi per i corsi d’acqua si articola in tre livelli successivi di seguito descritti:
– Livello 1 – Regionalizzazione
– Livello 2 -Definizione di una tipologia
– Livello 3 – Definizione di una tipologia di dettaglio

A.1.3. Regionalizzazione.

Il livello 1 si basa su una regionalizzazione del territorio europeo e consiste in una identificazione di aree che presentano al loro interno una limitata variabilità per le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche, sulle quali applicare successivamente la
tipizzazione dei corsi d’acqua. I descrittori utilizzati sono riportati nella tabella 1.1, mentre nella figura 1.1 sono descritti i limiti delle diverse Idro-ecoregioni che interessano l’Italia.
Sulla base del processo di tipizzazione e del monitoraggio svolto nel 2008 le Regioni possono effettuare modifiche ai confini delle Idro-ecoregioni per adattarle al meglio alle discontinuità naturali territoriali, nel rispetto dell’approccio generale mediante il quale
esse sono state delineate.

Fig. 1.1 Rappresentazione delle idroecoregioni italiane con relativi codici numerici, denominazioni e confini regionali


A.1.4 Definizione della tipologia.

Il Livello 2 deve consentire di giungere ad una tipizzazione di tutti i corsi d’acqua presenti sul territorio italiano con dimensione minima di bacino di 10 km2 , o di dimensione minore di cui alle eccezioni previste al paragrafo A.1.2, sulla base di alcuni descrittori abiotici comuni. L’obiettivo è quindi quello di ottenere una lista di tipi, riconosciuti come ulteriore approfondimento della regionalizzazione in Idro-ecoregioni.
I descrittori selezionati per la definizione della tipologia di livello 2 e le fasi successive sono riportati rispettivamente nella tabella 1.2 e nella figura 1.2.

Tab. 1.2 Descrittori utilizzati per il livello 2 del processo di tipizzazione

A.1.4.1 Distanza dalla sorgente

La distanza dalla sorgente fornisce indicazioni sulla taglia del corso d’acqua, in quanto è correlata alla dimensione del bacino di cui può essere considerata un descrittore indiretto.
La distanza dalla sorgente consente di ottenere delle classi di taglia per i corsi d’acqua, definite come segue:

Molto piccolo < 5 km
Piccolo 5-25 km
Medio 25-75 km
Grande 75-150 km
Molto grande > 150 km

Qualora il valore limite della classe cadesse all’interno di un tratto fluviale omogeneo, tale limite non avrebbe un realesignificato ecologico. Pertanto nella fase di effettivo
riconoscimento dei tipi, si deve utilizzare un criterio correttivo (fase 5 in Fig. 1.2), per consentire il posizionamento del limite tra i due tipi, e quindi l’identificazione dei due corpi idrici adiacenti, in accordo con le discontinuità realmente esistenti lungo il corso d’acqua. Tale criterio è stato riconosciuto nel posizionamento del limite tra due tratti alla confluenza di un corso d’acqua di ordine (Strahler) superiore, uguale o inferiore di una unità. Il punto di confluenza, offre la possibilità di collocare l’effettivo punto di separazione tra due tipi/tratti fluviali secondo le principali discontinuità ecologiche del fiume.
Sulla base dei dati in possesso dell’autorità competente, la “dimensione del bacino” può sostituire il descrittore “distanza dalla sorgente” nel caso in cui sia stata definita adeguatamente la relazione tra i due descrittori. In questo caso, dovrà essere garantita una corrispondenza di massima tra l’attribuzione ai tipi ottenuta sulla base della dimensione del bacino e le classi indicate nella presente sezione per la distanza dalla sorgente. Come criterio generale possono eventualmente essere utilizzate delle classi di taglia per i corsi d’acqua definite come segue:

Molto piccolo < 25 km2
Piccolo 25-150 km2
Medio 150-750 km2
Grande 750-2500 km2
Molto grande > 2500 km2

L’uso del criterio ‘distanza dalla sorgentè invece della dimensione del bacino consente di limitare l’errore di attribuzione tipologica nel caso, ad esempio, di piccoli corsi d’acqua di pianura o di origine sorgiva.
La distanza dalla sorgente è anche utilizzata per valutare l’influenza del bacino a monte.
In Figura 1.2 è riportato il caso in cui l’attribuzione di taglia è effettuata sulla base della distanza dalla sorgente. L’autorità competente informa il MATTM sulla base di quale dei due criteri sono attribuite le classi di taglia del corso d’acqua, tenendo presente che nell’intero territorio di un singolo bacino idrografico deve essere utilizzato un unico descrittore (distanza della sorgente o dimensione del bacino). Pertanto le regioni si coordinano per
selezionare il descrittore comune nell’ambito di bacini idrografici che comprendono i territori di più regioni.

A.1.4.2 Morfologia dell’alveo

E’ un descrittore di assoluta rilevanza nello strutturare le biocenosi nei fiumi temporanei. La morfologia dell’alveo fluviale risulta particolarmente importante in corsi d’acqua non confinati o semi confinati. I corsi d’acqua per i quali la morfologia dell’alveo risulta quindi particolarmente importante per caratterizzare la struttura e il funzionamento dell’ecosistema sono quelli di pianura, collina o presenti nei fondo valle montani. Per i fiumi temporanei, si propongono i due seguenti raggruppamenti:
1) Meandriforme, sinuoso o confinato
2) Semi-confinato, transizionale, a canali intrecciati o fortemente
anastomizzato.

A.1.4.3 Perennità e persistenza del corso d’acqua

Una caratteristica fondamentale dei corsi d’acqua è il loro grado di perennità (fase 2 in Fig.1.2). Nell’area mediterranea, in particolare, è necessario poter riconoscere e caratterizzare i fiumi a carattere temporaneo. Tra i fiumi temporanei, possiamo riconoscere le seguenti categorie definite al paragrafo A.1.1 (Definizioni): intermittente, effimero ed
episodico (fase3b in Fig.1.2). è chiaro che l’attribuzione di un tratto fluviale alla categoria
‘fiumi temporanei’ deve essere effettuata sulla base delle portate ‘naturali’ ricostruite e non di condizioni osservate che siano il risultato di processi di uso e gestione delle acque non in linea con le caratteristiche naturali del corso d’acqua . Ad esempio, un determinato tratto soggetto a regolazione del deflusso minimo vitale o al manifestarsi di periodi di asciutta dovuti alla presenza di invasi a monte non sarà direttamente ascrivibile a tale categoria
senza ulteriori verifiche sul regime naturale del corso d’acqua.

A.1.4.4 Origine del corso d’acqua

Soprattutto al fine di evidenziare ecosistemi di particolare interesse o a carattere peculiare, diversi tipi fluviali devono essere discriminati sulla base della loro origine:
1. scorrimento superficiale di acque di precipitazione o da scioglimento di nevai (maggior parte dei corsi d’acqua italiani);
2. grandi laghi;
3. ghiacciai;
4. sorgenti ( e.g. in aree carsiche);
5. acque sotterranee (e.g. risorgive e fontanili).
Questa categorizzazione è utile per caratterizzare i tratti fluviali più prossimi all’origine; essa (da 3 a 5 della fig. 1.2, in particolare) può perdere d’importanza spostandosi verso valle.
Nell’attuale formulazione di tipologia, la distanza di circa 10 km viene orientativamente proposta come limite oltre il quale gli effetti di un’origine particolare del corso d’acqua si affievoliscono al punto da renderlo simile ad un altro originatosi da acque di
scorrimento superficiale (fig. 1.2).

A.1.4.5 Influenza del bacino a monte sul corpo idrico

Deve essere utilizzato il semplice rapporto tra l’estensione totale del corso d’acqua (i.e. distanza dalla sorgente) e l’estensione lineare del corso d’acqua in esame all’interno della Idro-ecoregione di appartenenza (sempre a monte del sito, fino al confine della
Idro-ecoregione di appartenenza). Cioè, è possibile definire unindice di Influenza del Bacino/Idro-ecoregione a monte (IBM) come:
IBM= Estensione lineare totale del corso d’acqua /Estensione lineare del corso d’acqua nella Idro-ecoregione di appartenenza

L’estensione totale e nella Idro-ecoregione di appartenenza del corso d’acqua devono essere entrambe calcolate a partire dal sito in esame verso monte.

La tabella 1.3 riporta i valori di riferimento per tale indice. Le modalità di calcolo del criterio ‘Influenza del bacino a montè potranno essere riviste sulla base dei risultati della prima
applicazione tipologica.

Tabella 1.3. Criteri per l’attribuzione di un sito fluviale ad una classe di influenza del bacino a monte (HERm: HER a monte; HERa: HER di appartenenza).

Figura 1.2. Tipologia per l’attribuzione di tratti fluviali ad un ‘tipo’ ai sensi della Direttiva 2000/60/CE, Sistema B. Diagramma di flusso per il Livello 2

 

 

A.1.5 Definizione di una tipologia di dettaglio.

Il livello 3 consente da parte delle Regioni, l’affinamento della tipologia di livello 2 sulla base delle specificità territoriali, dei dati disponibili, di particolari necessità gestionali, etc. Si può basare, nelle diverse aree italiane, su descrittori differenti, la cui utilità e appropriatezza devono essere dimostrate su scala locale/regionale. Questo livello di dettaglio offre la possibilità di compensare eventuali incongruenze che derivino dalla definizione della tipologia di livello 2.
L’affinamento di livello 3 è auspicabile per tutti i corsi d’acqua. I risultati di livello 3 consentono una ridefinizione più accurata dei criteri/limiti utilizzati nei due livelli precedenti. Inoltre, l’indagine di terzo livello dovrebbe affiancare l’individuazione dei corpi idrici e definire gli eventuali sottotipi.
Mentre i livelli 1 e 2 sono da considerarsi obbligatori nell’attribuzione tipologica ad un tratto fluviale, in quanto consentono una tipizzazione comune all’intero territorio nazionale,
il terzo livello, come qui illustrato, comprende fattori facoltativi.
L’impiego dei fattori di seguito riportati (vedi anche Fig. 1.3), alcuni dei quali già utilizzati al livello 2, è comunque suggerito per la loro larga applicabilità o per rendere più equilibrato e comparabile la tipizzazione tra corsi d’acqua perenni e temporanei:
– morfologia dell’alveo;
– origine del corso d’acqua;
– temperatura dell’acqua;
– altri descrittori (portata media annua, interazione con la falda, granulometria del substrato, carattere lentico-lotico).
Resta ferma la possibilità di utilizzo di altri elementi al fine di meglio caratterizzare i tipi a scala locale tenendo conto della massima confrontabilità tra aree adiacenti.

A.1.6 Relazione tra i tipi fluviali ottenuti e le biocenosi fluviali

La metodologia qui proposta, che include un elevato numero di descrittori suggeriti dal sistema B della Direttiva 2000/60/CE, è stata basata, a tutti e tre i livelli, su fattori ritenuti importanti nello strutturare le biocenosi acquatiche e nel determinare il funzionamento degli ecosistemi fluviali. Peraltro, è ragionevole attendersi che l’effettiva risposta delle biocenosi possa non variare tra alcuni dei tipi identificati. La tipizzazione effettuata secondo il metodo della presente sezione deve essere successivamente validata attraverso verifiche a carattere biologico con l’obiettivo di definire i bio-tipi effettivamente presenti in ciascuna
Idro-ecoregione. La verifica della presenza e dell’importanza dei diversi tipi (livello 2) nelle varie Idro-ecoregioni e Regioni è effettuata, ad opera di Regioni e Autorità di Bacino.

Figura 1.3. Tipologia per l’attribuzione di tratti fluviali ad un ‘tipo’. Diagramma di flusso per il Livello 3


 

A.2 Metodologia per l’individuazione dei tipi lacustri

A.2.1 Definizioni:

“lago”: un corpo idrico naturale lentico, superficiale, interno, fermo, di acqua dolce, dotato di significativo bacino scolante. Non sono considerati ambienti lacustri tutti gli specchi d’acqua derivanti da attività estrattive, gli ambienti di transizione, quali sbarramenti fluviali tratti di corsi d’acqua in cui la corrente rallenta fino ad un tempo di ricambio inferiore ad una settimana e gli ambienti che mostrano processi di interramento avanzati che si  possono definire come zone umide;

“invaso”: corpo idrico fortemente modificato, corpo lacustre
naturale-ampliato o artificiale.

A.2.2 Basi metodologiche

I corpi idrici lacustri naturali, artificiali e naturali fortemente modificati presenti sul territorio nazionale devono essere classificati in tipi sulla base di descrittori di carattere morfometrico e sulla composizione prevalente del substrato geologico.
La tipizzazione deve essere effettuata per i laghi di superficie ≥ 0,2 km2 e per gli invasi ≥ 0,5 km2 .
Nell’ambito dei corpi idrici tipizzati devono essere sottoposti a successivo monitoraggio e classificazione i laghi e gli invasi con una superficie ≥ 0,5 km2 .
La tipizzazione deve comunque essere applicata anche ai laghi di superficie minore, di 0,2 km2 nel caso di ambienti di particolare rilevanza paesaggistico-naturalistica, di ambienti individuati come siti di riferimento, nonchè di corpi idrici lacustri che, per il
carico inquinante, possono avere un’influenza negativa rilevante per gli obiettivi stabiliti per altri corpi idrici ad essi connessi.

A.2.3 Descrittori per la tipizzazione dei laghi e degli invasi

La tipizzazione dei laghi/invasi è basata sull’utilizzo di descrittori abiotici, in applicazione del sistema B dell’allegato II della Direttiva 2000/60/CE.

I descrittori utilizzati per la tipizzazione (Tab. 2.1) sono distinguibili in morfometrici, geologici e chimico-fisici.

tab.2.1. Descrittori utilizzati per l’identificazione dei tipi dei laghi/invasi

 

A.2.3.1 Localizzazione geografica

Latitudine
Il territorio italiano è stato suddiviso in due grandi aree geografiche, separate dal 44° parallelo, per distinguere le regioni settentrionali (Regione Alpina e Sudalpina) e quelle
centro-meridionali e insulari (Regione Mediterranea). Tale suddivisione riflette distinzioni di carattere climatico che vanno ad incidere sulle temperature delle acque lentiche e sul loro regime di mescolamento. Non viene considerata la longitudine in quanto non
influisce significativamente, per la struttura geografica del territorio italiano, sulle acque lentiche.

A.2.3.2 Descrittori morfometrici

I descrittori morfometrici per l’individuazi one dei tipi, sono riportati in tabella 2.2. In considerazione delle differenze, strutturali e gestionali, tra laghi naturali e invasi, i descrittori sono diversi.

Per i laghi, ai fini del presente allegato, deve intendersi per:
Quota media del lago o livello medio (m s.l.m.): l’altitudine media sul livello del mare della superficie dello specchio d’acqua.
Profondita’ massima (m): la distanza tra la quota del punto più depresso della conca lacustre e la quota media della superficie dello specchio d’acqua.
Superficie (km2): l’area dello specchio liquido alla quota media del lago.Profondita’ media (m): il volume del lago (in 106 m3 ) diviso per la superficie dello specchio liquido (in 106 m2) Per gli invasi, ai fini del presente allegato, deve intendersi per:
Quota a massima regolazione (m s.l.m.): la quota massima riferita al volume totale d’invaso, definita dal D.M. 24/3/82 n. 44.
Profondita’ massima a massima regolazione (m): la distanza tra la quota del punto più depresso della conca lacustre e la quota della superficie dello specchio d’acqua, considerata alla massima regolazione.
Superficie a massima regolazione (km2): l’area dello specchio liquido riferita alla quota di massima regolazione.
Profondita’ media a massima regolazione (m): il volume dell’invaso a massima regolazione (in 106 m3) diviso per la superficie a massima regolazione (in 106 m2).

A.2.3.3 Descrittori geologici

I descrittori geologici indicano la classe geologica di appartenenza
del lago/invaso e si basano sulla tipologia di substrato dominante
del bacino idrografico collocando il lago/invaso in una delle due
categorie:
– calcarea
– silicea.
Si precisa che la dominanza del substrato geologico è quella che
determina un’influenza sulle caratteristiche del lago/invaso stesso.
Per la determinazione della categoria geologica si utilizza il valore
di alcalinita’ totale TAlk, espresso in meq/l, calcolato come valore
medio sulla colonna nello strato di massimo rimescolamento invernale:

TAlk < 0,8 meq/l Tipologia silicea
TAlk ≥ 0,8 meq/l Tipologia calcarea.

In assenza del valore di alcalinita’ può essere utilizzato il valore della conducibilita’, ovvero il valore medio sulla colonna calcolato come per l’alcalinita’ totale, prestando attenzione alla zona di separazione di classe qui indicata:

Cond < 250 μS/cm 20° C Tipologia silicea
Cond ≥ 250 μS/cm 20° C Tipologia calcarea.

Nei casi dubbi l’attribuzione deve essere supportata mediante l’analisi di carte geologiche.

Origine geologica
L’origine è stata introdotta limitatamente ai laghi di origine
vulcanica e pseudovulcanica localizzati nell’Italia Centro-Meridionale ed Insulare. Questi laghi richiedono una classificazione in tipi specifica per alcune caratteristiche, quali
il bacino imbrifero, poco più grande del lago stesso, la morfologia della cuvetta, tipicamente a tronco dicono, l’elevato tempo di ricambio, ecc.

A.2.3.4 Descrittori chimico-fisici

Conducibilita’
Questa variabile, ottenuta come valore medio sulla colonna nello strato di massimo rimescolamento invernale, è utilizzata per suddividere i laghi/invasi d’acqua dolce da quelli ad alto contenuto salino in base alla soglia di 2500 μS/cm 20° C (corrispondente a 1,44 psu, una densita’ di 999,30 kg/m3 e una diminuzione del punto di congelamento di -0,08°C) che separa ecosistemi che presentano cambiamenti significativi delle comunità biologiche.

Stratificazione termica (polimissi)
Un lago/invaso è definito polimittico se non mostra una stratificazione termica evidente e stabile. Un ambiente lentico di questo genere può andare incontro a diverse fasi di mescolamento nel corso del suo ciclo annuale. Per distinguere i laghi/invasi
polimittici da quelli a stabile stratificazione vengono identificati i seguenti valori di profondita’ media:

– < 3 m per i laghi/invasi al di sotto di 2000 m s.l.m.;
– < 5 m per i laghi/invasi al di sopra di 2000 m s.l.m.

A.2.4 Identificazione dei tipi

A.2.4.1. Procedura di tipizzazione (tipizzazione operativa)

La procedura di tipizzazione segue uno schema dicotomico (Fig. 2.1) basato su una sequenza successiva di nodi che si sviluppano a cascata. Il primo nodo è basato sulla distinzione tra laghi/invasi salini e laghi/invasi di acqua dolce, seguito dalla localizzazione geografica, la caratterizzazione morfometrica (quota, profondita’,
ecc.) ed infine quella geologica prevalente. La metodologia di seguito esposta è il risultato di un’ottimizzazione di un sistema di tipizzazione teorico più complesso, messo a punto dal CNR IRSA e dal CNR ISE, attraverso criteri di razionalizzazione per la riduzione del numero di tipi e denominata tipizzazione operativa.

A.2.4.2 Griglia di tipizzazione operativa dei laghi/invasi italiani

La tipizzazione di un corpo lacustre per i primi due livelli prevede:
– la valutazione del contenuto ionico complessivo della matrice acquosa utilizzando il criterio della soglia di 2500 μS/cm a 20° C
– la distinzione dei laghi/invasi in base alla regioni di appartenenza (Regione Alpina e Sudalpina o Regione Mediterranea) attraverso la posizione latitudinale superiore o inferiore al 44° parallelo Nord1 .
Da questo punto la tipizzazione prosegue in parallelo per le due diverse regioni.
Nella Regione Alpina e Sudalpina la griglia prevede tre livelli discriminanti in base alla quota ed alla morfometria lacustre e due ulteriori livelli basati sulla stabilita’ termica e sulla composizione geologica prevalente del bacino (calcareo o siliceo).
Nel caso della Regione Mediterranea il primo livello discrimina sempre l’origine, vulcanica o pseudovulcanica, mentre per gli altri laghi/invasi i successivi livelli seguono una discriminazione morfometrica, termica e geologica.
Complessivamente con la griglia operativa di tipizzazione dei laghi/invasi italiani si ottengono 18 tipi, di cui 1 corrisponde al tipo dei laghi/invasi ad elevato contenuto salino (Tipo S), 10 appartengono alla Regione Alpina e Sudalpina (Tipo AL-1 … AL-10) ed i restanti 7 alla Regione Mediterranea (Tipo ME-1 … ME-7).

Figura 2.1. Griglia operativa di tipizzazione dei laghi ≥ 0,2 km2 e degli invasi ≥ 0,5 km2
(NB nella figura 2.1 il termine “lago/laghi” individua genericamente sia gli ambienti lacustri naturali che gli invasi».)

1 L’applicazione di tale distinzione nella zona di separazione tra le due Regioni va fatta considerando il profilo amministrativo regionale piuttosto che quello geografico. Le successive valutazioni dello stato ecologico potranno fornire una conferma o meno della correttezza delle attribuzioni fatte.

A.2.4.3. Descrizione dei tipi ottenuti:
Di seguito si riporta la definizione breve e la descrizione dettagliata di ciascun tipo di lago/invaso suddiviso per le due regioni geografiche.

Regione Alpina e Sudalpina
Tipo AL-1: Laghi/invasi alpini d’alta quota, calcarei.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 2000 m s.l.m., con substrato prevalentemente calcareo.

Tipo AL-2: Laghi/invasi alpini d’alta quota, silicei.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 2000 m s.l.m., con substrato prevalentemente siliceo.

Tipo AL-3: Grandi laghi sudalpini.
Laghi dell’Italia Settentrionale, situati a quota inferiore a 800 m s.l.m., aventi profondita’ massima della cuvetta lacustre superiore o uguale a 125 m, oppure area dello specchio lacustre superiore o uguale a 100 km2 . Questo tipo identifica i grandi laghi sudalpini: Como, Garda, Iseo, Lugano, Maggiore.

Tipo AL-4: Laghi/invasi sudalpini, polimittici.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota inferiore a 800 m s.l.m., aventi profondita’ media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da assenza di stratificazione termica stabile (regime polimittico).

Tipo AL-5: Laghi/invasi sudalpini, poco profondi.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota inferiore a 800 m s.l.m., aventi profondita’ media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da presenza di stratificazione termica stabile.

Tipo AL-6: Laghi/invasi sudalpini, profondi.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota inferiore a 800 m s.l.m., aventi profondita’ media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m.

Tipo AL-7: Laghi/invasi alpini, poco profondi, calcarei.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 800 m s.l.m. e inferiore a 2000 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, con substrato prevalentemente calcareo.

Tipo AL-8: Laghi/invasi alpini, poco profondi, silicei.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 800 m s.l.m. e inferiore a 2000 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, con substrato prevalentemente siliceo.

Tipo AL-9: Laghi/invasi alpini, profondi, calcarei.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 800 m s.l.m. e inferiore a 2000 m s.l.m., aventi profondita’ media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m, con substrato prevalentemente calcareo.

Tipo AL-10: Laghi/invasi alpini, profondi, silicei.
Laghi/invasi dell’Italia Settentrionale, situati a quota superiore o uguale a 800 m s.l.m. e inferiore a 2000 m s.l.m., aventi profondità media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m, con substrato prevalentemente siliceo.

Regione Mediterranea
Tipo ME-1: Laghi/invasi mediterranei, polimittici.
Laghi/invasi dell’Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondita’ media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da assenza di stratificazione termica stabile (regime polimittico).

Tipo ME-2: Laghi/invasi mediterranei, poco profondi, calcarei.
Laghi/invasi dell’Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondita’ media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da presenza di stratificazione termica stabile, con substrato prevalentemente calcareo.

Tipo ME-3: Laghi/invasi mediterranei, poco profondi, silicei.
Laghi/invasi dell’Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondita’ media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m, caratterizzati da presenza di stratificazione termica stabile, con substrato prevalentemente siliceo.

Tipo ME-4: Laghi/invasi mediterranei, profondi, calcarei.
Laghi/invasi dell’Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondita’ media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m, con substrato prevalentemente calcareo.

Tipo ME-5: Laghi/invasi mediterranei, profondi, silicei.
Laghi/invasi dell’Italia Centro-Meridionale ed Insulare, aventi profondita’ media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m, con substrato prevalentemente siliceo.

Tipo ME-6: Laghi vulcanici poco profondi.
Laghi dell’Italia Centro-Meridionale ed Insulare, di origine vulcanica e pseudovulcanica, aventi profondita’ media della cuvetta lacustre inferiore a 15 m.

Tipo ME-7: Laghi vulcanici profondi.
Laghi dell’Italia Centro-Meridionale ed Insulare, di origine vulcanica e pseudovulcanica, aventi profondita’ media della cuvetta lacustre superiore o uguale a 15 m.

Tipo S: Laghi/invasi salini non connessi con il mare.
Laghi/invasi senza distinzione di area geografica di appartenenza
caratterizzati da valori di conducibilita’ superiori a 2500 μS/cm
20°C.

A.3 Metodologia per l’individuazione dei tipi delle acque marino-costiere

A.3.1 Criteri di tipizzazione

La caratterizzazione delle acque costiere viene effettuata sulla base delle caratteristiche naturali geomorfologiche ed idrodinamiche che identificano il tipo di tratto costiero, utilizzando i macrodescrittori di cui alla tabella 3.1, in applicazione del sistema B dell’allegato II della Direttiva 2000/60/CE.

Tab. 3.1. Criteri per la suddivisione delle acque costiere in diversi

(1) l’Italia si trova all’interno dell’ecoregione Mediterranea (2) Nel caso in cui siano presenti substrati differenti, viene indicato il substrato dominante. (3) Per la profondita’ la distinzione è basata su una profondita’ di circa 30 m, alla distanza di 1 miglio dalla linea di costa

A.3.1.1 Descrittori Geomorfologici

La costa italiana, sulla base dei descrittori geomorfologici, è suddivisa in sei tipologie principali denominate:
– rilievi montuosi (A),
– terrazzi (B),
– pianura litoranea (C),
– pianura di fiumara (D),
– pianura alluvionale (E),
– pianura di dune (F).

A.3.1.2 Descrittori idrologici

Per la tipizzazione devono essere presi in considerazione anche descrittori idrologici, quali le condizioni prevalenti di stabilità verticale della colonna d’acqua. Tale descrittore è derivato dai parametri di temperatura e salinita’ in conformita’ con le disposizioni della Direttiva relativamente ai parametri da considerare per la tipizzazione. La stabilita’ della colonna d’acqua è un fattore che ben rappresenta gli effetti delle immissioni di
acqua dolce di provenienza continentale, correlabili ai numerosi descrittori di pressione antropica che insistono sulla fascia costiera (nutrienti, sostanze contaminati ecc..). La stabilita’ deve essere misurata ad una profondita’ di circa 30 m, alla distanza di 1
miglio dalla linea di costa.
Procedura per il calcolo della stabilita’ verticale della colonna d’acqua.
Nel caso delle acque marino-costiere, il parametro “stabilita’ della colonna d’acqua” risulta un ottimo indicatore degli effetti dei contributi di acqua dolce di provenienza continentale, correlabili ai numerosi descrittori di pressione antropica che insistono sulla
fascia costiera (nutrienti, sostanze contaminanti quali organo-clorurati, metalli pesanti, ecc.).
In conformita’ con quanto richiesto dalla Direttiva 2000/60/CE, relativamente alle procedure di caratterizzazione dei tipi costieri, la stabilita’ della colonna d’acqua è un fattore derivato dai parametri di temperatura e salinita’.
Il quadrato della stabilita’ deve essere definito nel modo seguente:

dove:
g è l’accelerazione di gravità espressa in m/sec2 , ρ è la densita’ espressa in kg/m3 , dρ/dz rappresenta il gradiente verticale di densita’, con z profondità espressa in metri.
Per calcolare, con l’approssimazione richiesta, il gradiente verticale di densita’ e quindi il coefficiente di stabilita’ statica N si segue la procedura sotto indicata:

1. per ogni profilo verticale di densità (solitamente espressa come anomalia di densita’: σt )(2) e relativo ad una data stazione di misura, si calcola la profondità del picnoclino;3)
2. il profilo di densità viene quindi suddiviso in due strati: il primo dalla superficie alla profondita’ del picnoclino (box 1), il secondo dal picnoclino al fondo (box 2);
3. si procede poi al calcolo della differenza fra la densita’ media nel box 2 e quella nel box 1 e si ottiene dρ;
4. analogamente si calcola la differenza fra la profondità media del box 2 e quella del box 1 ottenendo dz;
5. si divide infine dρ per dz (si calcola cioè il gradiente di densita’ verticale dρ/dz). Tale gradiente, moltiplicato per g (9.81 m/sec2 ) e diviso per la densita’ media su tutto il profilo ρ, fornisce il valore di N2 (sec-2 ).
La quantita’ N = √N2 , già definita come coefficiente di stabilità statica, dimensionalmente è una frequenza, meglio nota con il nome di Frequenza di Brunt-Väisälä.
La figura 3.1, relativa ad un profilo verticale-tipo di densità, consente di valutare un valore di N pari a 0.15 sec-1 , che deriva dalle seguenti misure:
-g = -9.81 m/sec2 ,
ρ (come sigma-t) =25.72 Kg/m3 ,
dρ 0.38 Kg/m3 ,
dz = -6.62 m.


(2 ) Il parametro di densita’ più usato in oceanografia è la cosiddetta “sigma-t”, cioè la densita’ sigma ridotta alla pressione atmosferica: σt = (ρ (ρ = 1, T,S)-1) *103
(3 ) Il picnoclino indica la profondita’ z a cui corrisponde la massima variazione di densita’. Parte di provvedimento in formato grafico

Figura 3.1 Relazione tra profondita’ e densita’

Sulla base della elaborazione dei risultati di cui al programma nazionale di monitoraggio della qualità degli ambienti marini costieri italiani del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, si possono caratterizzare tutte le acque
costiere italiane con i relativi valori medi annuali di stabilita’ verticale, secondo le tre tipologie:
– alta stabilita’: N ≥ 0.3
– media stabilita’: 0.15 < N < 0.3
– bassa stabilita’: N ≤ 0.15
L’ICRAM – Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare – fornisce supporto tecnico alle regioni in relazione ai dati di stabilita’, ai fini dell’omogeneita’ di applicazione sul territorio nazionale

A.3.2 Definizione dei tipi costieri

Integrando le classi di tipologia costiera basate sui descrittori geomorfologici di cui al paragrafo A.3.1.1 con le tre classi di stabilita’ della colonna d’acqua, vengono identificate i tipi della fascia costiera italiana secondo lo schema riportato in tabella 3.2.

Tabella 3.2 – Tipi costieri italiani secondo i criteri geomorfologici e idrologici

A.4 Metodologia per l’individuazione dei tipi delle acque di transizione

Il processo da attuare per la tipizzazione delle acque di transizione è costituito dall’applicazione di descrittori prioritari e relative soglie di riferimento definite a livello nazionale dal presente allegato.

A.4.1 Definizione operazionale di acque di transizione

Gli ecosistemi acquatici di transizione a causa della loro peculiare collocazione, tra terra emersa e terre completamente sommerse, presentano caratteristiche ecologiche peculiari e una intrinseca eterogeneita’, rappresentata da un’ampia variabilita’ degli-habitat e dei parametri chimico-fisici (e.g. salinita’, nutrienti, idrodinamismo e geomorfologia). Ai sensi dell’art. 54 del presente decreto legislativo le “acque di transizione” vengono definite: “i corpi idrici superficiali in prossimita’ della foce di un fiume, che sono parzialmente di natura salina a causa della loro vicinanza alle
acque costiere, ma sostanzialmente influenzati dai flussi di acqua dolce”.
Per una più precisa ed univoca individuazione dei corpi idrici appartenenti alla categoria delle acque di transizione si rende necessario-introdurre una definizione delle medesime, che è stata qualificata nel titolo del presente paragrafo come “operazionale”, dato che tale definizione è di tipo convenzionale ed ha un taglio
prevalentemente applicativo All’interno del territorio nazionale sono attribuiti alla categoria “acque di transizione” i corpi idrici di superficie > 0,5 Km2 conformi all’art.2 della Direttiva, delimitati verso monte (fiume) dalla zona ove arriva il cuneo salino (definito come la sezione dell’asta fluviale nella quale tutti i punti monitorati sulla colonna d’acqua hanno il valore di salinita’ superiore a 0.5 psu) in bassa marea e condizioni di magra idrologica e verso valle (mare) da elementi fisici quali scanni, cordoni litoranei e/o barriere artificiali, o più in generale dalla linea di costa.
Sono attribuiti alla categoria “acque di transizione” anche gli stagni costieri che, a causa di intensa e prevalente evaporazione, assumono valori di salinita’ superiori a quelli del mare antistante.
Oltre alle foci fluviali direttamente sversanti in mare, saranno classificati come “acque di transizione”, ma tipologicamente distinti dalle lagune in quanto foci fluviali, quei tratti di corsi d’acqua che, pur sfociando in una laguna, presentano dimensioni non inferiori
a 0.5 km2 . Gli ecosistemi di transizione individuati mediante la definizione di cui sopra, con superficie inferiore a 0.5 km2, non sono obbligatoriamente soggetti a tipizzazione ed al successivo monitoraggio e classificazione ai sensi della Direttiva.
Possono essere considerati corpi idrici di transizione anche corpi idrici di dimensioni inferiori a 0.5 km2 , qualora sussistano motivazioni rilevanti ai fini della conservazione di habitat prioritari, eventualmente già tradotte in idonei strumenti di tutela, in applicazione di direttive Europee o disposizioni nazionali o regionali, o qualora sussistano altri motivi rilevanti che giustifichino questa scelta. Fra essi possono essere citati:
– l’appartenenza totale o parziale ad aree protette;
– la specifica valenza ecologica;
– la presenza di aree considerabili come siti di riferimento;
– la rilevanza socio-economica;
– l’esistenza di elementi di pressione specifici e distinti;
– l’elevata influenza sui corpi idrici circostanti.
Alle acque di transizione cosi’ definite si applicano i criteri di tipizzazione stabiliti nel seguito.

A.4.2 Criteri di tipizzazione

La caratterizzazione delle acque di transizione deve essere effettuata sulla base dei descrittori di cui alla tabella 4.1

Tab. 4.1. Descrittori per la suddivisione delle acque di transizione in diversi tipi

(1) l’Italia si trova all’interno dell’ecoregione Mediterranea

1. La prima distinzione delle acque di transizione viene effettuata tenendo in considerazione le caratteristiche geomorfologiche delle acque di transizione, che corrispondono alle lagune costiere ed alle foci fluviali.
2. Le lagune costiere sono successivamente distinte in base all’escursione di marea in:
a) micro tidali (escursione di marea > 50 cm)
b) non tidali (escursione di marea < 50 cm) (*)

(*) rientrano in questa categoria i laghi costieri salmastri 3. L’ulteriore distinzione tipologica deve essere effettuata sulla base di due parametri prioritari da tenere in considerazione per una definizione più accurata dei tipi delle acque di transizione:
superficie e salinita’.

A.4.3 Definizione dei tipi

Dall’applicazione dei descrittori vengono individuate complessivamente 21 tipi di acque di transizione (Figura 4.1).

 

Fig. 4.1 Diagramma di tipizzazione per le acque di transizione.

A.4.4 Criteri di sub-tipizzazione da applicare eventualmente a livello regionale

Per raggiungere un adeguato livello di tipizzazione i descrittori utilizzati a livello nazionale possono non essere sufficienti. Per questo motivo il sistema nazionale di tipizzazione prevede che le acque di transizione che presentano una significativa eterogeneità ambientale interna, evidenziabile essenzialmente su base geomorfologica ed idrodinamica, possano essere ulteriormente “sub-tipizzate” a livello regionale, mediante l’applicazione dei descrittori geomorfologici, idrologici e sedimentologici, riportati in tabella 4.2, la cui idoneita’ ed appropriatezza dovrà essere opportunamente dimostrata. Tale ulteriore divisione potra’ rendersi necessaria in particolare per gli ambienti lentici, specie se di grandi dimensioni.
Per le foci fluviali, invece, potrebbe verificarsi la necessita’ di introdurre quale criterio di subtipizzazione la salinità, già presente nello schema di tipizzazione per gli ambienti lentici.
I risultati di livello 3 devono essere utilizzati per una ridefinizione più accurata dei criteri/limiti utilizzati nei due livelli precedenti.

Tab. 4.2. Fattori opzionali del Sistema di classificazione B (Allegato II della Direttiva 2000/60/CE).

La eventuale sub-tipizzazione regionale, (terzo livello di indagine) deve essere gerarchicamente successiva alla tipizzazione nazionale, in modo tale che sia possibile riportarsi ad un livello di classificazione comune.
La sub-tipizzazione deve affiancare l’individuazione dei corpi idrici ai sensi all’art. 74, comma 2, lettera h), del presente decreto legislativo e alla sezione B del presente allegato, e consentire la definizione di eventuali sottotipi, che dovranno essere posti in
relazione a diverse condizioni di riferimento.

A.4.5 Valutazioni sulle scale spaziali e temporali ai fini della tipizzazione

L’applicazione del criterio di tipizzazione sopra descritto a ciascuna area con acque di transizione, sia essa rappresentata da una foce fluviale o da un ambiente lentico, richiede di considerare attentamente le scale spaziali e le scale temporali, in considerazione delle caratteristiche specifiche dell’area da tipizzare e dei passaggi successivi previsti dalla Direttiva per i corpi idrici, fino al piano di gestione per il raggiungimento o il mantenimento del buono stato chimico ed ecologico.
Le condizioni di riferimento, in base alle quali si determinano gli RQE (Rapporto di qualità Ecologica) e quindi la qualità dei corpi idrici, sono tipo-specifiche. Questo deve rappresentare un concetto guida per tutto il processo di tipizzazione dei corpi idrici
superficiali, in fase di determinazione della scala spaziale e del grado di specificita’ da raggiungere nella suddivisione delle acque superficiali.
Sulla base dei criteri descritti in precedenza, per le acque di transizione sono state definite a livello nazionale 21 tipi. è importante sottolineare che un ambiente di transizione può essere suddiviso in più tipi. La suddivisione in tipi deve infatti risponde alla necessità di considerare la variabilità intrinseca degli ambienti acquatici di transizione, ognuno dei quali deve essere rappresentato da specifiche condizioni di riferimento.
Un tipo, o sottotipo, deve corrispondere alla scala spaziale minima in cui si riconoscano le condizioni di riferimento e alla quale, nel momento in cui un’area tipizzata viene attribuita ad uno o più corpi idrici, va applicato il monitoraggio.
Il tema della scala temporale si ricollega al tema della definizione delle condizioni di riferimento, alla misura degli indicatori di stato più idonei e conseguentemente alla classificazione del corpo idrico. Considerato cio’, è opportuno ottimizzare la definizione di tipi e sottotipi tenendo conto dello sforzo di campionamento richiesto per il controllo dello stato ecologico in un numero elevato di tipi (o sottotipi). L’eccessiva parcellizzazione di un’area in più tipi, e conseguentemente in più corpi idrici, animata dall’intenzione di considerare interamente la variabilità biologica e di habitat presenti, può portare ad un appesantimento eccessivo ed ingiustificato degli oneri di monitoraggio e di gestione.
La scala temporale è legata a due componenti:
– la stagionalita’ ed il regime tidale;
– le variazioni della geomorfologia (es. crescita o arretramento delle frecce litorali, approfondimento o interrimento di un bassofondo o di un canale).
Quest’ultima può avere particolare rilievo ai fini della tipizzazione, mentre ai fini del monitoraggio può assumere maggiore importanza la stagionalita’ ed il regime tidale.
Con riferimento specifico al parametro “salinita’”, in conformita’ a quanto riportato nell’allegato II della direttiva 2000/60/CE, deve intendersi “salinita’ media annuale”.

Documenti di riferimento
Si riportano di seguito i documenti contenenti informazioni di dettaglio in merito alla tipizzazione dei corpi idrici: – Elementi di base per la definizione di una tipologia per i fiumi italiani in applicazione della Direttiva 2000/60/CE. Notiziario dei Metodi Analitici, CNR-IRSA Dicembre 2006 (1): 2-19;
– Approccio delle Idro-Ecoregioni europee e tipologia fluviale in
Francia per la Direttiva Quadro sulle Acque (EC 2000/60). Notiziario
dei Metodi Analitici IRSA-CNR 2006 (1): 20-38.;
– Definition des Hydro-ecoregions francaises metropolitaines.
Approche regionale de la typologie des eaux courantes et elements pour la definition des poulements de reference d’invertebres. Rapport, Ministere de l’Amenagement du Territoire et de l’Environment, Cemagref Lyon BEA/LHQ 2002: 1-190;
– Characterization of the Italian lake-types and identification of their reference sites using anthropogenic pressure factors. J. Limnol., 64 (1): 75-84;
– Relationships between hydrological and water quality parameters as a key issue in the modelling of trophic ecosystem responses for Mediterranean coastal water types. 2006. (In pubblicazione su Hydrobiologia).


SEZIONE B: CRITERI METODOLOGICI DI INDIVIDUAZIONE DEI CORPI IDRICI SUPERFICIALI

B.1 Introduzione

La presente sezione riporta criteri generali per l’identificazione dei corpi idrici superficiali. Le Regioni per quanto di competenza, in relazione alle caratteristiche e peculiarità del proprio territorio possono applicare criteri diversi fornendone motivazione.
I “corpi idrici” sono le unità a cui fare riferimento per riportare e accertare la conformità con gli obiettivi ambientali di cui al presente decreto legislativo.
I criteri per l’identificazione dei corpi idrici tengono conto principalmente delle differenze dello stato di qualità, delle pressioni esistenti sul territorio e dell’estensione delle aree
protette. Una corretta identificazione dei corpi idrici è di particolare importanza, in quanto gli obiettivi ambientali e le misure necessarie per raggiungerli si applicano in base alle caratteristiche e le criticità dei singoli “corpi idrici”. Un fattore chiave in questo contesto è pertanto lo “stato” di questi corpi. Se l’identificazione dei corpi idrici è tale da non permettere una descrizione accurata dello stato degli ecosistemi acquatici, non sarà possibile applicare correttamente gli obiettivi fissati dalla normativa vigente

B.2 Corpo idrico superficiale

L’uso dei termini “distinto e significativo” nella definizione di “corpo idrico superficiale”, di cui all’articolo 74, comma 2, lettera h) del presente decreto legislativo presuppone che i “corpi idrici” non sono una suddivisione arbitraria nell’ambito dei distretti idrografici. Ogni corpo idrico è identificato in base alla propria “distinguibilità e significatività” nel contesto delle finalità, degli obiettivi e delle disposizioni del decreto legislativo 152/06

B.3 Processo per l’identificazione dei corpi idrici

L’identificazione dei corpi idrici deve essere effettuata successivamente al processo di  tipizzazione di cui alla sezione A del presente allegato, secondo lo schema di seguito riportato. Il processo di identificazione dei corpi idrici è suddiviso nelle 5 fasi dettagliate nei paragrafi successivi.

B.3.1 FASE I – Delimitazione categorie e tipi

Al fine della delimitazione dei corpi idrici è necessario, innanzitutto, identificare i limiti delle categorie di acque superficiali (vedi sezione A). Un corpo idrico non deve essere diviso tra diverse categorie di acque (fiumi, laghi/invasi, acque di transizione e acque costiere), deve appartenere ad una sola categoria e ad un unico tipo.

B.3.2 FASE II – Criteri dimensionali

Per delineare i corpi idrici è necessario identificare i limiti dimensionali. In questa fase occorre individuare quali parti di acque superficiali debbano essere identificate come corpi idrici poichè esse includono un gran numero di elementi molto piccoli e l’identificazione di tutti gli elementi come corpi idrici separati causerebbe difficoltà logistiche rilevanti. Per evitare tale inconveniente almeno nella fase iniziale si applicano i criteri dimensionali, riportati nella tabella 1. Elementi di acque superficiali più piccoli di tali criteri dimensionali possono essere identificati come corpi idrici individuali nel caso in cui sia soddisfatto almeno un criterio tra quelli fissati nel paragrafo B.3.5.1

Tab.1 Criteri dimensionali per fiumi, laghi/invasi e acque di transizione

B.3.3 FASE III – Caratteristiche fisiche

Per assicurare che i corpi idrici rappresentino elementi distinti e significativi di acque superficiali, la fase III è necessaria per identificare i limiti attraverso le caratteristiche fisiche significative in riferimento agli obiettivi da perseguire, alcune delle quali sono riportate in tabella 2. La confluenza di corsi d’acqua potrebbe chiaramente demarcare un limite geografico e idromorfologico preciso di un corpo idrico.

Tab. 2 Alcune delle caratteristiche fisiche per l’individuazione di corpi idrici

Sulla base di quanto sopra detto può essere identificato come corpo idrico anche una parte di un fiume o una parte di acque di transizione.
Al fine di assicurare un’adeguata e quindi significativa identificazione dei corpi idrici, bisogna identificare i limiti in base ad ulteriori criteri rilevanti (paragrafo B.3.4), necessari anche per l’identificazione dei corpi idrici fortemente modificati e artificiali (paragrafo B.4).

B.3.4 Fase IV – Stato delle acque e limiti delle aree protette

Le fasi descritte nei paragrafi precedenti consentono di effettuare una prima generale delimitazione dei”corpi idrici” da confermare sulla base dei s criteri di seguito dettagliati:
1) Stato delle acque superficiali e relative pressioni;
2) Limiti delle aree protette di cui all’art 117 comma 3

B.3.4.1 Suddivisioni delle acque superficiali per rispecchiare il loro stato (ecologico e chimico)

Una conoscenza accurata dello stato degli ecosistemi acquatici è fondamentale per l’identificazione dei corpi idrici.
La necessità di tenere separati due o più corpi idrici contigui, sebbene appartenenti allo stesso tipo, dipende dalle pressioni e dai risultanti impatti e quindi dalla necessità di gestirli diversamente.
Un “corpo idrico” deve essere nelle condizioni tali da poter essere assegnato a una singola classe di stato delle acque superficiali con sufficiente attendibilità e precisione sulla base dei risultati dei programmi di monitoraggio effettuati. I cambi dello stato di qualità nelle acque superficiali si utilizzano per delineare i limiti del
corpo idrico.
Il processo di suddivisione delle acque superficiali per rispecchiare le differenze nello stato è un processo iterativo non solo dipendente dai risultati dei programmi di monitoraggio ma anche dalle informazioni che derivano dall’aggiornamento delle analisi delle pressioni e degli impatti.
Inizialmente, specialmente durante il periodo antecedente la pubblicazione del primo Piano di gestione, nel caso di assenza di informazioni sufficienti per definire accuratamente lo stato delle acque, la procedura di valutazione delle pressioni e degli impatti, condotta secondo le indicazioni di cui alla sezione C del presente allegato, fornirà stime sui cambiamenti dello stato che potranno essere utilizzate per tracciare i limiti per l’identificazione dei corpi idrici. I programmi di monitoraggio forniranno le informazioni necessarie a confermare i limiti basati sullo stato di qualità.
La delineazione di corpi idrici deve essere effettuata nei tempi adeguati, al fine di permettere la preparazione del piano di gestione. è sottinteso che a un miglioramento dello stato può conseguire un aggiustamento dei limiti dei corpi idrici, Si riconosce pero’ che un’eccessiva suddivisione, delle acque in unità sempre più piccole così come un esagerato accorpamento per la definizione di corpi idrici molto estesi, può creare difficoltà significative di gestione e di adozione di misure corrette per la protezione o il miglioramento degli ambienti acquatici.
Nell’identificazione delle acque marino-costiere non devono essere considerate le acque di porto in quanto non rientrano nella definizione di corpo idrico. A tal proposito si chiarisce che le aree portuali sono da considerarsi sorgenti di inquinamento.
Per quanto riguarda i laghi/invasi il singolo corpo idrico individuato sulla base di caratteristiche fisiche (tipizzazione e successiva suddivisione dei tipi) in generale non è soggetto ad ulteriori suddivisioni in base alla qualità delle acque, che apparterranno quindi ad una sola classe; l’esistenza di eventuali stati di qualità differenti rappresenta un’eccezione.
In merito alle acque di transizione il problema si pone soprattutto per le fonti di inquinamento puntuali, la cui superficie di influenza dipende dalle caratteristiche idro-morfologiche del corpo idrico e talvolta può essere di dimensioni ridotte.
In questi casi se l’area di impatto è ridotta, sia in valore assoluto sia in relazione alle dimensioni del corpo idrico cui appartiene, è preferibile non considerarla corpo idrico
indipendente. è necessario comunque considerare il caso in cui l’area impattata, anche se limitata, condiziona in maniera rilevante l’intero corpo idrico (ad esempio compromettendo un habitat unico e importante per specifici elementi di qualità biologica). Le aree di maggior impatto, anche se non individuate come specifici corpi
idrici, devono essere attentamente considerate nei piani di monitoraggio, prevedendo l’eventuale individuazione di specifiche stazioni.

B.3.4.2 Suddivisioni delle acque superficiali in relazione alle aree protette

Le aree protette, di cui all’allegato IX del presente decreto legislativo, sono identificate in base a specifiche discipline. Tali aree devono essere considerate nella delimitazione dei corpi idrici per una razionalizzazione della suddivisione dei corpi idrici e della relativa gestione integrata.
Le acque che ricadono all’interno di un’area protetta sono assoggettati ad obiettivi aggiuntivi; pertanto nel definire i limiti dei corpi idrici devono essere considerati anche i confini delle aree protette.
I limiti dei corpi idrici e delle aree protette nella maggior parte dei casi non coincideranno in quanto tali aree vengono definite per scopi diversi, quindi in base a criteri diversi.
Le autorità competenti nel definire i limiti dei corpi idrici superficiali potranno decidere se adattarli a quelli delle aree protette, eventualmente suddividendo il corpo idrico, con la finalita’ di razionalizzare la gestione delle acque, fermo restando il rispetto delle differenze dello stato di qualità delle acque.

B.3.5 FASE V – Altri criteri

B.3.5.1 Identificazione di piccoli elementi di acque superficiali come corpi idrici

Se in generale un piccolo elemento di acque superficiali non viene identificato come un corpo idrico (ad esempio perchè non sono soddisfatte le soglie dimensionali riportate nel paragrafo B.3.2), questo può ancora essere identificato come un corpo idrico separato quando è applicabile almeno uno dei casi di seguito riportati (punti
a-g):
a) laddove l’elemento di acque superficiali è utilizzato, o designato a essere utilizzato, per l’estrazione di acque destinate al consumo umano che fornisce in media oltre 10 m3 al giorno o serve più di 50 persone, viene identificato come un corpo idrico, e quindi
come area protetta per le acque potabili a norma dell’articolo 7 della Direttiva;
b) il raggiungimento di qualsiasi standard e obiettivi per una ZPS o candidata ZPS, identificata secondo la Direttiva 79/409/CEE (direttiva uccelli), o per una ZSC o candidata ZSC identificata secondo la Direttiva 92/43/CEE (direttiva habitat), dipende dal mantenimento o dal miglioramento dello stato dell’elemento di acque superficiali;
c) il raggiungimento di qualsiasi standard e obiettivi per tutte le aree di particolare pregio ambientale dipende dal mantenimento o dal miglioramento dello stato dell’elemento di acque superficiali, l’elemento è quindi di importanza ecologica all’interno del bacino idrografico;
d) all’interno del processo di pianificazione della gestione del bacino idrografico si stabilisce che il mantenimento o il miglioramento dello stato dell’elemento di acque superficiali è importante al raggiungimento di traguardi della biodiversità nazionale o internazionale e l’elemento è quindi di importanza ecologica all’interno del bacino idrografico;
e) nel caso l’elemento di acque superficiali è stato identificato, attraverso l’appropriata procedura, come sito/ambiente di riferimento;
f) il piccolo elemento di acque superficiali è di tale importanza nel bacino idrografico che
(i) gli impatti, o i rischi di impatti, su di esso sono responsabili di non raggiungere gli obiettivi per un corpo, o corpi idrici dello stesso bacino idrografico, e
(ii) la competente autorità reputa che l’identificazione del piccolo elemento come corpo idrico separato sia il modo più efficace per mettere in evidenza i rischi e gestirli. Si osservi che il rischio di non raggiungere gli obiettivi per uno o più corpi idrici, deve essere gestito anche nel caso in cui tali piccoli elementi di acque superficiali non siano identificati come corpi idrici;
g) il piccolo elemento di acque superficiali ricade nelle aree di seguito riportate:
– area sensibile di cui all’articolo 91 del presente decreto legislativo;
– zona vulnerabile di cui all’articolo 92 del presente decreto legislativo;
– acque di balneazione ai sensi del DPR 470/82;
– acque destinate alla vita dei molluschi ai sensi dell’articolo 87 del presente decreto legislativo;
– acque dolci idonee alla vita dei pesci ai sensi dell’articolo 84 del presente decreto legislativo; e la competente autorità reputa che l’identificazione del piccolo elemento, come corpo idrico separato aiuterà nel raggiungimento degli obiettivi specifici previsti dal presente decreto per le suddette aree.

B.3.5.2 Accorpamento di piccoli elementi in corpi idrici superficiali contigui

I piccoli elementi di acque superficiali, dove possibile, sono accorpati all’interno di un corpo idrico più grande contiguo della stessa categoria di acque superficiali e dello stesso tipo.Al fine di semplificare la mappa dei corpi idrici fluviali non è necessario che
siano mostrati nella stessa gli affluenti minori accorpati all’interno del corpo idrico.
Per impedire l’esclusione di piccoli corsi d’acqua prossimi all’origine, che hanno un bacino scolante, < 10 km2 , a monte della loro confluenza con un lago/invaso, quest’ultimo identificato come corpo idrico,, tali corsi d’acqua si considerano come contigui con il fiume, identificato come corpo idrico, a valle del lago/invaso.
Dopotutto, la creazione di limiti ad ogni confluenza di un corso d’acqua con un lago/invaso potrebbe indurre alla delimitazione di un numero grande non necessario di piccoli corpi idrici fluviali.
Inoltre, ove i laghi/invasi sono separati da tratti corti di fiume, questi tratti di fiume potrebbero essere troppo piccoli per giustificare l’identificazione come corpo idrico, inducendo a dei buchi nella copertura dello stato delle mappe. Per superare questi
potenziali problemi, i fiumi che sfociano in laghi/invasi possono essere considerati come contigui con il fiume, identificato come corpo idrico, di valle.
Alcuni corpi idrici lacustri possono essere connessi a corpi idrici costieri o a corpi idrici di transizione da un fiume corto con un bacino scolante < 10 km2 . A meno che il fiume non sia identificato come corpo idrico separato secondo i casi fissati nel paragrafo B.3.5.1, non viene identificato come corpo idrico ma viene incluso, per fini gestionali, nel corpo idrico lacustre.
Laddove una piccola laguna o foce fluviale non soddisfa i criteri dimensionali e non è verificato nessuno dei casi riportati nel paragrafo B.3.5.1 ma è ubicata tra un corpo idrico costiero e un corpo idrico fluviale, per evitare buchi nella continuita’ dello
stato delle mappe viene incorporata nell’adiacente corpo idrico fluviale o, ove più appropriato, nell’adiacente corpo idrico costiero.

B.4 Corpi idrici fortemente modificati e artificiali

I corpi idrici fortemente modificati e artificiali come definiti all’art. 74, comma 2, lettere f) e g), possono essere identificati e designati, secondo le prescrizioni riportate all’art. 77 comma 5, nei casi in cui lo stato ecologico buono non è raggiungibile a causa
degli impatti sulle caratteristiche idromorfologiche delle acque superficiali dovuti ad alterazioni fisiche.
I corpi idrici fortemente modificati e artificiali devono essere almeno provvisoriamente identificati al termine del processo sopra riportato. Le designazioni devono essere riviste con la stessa ciclicita’ prevista per i piani di gestioni e di tutela delle acque.
I limiti dei corpi idrici fortemente modificati sono soprattutto delineati dall’entita’ dei cambiamenti delle caratteristiche idromorfologiche che:
(a) Risultano dalle alterazioni fisiche causate dall’attività umana;
(b) Ostacolano il raggiungimento dello stato ecologico buono.

B.4.1 METODOLOGIA DI IDENTIFICAZIONE E DESIGNAZIONE DEI CORPI IDRICI FORTEMENTE MODIFICATI E ARTIFICIALI PER LE ACQUE FLUVIALI E LACUSTRI

B.4.1.1 DEFINIZIONI

Alterazione fisica: pressione che produce una modificazione idromorfologica di un corpo idrico causata dall’attività umana. Ogni alterazione è legata ad un “uso specifico” attuale o storico.
Modificazione: un cambiamento apportato al corpo idrico superficiale dall’attività umana (che può portare al non raggiungimento del buono stato ecologico).
Alterazione fisica significativa: alterazione fisica la cui significativita’ viene valutata attraverso i criteri riportati nella fase 3 del livello 1 della seguente procedura.
Modificazione significativa: modificazione la cui significativita’ viene valutata attraverso i criteri riportati nella fase 3 dellivello 1 della seguente procedura.

B.4.1.2 PREMESSA

La procedura per il riconoscimento dei corpi idrici fortemente modificati (CIFM) e artificiali (CIA) per le acque fluviali e lacustri si articola in due livelli successivi, di seguito indicati, ciascuno dei quali è composto da più fasi:
– LIVELLO 1 – “Identificazione preliminare” basata su valutazioni idromorfologiche ed ecologiche;
– LIVELLO 2 – “Designazione” basata su valutazioni tecniche idromorfologiche, ecologiche, e socio-economiche.

Fig. 1 – Procedura per l’identificazione e la designazione dei corpi idrici fortemente modificati e artificiali

La designazione è un processo iterativo, può accadere quindi che corpi idrici definiti fortemente modificati o artificiali nel primo piano di gestione, possano essere considerati corpi idrici naturali nei successivi piani e viceversa.
Nel caso della presenza di sbarramenti su un fiume, prima dell’applicazione della procedura occorre stabilire se il corpo idrico a monte dello sbarramento è ancora da considerarsi fluviale ovvero, se conformemente a quanto definito al punto A.2.1 del presente allegato, abbia cambiato categoria e sia ascrivibile alla nuova categoria di “lago”. Qualora il corpo idrico risulti lacustre, ossia si tratti di un invaso, è identificato preliminarmente come
fortemente modificato senza che venga applicato il livello 1. Gli invasi sono, infatti, dei corpi idrici con caratteristiche idromorfologiche alterate in maniera significativa e permanente, profonda ed estesa, e pertanto soddisfano i criteri delle fasi 4 e 5
del livello 1. Per tali corpi idrici si procede, quindi, direttamente all’applicazione del livello 2. Qualora invece il corpo idrico modificato mantenga la categoria “fiume” si procede all’applicazione del livello 1 specifico per i fiumi e, nel caso questo fosse
identificato preliminarmente come fortemente modificato, alla successiva applicazione del livello 2.
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, avvalendosi dell’ISPRA e del CNR-ISE, avvia un’attività di coordinamento con le Regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano, le ARPA e le APPA al fine della validazione dell’applicazione della metodologia riportata alla presente lettera B.4.1. Allo scopo le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano rendono disponibili i dati necessari. In tale attività, a seguito della prima applicazione della metodologia, si valuta la necessità di integrare la stessa con ulteriori specifici criteri, tenendo conto delle peculiarità territoriali.

B.4.1.3 LIVELLO 1 – IDENTIFICAZIONE PRELIMINARE DEI CORPI IDRICI FORTEMENTE MODIFICATI E ARTIFICIALI

Come riportato nello schema di figura 2, il livello 1 è composto da fasi successive alcune delle quali presentano criteri distinti per i fiumi e per i laghi. Il livello 1 si applica ai corpi idrici, così come definiti alla lettera h), comma 2, dell’articolo 74 del presente decreto, identificati sulla base delle modalità riportate nella sezione B del presente allegato.
Per quanto riguarda l’identificazione preliminare dei CIFM nelle fasi del livello 1 viene verificato se sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
1) il mancato raggiungimento del buono stato ecologico è dovuto ad alterazioni fisiche che comportano modificazioni delle caratteristiche idromorfologiche del corpo idrico e non dipende da altri impatti;
2) il corpo idrico risulta sostanzialmente mutato nelle proprie caratteristiche in modo permanente;
3) la sostanziale modifica delle caratteristiche del corpo idrico deriva dall’uso specifico a cui esso è destinato.
Pertanto la procedura di identificazione e designazione può non essere applicata ai corpi idrici di stato ecologico uguale o superiore al “buono”.
Per quanto riguarda invece l’identificazione preliminare dei CIA, il livello 1 è applicato solo per le fasi 1 e 4.

Fig. 2 – Fasi del livello 1 per l’identificazione preliminare dei corpi idrici fortemente modificati e artificiali

Fase 1 – Il corpo idrico è artificiale?
In questa fase si identificano i corpi idrici artificiali cosi’ come definiti alla lettera f, comma 2, dell’articolo 74 del presente decreto. Inoltre, conformemente a quanto riportato nella “Guidance Document n. 4: identification and designation of heavily modified and artificial water bodies” della Commissione Europea (2003), si precisa che un corpo idrico artificiale è un corpo idrico superficiale creato in un luogo dove non esistevano acque superficiali o comunque non vi erano elementi di acque superficiali tali da poter essere considerati distinti e significativi e pertanto non identificabili come corpi idrici.
Per i corpi idrici artificiali si passa direttamente dalla fase 1 alla fase 4 al fine di valutare la probabilita’ che il corpo idrico possa raggiungere il buono stato ecologico ed in tal caso possa essere considerato come “naturale”.

Fase 2 – Ci sono modificazioni nelle caratteristiche idromorfologiche del corpo idrico?
Questa fase è necessaria per selezionare quei corpi idrici con alterazioni fisiche tali da comportare modificazioni idromorfologiche. Infatti requisito fondamentale per l’assegnazione a corpo idrico fortemente modificato è la presenza di alterazioni che
Incidono sull’idromorfologia dello stesso modificandone lo stato naturale.
Nel selezionare questi corpi idrici è necessario tenere conto della caratterizzazione delle acque superficiali effettuata ai sensi dell’articolo 118 del presente decreto, nonchè degli usi specifici che comportano alterazioni idromorfologiche dell’ambiente indicati
alla lettera a), comma 5 dell’ art. 77, quali:
– navigazione, comprese le infrastrutture portuali, o il diporto;
– regimazione delle acque, la protezione dalle inondazioni o il
drenaggio agricolo;
– attività per le quali l’acqua è accumulata, quali la fornitura di acqua potabile, la produzione di energia o l’irrigazione;
– altre attività sostenibili di sviluppo umano ugualmente
importanti.

Fiumi
Sono selezionati i corpi idrici fluviali nei quali sono presenti:
– opere trasversali (incluse soglie e rampe)
– difese di sponda e/o argini a contatto
– rivestimenti del fondo
– dighe, briglie di trattenuta non filtrante o traverse assimilabili a dighe poste all’estremita’ di monte del corpo idrico
– opere trasversali (briglie o traverse) all’interno del corpo idrico o alla sua estremita’ di valle che determinano forti modificazioni delle condizioni idrodinamiche
– tratti a regime idrologico fortemente alterato
– modificazione delle caratteristiche idrodinamiche del corpo idrico dovute a fenomeni di oscillazioni periodiche di portata (hydropeaking)

Laghi
Sono selezionati i corpi idrici lacustri nei quali sono presenti:
– manufatti come porti, dighe, traverse;
– artificializzazioni delle sponde e/o delle zone litorali;
– prelievi d’acqua e/o deviazioni delle acque fuori dal bacino e/o immissioni da altri bacini.

Fase 3 – Valutazione delle modificazioni idromorfologiche significative
Lo scopo di questa fase è individuare, in base ai criteri di seguito riportati, le modificazioni idromorfologiche significative, connesse “all’uso specifico” e derivanti da alterazioni fisiche significative, e che possono incidere sullo stato ecologico del corpo idrico.
Qualora per il corpo idrico in esame anche una sola delle modificazioni idromorfologiche risulti significativa è necessario proseguire con la successiva fase 4.

Fiumi
Come di seguito indicato sui corpi idrici selezionati in fase 2 si effettua una valutazione basata su:
– alcuni indicatori di artificialita’ dell’indice IQM – Indice di qualità Morfologica, di cui all’Allegato 1del presente decreto e al “Manuale tecnico-operativo per la valutazione ed il monitoraggio dello stato morfologico dei corsi d’acqua” (ISPRA, 2011);
– la presenza di determinate pressioni idrologiche.
La valutazione degli indicatori di artificialita’ consiste sostanzialmente nella descrizione delle pressioni idromorfologiche le cui informazioni sono acquisibili presso il catasto delle opere idrauliche, tramite l’utilizzo di immagini telerilevate e, se necessario, con l’ausilio dei dati idrologici.
In tabella 1 sono riportate le varie tipologie di modificazioni idromorfologiche e i criteri per la valutazione della significatività, ed i casi (da 1 a 8) da considerare in questa fase per la valutazione delle modificazioni idromorfologiche significative.
Non rientrano tra le alterazioni da considerare significative i casi di corpi idrici che, pur  avendo subito variazioni morfologiche pregresse molto intense (es. incisione del fondo, restringimento, ecc.), non sono attualmente interessati dalla pressione ovvero da elementi di artificialità Tipico è il caso di corsi d’acqua dove l’attività estrattiva del passato aveva causato notevoli variazioni morfologiche tuttora presenti. Tali situazioni non sono da considerare “significative” in quanto non presentano più il requisito di permanenza (di cui alla fase 5) della causa dell’alterazione che è una delle condizioni per l’identificazione dei corpi idrici come fortemente modificati.
Similmente, non possono venir considerati come fortemente modificati i corpi idrici soggetti periodicamente a risagomatura e ricalibratura delle sezioni a fini di difesa idraulica – in assenza degli elementi di artificialita’ previsti in tabella 1 – in quanto si tratta di interventi di manutenzione i cui effetti morfologici non sono permanenti e risultano reversibili anche nel breve periodo.

Laghi
La significativita’ delle modificazioni idromorfologiche dei corpi idrici selezionati in fase 2 è valutata secondo i criteri di seguito riportati:

1. Presenza di opere di sbarramento
Valutare l’altezza dello sbarramento e il volume invasato. Le alterazioni si considerano significative nei casi in cui l’altezza dello sbarramento superi i 10 m o la percentuale tra il volume invasato ed il volume prelevato superi il 50%.

2. Percentuale di zona litorale e sublitorale artificializzata e zona adibita a infrastrutture portuali e affini
Valutare la presenza di arginature e artificializzazioni delle sponde e del substrato della zona litorale misurandone l’estensione lineare. Calcolare la percentuale di estensione lineare di tali zone rispetto al perimetro totale del lago e valutare se la percentuale è maggiore o minore del 50%. L’alterazione risulta significativa se tale percentuale è superiore al 50%.

3. Variazione di livello nel tempo
La variazione di livello nel tempo (ΔL) è quella dovuta alla naturale risposta del corpo idrico alle condizioni meteorologiche (piogge o siccita’) sommata a quella derivante dall’utilizzo delle acque superficiali e/o sotterranee nel bacino imbrifero, del corpo idrico in questione, attraverso opere di prelievo, captazione, dighe, traverse, canali, pozzi, diversioni etc.. Per definire la variazione del livello dovuta a cause naturali (ΔLn) è necessario disporre di una serie di dati acquisiti in un arco temporale di almeno 20 anni.
Si procede effettuando per ogni anno la media delle misure di livello acquisite nell’arco dell’anno; quindi la variazione naturale di livello (ΔLn) è data dalla differenza tra il valore massimo ed il valore minimo delle suddette medie annuali calcolate nell’arco dei 20
anni.
Se non è possibile calcolare tale variazione naturale di livello (ΔLn), la si può assumere pari a:

a) 2 m – per i laghi tipo AL-3 di cui all’allegato 3 del presente Decreto
b) 0,8 m – per tutti gli altri laghi

La variazione di livello (ΔL) risulta significativa qualora si verifichi una delle due seguenti situazioni:

ΔL < ΔLn – 50% ΔLn
ΔL > ΔLn + 50% ΔLn

Fase 4 – è probabile che il corpo idrico non raggiunga il buono stato ecologico a causa delle alterazioni idromorfologiche o perchè artificiale?
In questa fase si valuta il rischio di non poter raggiungere il buono stato ecologico sulla base di quanto definito all’allegato 1 del presente decreto a causa delle modificazioni idromorfologiche significative o a causa delle caratteristiche artificiali.
Il rischio di non raggiungere il buono stato ecologico deve dipendere dalle sole alterazioni morfologiche e idrologiche o dalle caratteristiche artificiali e non da altre pressioni, come la presenza di sostanze tossiche, o da altri problemi di qualità; in
questo secondo caso, il corpo idrico non può essere identificato come fortemente modificato o artificiale.

Fase 5 – Il corpo idrico è sostanzialmente mutato nelle sue caratteristiche idromorfologiche a causa di alterazioni fisiche dovute all’attività antropica?
Lo scopo di questa fase è di selezionare i corpi idrici in cui le alterazioni fisiche provocano modificazioni sostanziali nelle caratteristiche del corpo idrico al fine di poterli preliminarmente identificare come fortemente modificati. Al contrario, quei corpi idrici che rischiano di non raggiungere il buono stato ecologico, ma le cui caratteristiche non sono sostanzialmente mutate, non possono essere considerati fortemente modificati e sono da considerarsi corpi idrici naturali.
Il corpo idrico risulta sostanzialmente mutato nelle proprie caratteristiche quando:
– Le modificazioni del corpo idrico rispetto alle condizioni naturali sono molto evidenti;
– il cambiamento nelle caratteristiche del corpo idrico è esteso/diffuso o profondo (tipicamente questo implica mutamenti sostanziali sia dal punto di vista idrologico che morfologico);
– il cambiamento nelle caratteristiche del corpo idrico è permanente e non temporaneo o intermittente.
Allo scopo di effettuare la verifica di cui sopra, per i fiumi si deve tener conto di quanto di seguito riportato.

Fiumi
Per confermare l’identificazione preliminare a CIFM dei corpi idrici fluviali individuati nelle precedenti fasi, sono previste le verifiche riportate in tabella 1, basate sull’applicazione di alcuni indicatori dell’IQM o dell’indice per intero e sulla valutazione di pressioni idrologiche aggiuntive (applicazione indice IARI – Indice di Alterazione del Regime Idrologico), relativamente agli 8 casi descritti in tabella 1.
Nei casi sopraesposti in cui si debba applicare la valutazione completa dell’IQM risulta necessario suddividere il corpo idrico in tratti, secondo quanto previsto nel Manuale ISPRA (IDRAIM, 2011), ed effettuare la media ponderata dei diversi tratti componenti il corpo  idrico sulla lunghezza, per assegnare un unico valore di IQM al corpo idrico in analisi.

Laghi
Il rispetto di una delle condizioni riportate alla fase 3 sono sufficienti per l’identificazione preliminare dei corpi idrici fortemente modificati. Non sono necessarie ulteriori verifiche.
Parte di provvedimento in formato grafico

Tabella 1 – Elenco delle modificazioni idromorfologiche significative e criteri utilizzati nella fase di valutazione della loro significatività da utilizzare nella fase 3 e nella fase 5

B.4.1.4 LIVELLO 2: DESIGNAZIONE DEI CORPI IDRICI FORTEMENTE MODIFICATI E ARTIFICIALI

B.4.1.4 LIVELLO 2: DESIGNAZIONE DEI CORPI IDRICI FORTEMENTE
MODIFICATI E ARTIFICIALI
Ai corpi idrici identificati preliminarmente attraverso il livello 1 si applicano le due fasi (fase 6 e 7) del livello 2 (figura 3) per pervenire alla designazione dei corpi idrici fortemente modificati e artificiali da considerare nel piano di tutela e nel piano di
gestione.
Si riportano di seguito le specifiche per la sottofase 7.4.
Per la designazione di corpo idrico come fortemente modificato o artificiale occorre procedere a verificare se le esigenze e i benefici derivanti dall’uso corrente non siano raggiungibili con altri mezzi che non comportino costi sproporzionati.
Un costo è considerato sproporzionato qualora:
1. i costi stimati superano i benefici e il margine tra i costi e i benefici è apprezzabile e ha un elevato grado di attendibilita’;
2. non vi è sostenibilita’ socioeconomica.
Per ulteriori dettagli relativi al livello 2 si rimanda alla “Guidance Document n. 4:  identification and designation of heavily modified and artificial water bodies” e alla “Guidance document n.1: economics and the environment. The implementation challenge of the Water Framework Directive”, elaborate nell’ambito dei documenti predisposti per l’attuazione della direttiva 2000/60/CE, consultabili nel sito WEB del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Fig. 3 – Fasi del livello 2 per la designazione dei corpi idrici fortemente modificati e artificiali

Note alla figura 3: *se si verifica la condizione di cui alla sottofase 6.2, è possibile procedere direttamente con la fase 7. Tuttavia per una migliore giustificazione della designazione si può anche applicare la sottofase 6.3.))

SEZIONE C: METODOLOGIA PER L’ANALISI DELLE PRESSIONI E DEGLI IMPIANTI

C.1 Finalità e approccio

Le Regioni, ai sensi degli articoli 118 e 120 del presente decreto legislativo, devono condurre l’analisi delle pressioni e degli impatti sui corpi idrici.
Al fine di mettere in atto adeguate misure di ripristino e di tutela dei corpi idrici, è necessario che per ciascun corpo idrico venga sviluppata, in relazione anche al bacino idrografico di appartenenza, una corretta e dettagliata conoscenza:
1. delle attività antropiche;
2. delle pressioni che le suddette attività provocano ossia le azioni dell’attività antropica sui corpi idrici (scarichi di reflui, modificazioni morfologiche, prelievi idrici, uso fitosanitari,
surplus di fertilizzanti in agricoltura);
3. degli impatti, ovvero dell’effetto ambientale causato dalla pressione.
Attraverso l’attività conoscitiva è possibile effettuare una valutazione della vulnerabilità dello stato dei corpi idrici superficiali rispetto alle pressioni individuate. Sulla base delle
informazioni sulle attività antropiche presenti nel bacino idrografico e dei dati di monitoraggio ambientale è possibile, infatti, pervenire ad una previsione circa la capacità di un corpo idrico di raggiungere o meno, nei tempi previsti dalla direttiva, gli obiettivi di qualità di cui all’articolo 76 e gli obiettivi specifici previsti dalle leggi istitutive delle aree protette di cui all’allegato 9 del presente decreto legislativo . Nel caso di previsione di mancato raggiungimento dei predetti obiettivi il corpo idrico viene definito “a rischio”. Per facilitare tale valutazione le autorità competenti possono avvalersi di tecniche di modellizzazione.
Sulla base delle informazioni acquisite ai sensi della normativa pregressa, compresi i dati esistenti sul monitoraggio ambientale e sulle pressioni, le Regioni, sentite le autorità di bacino competenti, identificano i corpi idrici “a rischio”, “non a rischio”
e “probabilmente a rischio”.

C.2. Prima identificazione di corpi idrici a rischio

In attesa dell’attuazione definitiva di tutte le fasi che concorrono alla classificazione dei corpi idrici, inoltre le Regioni identificano come i corpi idrici a rischio, i seguenti:
– Acque a specifica destinazione funzionale di cui al CAPO II del presente decreto legislativo (acque destinate alla produzione di acqua potabile, acque di balneazione, acque dolci idonee alla vita dei pesci, acque destinate alla vita dei molluschi) non conformi agli
specifici obiettivi di qualità;
– Aree sensibili ai sensi dell’art. 91 del presente decreto legislativo e secondo i criteri di cui all’allegato 6 al medesimo decreto (Direttiva 91/271/CEE);
– corpi idrici ubicati in zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e da prodotti fitosanitari ai sensi degli articoli 92 e 93 del presente decreto legislativo e individuate secondo i criteri di cui all’allegato 7 dello stesso decreto qualora, anche a seguito dell’attuazione dei programmi di controllo e d’azione predisposti dalle Regioni, si ritenga improbabile il raggiungimento dell’obiettivo ambientale entro il 2015;
– Corpi idrici ubicati in aree contaminate, identificate come siti di bonifica, ai sensi della parte quarta titolo V del presente decreto legislativo;
– corpi idrici che, sulla base delle caratteristiche di qualità emerse da monitoraggi pregressi, presentano gli indici di qualità e i parametri correlati alla attività antropica che incide sul corpo idrico, non conformi con l’obiettivo di qualità da raggiungere entro il 2015 e per i quali, in relazione allo sviluppo atteso delle pressioni antropiche e alle peculiarità e fragilità degli stessi corpi idrici e dei relativi ecosistemi acquatici, risulta improbabile il raggiungimento degli stessi obiettivi entro il 2015;
Le regioni valutano l’opportunità di considerare a rischio anche i corpi idrici per i quali la particolarità e dimensione delle pressioni antropiche in essi incidenti, le peculiarità e fragilità degli stessi corpi idrici e dei relativi ecosistemi acquatici, possono comportare un rischio per il mantenimento della condizione di stato di qualità buono.

C.2.1 Classi di rischio dei corpi idrici – Prima identificazione di corpi idrici non a rischio e probabilmente a rischio

Sulla base delle informazioni acquisite ai sensi della normativa pregressa compresi i dati esistenti sul monitoraggio ambientale, le Regioni, sentite le autorità di bacino competenti, identificano inoltre come “corpi idrici non a rischio” quelli sui quali non esistono attività antropiche o per i quali è provato, da specifico controllo dei parametri di qualità correlati alle attività antropiche presenti, che queste non incidono sullo stato di qualità del corpo idrico.
I corpi idrici, per i quali non esistono dati sufficienti sulle attività antropiche e sulle pressioni o, qualora sia nota l’attività antropica ma non sia possibile una valutazione
dell’impatto provocato dall’attività stessa, per mancanza di un monitoraggio pregresso sui parametri ad essa correlati, sono provvisoriamente classificati come “probabilmente a rischio”.
A conclusione della prima analisi di rischio i corpi idrici sono pertanto distinti nelle seguenti classi di rischio:
– a rischio
– non a rischio
– probabilmente a rischio.
L’attribuzione di categorie di rischio ha lo scopo di individuare un criterio di priorita’, basato sul rischio, attraverso il quale orientare i programmi di monitoraggio.

C.2.2 Elenco dei corpi idrici a rischio

Le Regioni, sentite le autorità di bacino, sulla base della prima identificazione di cui al paragrafo C.2, compilano gli elenchi dei corpi idrici a rischio indicando, per ciascuno di essi, il bacino idrografico di appartenenza. Tali elenchi devono essere aggiornati sulla base dei risultati del monitoraggio periodico effettuato anche ai sensi delle normative che istituiscono le aree protette (es. balneazione vita dei pesci …. ), delle modifiche dell’uso del
territorio e dell’aggiornamento dell’analisi delle pressioni e degli impatti.

C.2.2.1 Per i corpi idrici che si reputa rischino di non conseguire gli obiettivi di qualità ambientale è effettuata, ove opportuno, una caratterizzazione ulteriore per ottimizzare la progettazione dei programmi di monitoraggio di cui all’articolo 120 e dei programmi di
misure prescritti all’articolo 116.

C.3 Aggiornamento dell’attività conoscitiva delle pressioni

Ai fini della validazione della classificazione di rischio dei corpi idrici è necessario aggiornare il rilevamento dell’impatto causato dalla attività antropica presente nei vari bacini idrografici che influenzano o possono influenzare le risorse idriche. Nell’effettuare
tale ricognizione devono essere identificate le pressioni antropiche significative, dove per significative devono intendersi quelle che possono produrre un “inquinamento significativo”, che determina un rischio per il raggiungimento degli obiettivi, nelle seguenti
categorie:
1) stima e individuazione dell’inquinamento da fonte puntuale, in particolare l’inquinamento dovuto alle sostanze inquinanti di cui all’allegato VIII del presente decreto legislativo, provenienti da attività e impianti urbani, industriali, agricoli e di altro tipo,
informazioni acquisite anche a norma delle direttive di seguito riportate:
a. 91/271/CEE (Trattamento delle acque reflue urbane);
b. 96/61/CE e s.m. (Prevenzione integrata dell’inquinamento);
e, ai fini del primo piano di gestione del bacino idrografico:
c. 76/464/CEE (Sostanze pericolose scaricate nell’ambiente idrico);
d. Decisione 2455/2001/CE del 20 novembre 2001 (Elenco di sostanze prioritarie in materia di acque);
e. 75/440/CEE (Acque potabili), 76/160/CEE e s.m. (Acque di balneazione), 78/659/CEE (Acque idonee alla vita dei pesci) e 79/923/CEE e s.m. (Acque destinate alla molluschicoltura);
2) stima e individuazione dell’inquinamento da fonte diffusa, in particolare l’inquinamento dovuto alle sostanze inquinanti proveniente da attività e impianti urbani, industriali, agricoli e di altro tipo, tra l’altro in base alle informazioni raccolte a norma delle direttive di seguito riportate:
a. 91/676/CEE (Inquinamento provocato da nitrati di origine agricola);
b. 91/414/CEE (Immissione in commercio di prodotti fitosanitari);
c. 98/8/CE (Immissione sul mercato dei biocidi);
e, ai fini del primo piano di gestione del bacino idrografico:
d. 76/464/CEE;
e. Decisione 2455/2001/CE del 20 novembre 2001 (Elenco di sostanze prioritarie in materia di acque);
f. 75/440/CEE, 2006/7/CE, 78/659/CEE e 79/923/CEE;
3) stima e individuazione delle estrazioni di acqua per usi urbani, industriali, agricoli e di altro tipo, comprese le variazioni stagionali, la domanda annua complessiva e le perdite dai sistemi di distribuzione;
4) stima e individuazione dell’ impatto delle regolazioni del flusso idrico, compresi trasferimenti e deviazioni delle acque, sulle caratteristiche complessive del flusso e sugli equilibri idrici;
5) individuazione delle alterazioni morfologiche dei corpi idrici;
6) stima e individuazione di altri impatti antropici sullo stato delle acque superficiali;
7) analisi dell’uso del suolo che comprenda l’individuazione delle principali aree urbane, industriali e agricole, nonchè – ove pertinente – delle zone di pesca e delle foreste.
C.4 Relazione tra analisi di rischio e monitoraggio L’analisi di rischio effettuata sulla base di quanto riportato nei precedenti paragrafi è confermata, entro il 2008 , sulla base dei
risultati ottenuti con il primo monitoraggio di sorveglianza e deve essere stabilito l’elenco fmale dei corpi idrici “a rischio” e “non a rischio”.
Pertanto i corpi idrici indicati inizialmente come probabilmente a rischio sono attribuiti ad una delle due classi sopra riportate.

1.1.1 – FISSAZIONE DELLE CONDIZIONI DI RIFERIMENTO TIPO-SPECIFICHE PER I CORPI IDRICI SUPERFICIALI

D.1. Premessa

Per ciascun tipo di corpo idrico superficiale, individuato in base a quanto riportato nella precedente sezione A al presente punto, sono definite:

a) le condizioni idromorfologiche e fisico-chimiche tipo-specifiche che rappresentano i valori degli elementi di qualità idromorfologica e fisico-chimica che l’Allegato 1, punto A.1 alla parte terza del presente decreto legislativo, stabilisce per tale tipo di corpo idrico superficiale in stato ecologico elevato, quale definito nella pertinente tabella dell’Allegato 1, punto A.2;

b) le condizioni biologiche di riferimento tipo-specifiche che rappresentano i valori degli elementi di qualità biologica che l’Allegato 1, punto A.1 specifica per tale tipo di corpo idrico
superficiale in stato ecologico elevato, quale definito nella pertinente tabella dell’Allegato 1, punto A.2. Nell’applicare le procedure previste nella presente sezione ai corpi idrici superficiali fortemente modificati o corpi idrici artificiali, i riferimenti allo stato ecologico elevato sono considerati riferimenti al potenziale ecologico massimo definito nell’Allegato 1,
tabella A.2.5. I valori relativi al potenziale ecologico massimo per un corpo idrico sono riveduti ogni sei anni.

D.2. Funzione delle condizioni di riferimento:

Le condizioni di riferimento:
– rappresentano uno stato corrispondente a pressioni molto basse senza gli effetti dell’industrializzazione di massa, dell’urbanizzazione e dell’agricoltura intensiva e con modificazioni molto lievi degli elementi di qualità biologica, idro-morfologica e
chimico fisica;
– sono stabilite per ogni tipo individuato all’interno delle categorie di acque superficiali, esse sono pertanto tipo-specifiche;
– non coincidono necessariamente con le condizioni originarie indisturbate e possono includere disturbi molto lievi, cioè la presenza di pressioni antropiche è ammessa purchè non siano
rilevabili alterazioni a carico degli elementi di qualità o queste risultino molto lievi;
– consentono di derivare i valori degli elementi di qualità
biologica necessari per la classificazione dello stato ecologico del
corpo idrico;
– vengono espresse come intervallo di valori, in modo tale da
rappresentare la variabilità naturale degli ecosistemi.

D.2.1. Condizioni di riferimento e Rapporto di qualità Ecologica (RQE)

L’individuazione delle condizioni di riferimento consente di calcolare, sulla base dei risultati del monitoraggio biologico per ciascun elemento di qualità, il “rapporto di qualità ecologica”
(RQE). L’RQE viene espresso come un valore numerico che varia tra 0 e 1, dove lo stato elevato è rappresentato dai valori vicino ad 1, mentre lo stato pessimo è rappresentato da valori numerici vicino allo 0.
L’RQE mette in relazione i valori dei parametri biologici osservati in un dato corpo idrico e il valore per quegli stessi parametri riferiti alle condizioni di riferimento applicabili al corrispondente tipo di corpo idrico e serve a quantificare lo scostamento dei valori degli elementi di qualità biologica, osservati in un dato sito, dalle condizioni biologiche di  riferimento applicabili al corrispondente tipo di corpo idrico. L’entità di tale scostamento
concorre ad effettuare la classificazione dello stato ecologico di un corpo idrico secondo lo schema a 5 classi di cui Allegato 1 punto A2 del presente decreto legislativo.

D.3. Metodi per stabilire le condizioni di riferimento

I principali metodi per la definizione delle condizioni di riferimento sono:
– Metodo spaziale, basato sull’uso dei dati provenienti da siti di monitoraggio;
– Metodo teorico basato su modelli statistici, deterministici o empirici di previsione dello stato delle condizioni naturali indisturbate;
– Metodo temporale, basato sull’utilizzazione di dati di serie storiche o paleoricostruzione o una combinazione di entrambi;
– Una combinazione dei precedenti approcci;
Tra i metodi citati è utilizzato prioritariamente quello spaziale.
Qualora tale approccio non risulti applicabile si ricorre agli altri metodi elencati. Può essere inoltre utilizzato un metodo basato sul giudizio degli esperti solo nel caso in cui sia comprovata l’impossibilità dell’applicazione dei metodi sopra riportati.

D.3.1 Metodo spaziale

Il metodo spaziale si basa sui dati di monitoraggio qualora siano disponibili siti, indisturbati o solo lievemente disturbati, idonei a delineare le “condizioni di riferimento” e pertanto identificati come “siti di riferimento”. I siti di riferimento sono individuati attraverso l’applicazione dei criteri di selezione basati sull’analisi delle pressioni esistenti e
dalla successiva validazione biologica. Possono essere individuati siti diversi per ogni elemento di qualità biologica. Per l’individuazione dei siti si fa riferimento alle metodologie
riportate nei manuali ISPRA, per le acque marino- costiere e di transizione, e CNR-IRSA, per i corsi d’acqua e le acque lacustri.

D.4. Processo per la determinazione delle Condizioni di Riferimento

Le Regioni, sentite le autorità di bacino, all’interno del proprio territorio, individuano, per ciascuna categoria e tipo di corpo idrico, i potenziali siti di riferimento sulla base dei dati e delle conoscenze relative al proprio territorio in applicazione delle metodologie richiamate al punto D.3 e provvedono a inviare le relative informazioni al MATTM.
Le condizioni di cui alle lettere a) e b) del precedente punto D.1, tenendo conto dei siti di riferimento e dei relativi dati comunicati dalle Regioni, sono stabilite con decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, da emanarsi ai sensi
dell’art. 75, comma 3, del presente decreto legislativo.
Se non risulta possibile stabilire, per un elemento qualitativo in un determinato tipo di corpo idrico superficiale, condizioni di riferimento tipo-specifiche attendibili a causa della grande variabilità naturale cui l’elemento è soggetto (non soltanto in conseguenza delle variazioni stagionali) detto elemento può essere escluso dalla valutazione dello stato ecologico per tale tipo di acque superficiali. In questo caso i motivi dell’esclusione sono
specificati nel piano di gestione del bacino idrografico.
Un numero sufficiente di siti in condizioni di riferimento, per ogni tipo individuato, nelle varie categorie di corpi idrici, sono identificati, dal MATTM con il supporto dell’ISPRA e degli altri istituti scientifici, per la costituzione di una rete di controllo, che costituisce parte integrante della rete nucleo di cui al punto A.3.2.4. dell’Allegato 1 al presente decreto legislativo, per lo studio della variazioni, nel tempo, dei valori delle condizioni di
riferimento per i diversi tipi.
Le condizioni di riferimento sono aggiornate qualora si presentano variazioni per cause naturali nei siti di riferimento.

1.1.2 PUNTO ABROGATO DAL DECRETO 16 GIUGNO 2008, N. 131.

1.1.3 PUNTO ABROGATO DAL DECRETO 16 GIUGNO 2008, N. 131.

1.2 ARCHIVIO ANAGRAFICO DEI CORPI IDRICI

Per ciascun corpo idrico è predisposta una scheda informatizzata che contenga: i dati derivati dalle attività di cui alle sezioni A, B e C, del punto 1.1 del presente allegato; i dati derivanti dalle azioni di monitoraggio e classificazione di cui all’allegato 1 del presente
decreto legislativo.

2 ACQUE SOTTERRANEE

2.1 Parte B – Caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei

B.1 Finalità

Le regioni, ai sensi degli articoli 118 e 120 del decreto legislativo n.152 del 2006, conducono l’analisi delle pressioni e degli impatti sui corpi idrici sotterranei ed il rilevamento dello stato di qualità degli stessi.
Al fine di mettere in atto adeguate misure di ripristino e di tutela dei corpi idrici e di individuare le eventuali misure da attuare a norma dell’articolo 116, è necessario che per ciascuno di essi venga sviluppata, in relazione anche al bacino idrografico di appartenenza,
una corretta e dettagliata conoscenza di:
attività antropiche;
pressioni che le suddette attività esercitano sui corpi idrici sotterranei (scarichi di reflui, prelievi idrici, uso di prodotti fitosanitari e di fertilizzanti, ravvenamento artificiale);
impatti, ossia gli effetti ambientali causati dalle pressioni.
Attraverso attività conoscitiva è possibile effettuare una valutazione della vulnerabilità dei corpi idrici sotterranei rispetto alle pressioni individuate. Sulla base delle informazioni
sulle attività antropiche presenti nel bacino idrografico e dei dati di monitoraggio ambientale è possibile, infatti, pervenire ad una previsione circa la capacità di un corpo idrico di raggiungere o meno gli obiettivi di qualità di cui agli articoli 76 e 77 del
decreto n.152 del 2006, gli obiettivi specifici, ove pertinenti, previsti (bile leggi istitutive delle aree protette di cui all’Allegato 9 del citato decreto, gli obiettivi di cui all’articolo
3, comma 6, e all’articolo 6, comma 1. Nel caso di previsione di mancato raggiungimento dei predetti obiettivi il corpo idrico viene definito “a rischio”.
Per facilitare tale valutazione le regioni si avvalgono del modello concettuale di cui alla Parte C. Sulla base delle informazioni pregresse acquisite ai sensi della normativa comunitaria e nazionale di settore, compresi i dati esistenti sul monitoraggio ambientale e
sulle pressioni, le regioni, sentite le autorità di bacino competenti, effettuano una prima definizione dei corpi idrici come “a rischio”, “non a rischio” e “probabilmente a rischio”.
L’attribuzione di categorie di rischio ha lo scopo di individuare un criterio di priorita’, basato sul rischio, attraverso il quale orientare i programmi di monitoraggio.

B.2 Classi di rischio dei corpi idrici

B.2.1 Prima identificazione di corpi idrici a rischio

Nelle more dell’attuazione definitiva di tutte le fasi che concorrono alla definizione del rischio dei corpi idrici, le regioni, sentite le autorità di bacino competenti, identificano come corpi idrici a rischio i seguenti:
a) corpi idrici sotterranei destinati alla produzione di acqua potabile le cui caratteristiche non sono conformi alle disposizioni di cui al decreto n. 31 del 2001 limitatamente alle sostanze chimiche;
b) corpi idrici sotterranei correlati a zone vulnerabili da nitrati di origine agricola e da prodotti fitosanitari di cui agli articoli 92 e 93 del decreto n.152 del 2006;
c) corpi idrici sotterranei interessati da aree contaminate, identificate come siti di bonifica, ai sensi della Parte quarta, Titolo V, del decreto n.152 del 2006;
d) corpi idrici che, sulla base delle caratteristiche di qualità emerse da monitoraggi pregressi, presentano gli indici di qualità e i parametri correlati all’ attività antropica che incide sul corpo idrico non conformi con l’obiettivo di qualità da raggiungere entro
il 2015 e per i quali, in relazione allo sviluppo atteso delle pressioni antropiche e alle peculiaritàe fragilità degli stessi corpi idrici e degli eventuali ecosistemi acquatici connessi, risulta improbabile il raggiungimento degli stessi obiettivi entro il 2015.
Possono essere identificati altresì come a rischio i corpi idrici sotterranei connessi a corpi idrici superficiali dichiarati come aree sensibili ai sensi dell’articolo 91 del decreto n. 152 del 2006. Le regioni, inoltre, valutano l’opportunità di considerare a rischio anche i corpi idrici per i quali la particolarità ed intensità delle pressioni antropiche in essi incidenti, le  peculiarità e fragilità degli stessi corpi idrici e degli eventuali ecosistemi acquatici connessi possono comportare un rischio per il mantenimento del buono stato di qualità.

B.2.2 Prima identificazione di corpi idrici non a rischio e probabilmente a rischio

Sulla base delle informazioni pregresse acquisite ai sensi della normativa comunitaria e nazionale di settore, compresi i dati esistenti sul monitoraggio ambientale, le regioni, sentite le autorità di bacino competenti, identificano come corpi idrici “non a rischio” quelli sui quali non insistono attività antropiche o per i quali è provato, da specifico controllo dei parametri di qualità correlati alle attività antropiche presenti, che queste non incidono
sullo stato di qualità del corpo idrico.
I corpi idrici, per i quali non esistono dati sufficienti sulle attività antropiche e sulle pressioni o, qualora sia nota l’attività antropica ma non sia possibile una valutazione
dell’impatto provocato dall’attività stessa, per mancanza di un monitoraggio pregresso sui parametri ad essa correlati, sono provvisoriamente identificati come “probabilmente a rischio”.

B.3 Elenco dei corpi idrici a rischio

Le regioni, sentite le autorità di bacino competenti, sulla base della prima identificazione di cui al paragrafo B.2.1, compilano gli elenchi dei corpi idrici a rischio indicando, per ciascuno di essi, il bacino idrografico di appartenenza. Tali elenchi devono essere aggiornati sulla base dei risultati del riesame dell’impatto delle attività antropiche di cui al paragrafo B.4, dei risultati del monitoraggio di cui all’Allegato 4 e di quello effettuato anche ai sensi delle normative che istituiscono le aree protette, ove pertinenti, nonchè delle modifiche dell’uso del suolo.

B.4 Riesame dell’impatto delle attività antropiche sulle acque sotterranee

Oltre che alle finalità di cui al paragrafo B.3, il riesame dell’impatto delle attività antropiche sulle acque sotterranee, affiancato ai risultati dell’attività del primo monitoraggio di sorveglianza, di cui al punto 4.2.1 dell’Allegato 4, mira a stabilire, entro il 2009, l’elenco finale dei corpi idrici “a rischio” e “non a rischio” attraverso l’attribuzione ad una delle due
categorie dei corpi idrici provvisoriamente classificati come “probabilmente a rischio”.
Tale riesame è ottenuto attraverso la raccolta e l’aggiornamento delle seguenti informazioni:
a) ubicazione dei punti del corpo idrico sotterraneo usati per l’estrazione di acqua, con l’eccezione dei:
1) punti di estrazione che forniscono, in media, meno di 10 mc al giorno o
2) dei punti di estrazione di acqua destinata al consumo umano che forniscono, in media, meno di 10 m3 al giorno o servono meno di 50 persone;
b) medie annue delle portate di estrazione da tali punti;
c) composizione chimica dell’acqua estratta dal corpo idrico sotterraneo;
d) ubicazione dei punti del corpo idrico sotterraneo in cui siano presenti scarichi autorizzati ai sensi delle lettere a), b), e), d),
e) e f), comma 1, dell’articolo 103 ed ai sensi dei commi 2 e 4 dell’articolo 104 del decreto n.152 del 2006;
e) portata degli scarichi in tali punti;
f) composizione chimica degli scarichi nel corpo idrico sotterraneo;
g) utilizzazione del suolo nel bacino o nei bacini idrografici da cui il corpo idrico sotterraneo si alimenta (area di ricarica), comprese le immissioni di inquinanti e le alterazioni antropiche delle caratteristiche di deflusso e di ricarica naturale, come la diversione delle acque meteoriche o del deflusso superficiale causati da impermeabilizzazione del suolo, opere di sbarramento o drenaggio.

B.5 Riesame dell’impatto delle variazioni dei livelli delle acque sotterranee

Le regioni individuano i corpi idrici sotterranei per cui devono essere fissati obiettivi meno rigorosi a norma dell’articolo 77, comma 7, del decreto legislativo 152 del 2006, e comunque nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 8 del medesimo articolo, anche prendendo in considerazione gli effetti dello stato del corpo:
a) sulle acque superficiali e gli ecosistemi terrestri connessi;
b) sulla regolazione delle acque, la protezione dalle inondazioni e il drenaggio dei terreni;
c) sullo sviluppo antropico.
B.6 Riesame dell’impatto dell’inquinamento sulla qualità delle acque sotterranee
Le regioni identificano i corpi idrici sotterranei per i quali devono essere specificati obiettivi meno rigorosi ai sensi dell’articolo 77, comma 7, del decreto n.152 del 2006, e comunque nel rispetto delle disposizioni di cui al comma 8 del medesimo articolo, laddove in conseguenza dell’impatto dell’attività antropica, determinata ai sensi dell’articolo 118 del decreto n.152 del 2006, il corpo idrico sotterraneo sia talmente inquinato da rendere impraticabile oppure sproporzionatamente dispendioso ottenere un buono stato chimico delle acque sotterranee.

2.2 ARCHIVIO ANAGRAFICO DEI PUNTI D’ACQUA

Deve essere istituito un catasto anagrafico debitamente codificato al fine di disporre di un data-base aggiornato dei punii d’acqua esistenti (pozzi, piezometri, sorgenti e altre emergenze della falda come fontanili, ecc.) e dei nuovi punti realizzati. A ciascun punto
d’acqua dovrà essere assegnato un numero di codice univoco stabilito in base alle modalità di codifica che saranno indicate con decreto.
Per quanto riguarda le sorgenti andranno codificate tutte quelle utilizzate e comunque quelle che presentano una portata media superiore a 10 L/s e quelle di particolare interesse ambientale.
Per le nuove opere è fatto obbligo all’Ente competente di verificare all’atto della domanda di ricerca e sfruttamento della risorsa idrica sotterranea, l’avvenuta assegnazione del codice.
In assenza di tale codice i rapporti di prova relativi alla qualità delle acque, non potranno essere accettati dalla Pubblica Amministrazione.
Inoltre per ciascun punto d’acqua dovrà essere predisposta una scheda informatizzata che contenga i dati relativi alle caratteristiche geografiche, anagrafiche, idrogeologiche,
strutturali, idrauliche e funzionali derivate dalle analisi conoscitive di cui al punto 1.
Le schede relative ai singoli punti d’acqua, assieme alle analisi conoscitive di cui al punto 1 ed a quelle che potranno essere raccolte per ciascun punto d’acqua dovranno contenere poi le informazioni relative a:
a) le caratteristiche chimico fisiche dei singoli complessi idrogeologici e del loro grado di sfruttamento, utilizzando i dati a vario titolo in possesso dei vari Enti (analisi chimiche effettuate dai laboratori pubblici, autodenunce del sollevato etc.) nonchè stime delle direzioni e delle velocità di scambio dell’acqua fra il corpo idrico sotterraneo ed i sistemi superficiali connessi.
b) l’impatto esercitato dalle attività umane sullo stato delle
acque sotterranee all’interno di ciascun complesso idrogeologico.
Tale esame dovra’ riguardare i seguenti aspetti:
1. stima dell’inquinamento da fonte puntuale (cosi’ come indicato al punto relativo alle acque superficiali)
2. stima dell’inquinamento da fonte diffusa
3. dati derivanti dalle misure relative all’estrazione delle acque
4. stima del ravvenamento artificiale
5. analisi delle altre incidenze antropiche sullo stato delle acque.

3 MODALITA’ DI ELABORAZIONE, GESTIONE E DIFFUSIONE DEI DATI

Le Regioni organizzeranno un proprio Centro di Documentazione che curerà l’accatastamento dei dati e la relativa elaborazione, gestione e diffusione. Tali dati sono organizzati secondo i criteri stabiliti con decreto e devono periodicamente essere aggiornati con i dati prodotti dal monitoraggio secondo le indicazioni di cui all’allegato 1.
Le misure quantitative e qualitative dovranno essere organizzate secondo quanto previsto nel decreto attuativo relativo alla standardizzazione dei dati. A tali modalita’ si dovranno anche attenere i soggetti tenuti a predisporre i protocolli di garanzia e di qualità.
L’interpretazione dei dati relativi alle acque sotterranee in un acquifero potra’ essere espressa in forma sintetica mediante: tabelle, grafici, diagrammi, serie temporali, cartografie tematiche, elaborazioni statistiche, ecc.
Il Centro di documentazione annualmente curerà la redazione di un rapporto sull’evoluzione quali-quantitativa dei complessi idrogeologici monitorati e renderà disponibili tutti i dati e le elaborazioni effettuate, a tutti gli interessati.
Compito del Centro di documentazione sarà inoltre la redazione di carte di sintesi delle aree su cui esiste un vincolo riferito alle acque sotterranee, carte di vulnerabilità e rischio delle acque sotterranee.
Una volta ultimata la presentazione finale dei documenti e degli elaborati grafici ed informatizzati del prodotto, saranno individuati i canali più idonei alla sua diffusione anche mediante rapporti di sintesi e seminari, a tal scopo verrà predisposto un piano contenente modalità e tempi dell’attività di diffusione. Allo scopo dovra’ essere prevista da parte del Centro di documentazione la disponibilitàdegli stessi tramite sistemi geografici informatizzati (GIS) disponibili su reti multimediali.
La scala delle elaborazioni cartografiche dovràessere di almeno 1:100.000 salvo necessita’ di superiore dettaglio.

INDICE>>


INDICE>>

#

ALLEGATO 4

CONTENUTI DEI PIANI

Parte A. Piani di gestione dei bacini idrografici

A. I piani di gestione dei bacini idrografici comprendono i seguenti elementi.

1. Descrizione generale delle caratteristiche del distretto idrografico, a norma dell’allegato 3.
Essa include:
1.1. Per le acque superficiali:
– rappresentazione cartografica dell’ubicazione e del perimetro dei corpi idrici,
– rappresentazione cartografica delle ecoregioni e dei tipi di corpo idrico superficiale presenti nel bacino idrografico,
– segnalazione delle condizioni di riferimento per i tipi di corpo idrico superficiale.
1.2. Per le acque sotterranee:
– rappresentazione cartografica dell’ubicazione e del perimetro dei corpi idrici sotterranei.
2. Sintesi delle pressioni e degli impatti significativi esercitati dalle attività umane sullo stato delle acque superficiali e sotterranee, comprese:
– stime sull’inquinamento da fonti puntuali, stime sull’inquinamento da fonti diffuse, con sintesi delle utilizzazioni del suolo,
– stime delle pressioni sullo stato quantitativo delle acque, estrazioni comprese,
– analisi degli altri impatti antropici sullo stato delle acque.
3. Specificazione e rappresentazione cartografica delle aree protette, come prescritto dall’articolo 117 e dall’allegato 9 alla parte terza del presente decreto.
4. Mappa delle reti di monitoraggio istituite ai fini dell’allegato 1 alla parte terza del presente decreto e rappresentazione cartografica dei risultati dei programmi di monitoraggio effettuati a norma di dette disposizioni per verificare lo stato delle:
4.1. acque superficiali (stato ecologico e chimico);
4.2. acque sotterranee (stato chimico e quantitativo);
4.3. aree protette.
5. Elenco degli obiettivi ambientali fissati per acque superficiali, acque sotterranee e aree protette, compresa in particolare la specificazione dei casi in cui è stato fatto ricorso
all’articolo 77, comma 6, 7, 8, 10 e alle informazioni connesse imposte da detto articolo.
6. Sintesi dell’analisi economica sull’utilizzo idrico prescritta dall’allegato 10 alla parte terza del presente decreto.
7. Sintesi del programma o programmi di misure adottati, compresi i conseguenti modi in cui realizzare gli obiettivi.
7.1. Sintesi delle misure necessarie per attuare la normativa comunitaria sulla protezione delle acque.
7.2. Relazione sulle iniziative e misure drastiche adottate in applicazione del principio del recupero dei costi dell’utilizzo idrico.
7.3. Sintesi delle misure adottate per soddisfare i requisiti previsti.
7.4. Sintesi dei controlli sull’estrazione e l’arginamento delle acque, con rimando ai registri e specificazione dei casi in cui sono state concesse esenzioni.
7.5. Sintesi dei controlli decisi per gli scarichi in fonti puntuali e per altre attività che producono un impatto sullo stato delle acque.
7.6. Specificazione dei casi in cui sono stati autorizzati scarichi diretti nelle acque sotterranee.
7.7. Sintesi delle misure adottate sulle sostanze prioritarie.
7.8. Sintesi delle misure adottate per prevenire o ridurre l’impatto degli episodi di inquinamento accidentale.
7.9. Sintesi delle misure adottate per i corpi idrici per i quali il raggiungimento degli obiettivi enunciati è improbabile,
7.10. Particolari delle misure supplementari ritenute necessarie per il conseguimento degli obiettivi ambientali fissati.
7.11. Particolari delle misure adottate per scongiurare un aumento dell’inquinamento delle acque marine.
8. Repertorio di eventuali programmi o piani di gestione più dettagliati adottati per il distretto idrografico e relativi a determinati sottobacini, settori, tematiche o tipi di acque,
corredato di una sintesi del contenuto.
9. Sintesi delle misure adottate in materia di informazione e consultazione pubblica, con relativi risultati e eventuali conseguenti modifiche del piano.
10. Elenco delle autorità competenti all’interno di ciascun distretto.
11. Referenti e procedure per ottenere la documentazione e le informazioni di base, in particolare dettagli sulle misure di controllo adottate e sugli effettivi dati del monitoraggio raccolti a norma dell’allegato 1 alla parte terza del presente decreto.
B. Il primo e i successivi aggiornamenti del piano di gestione del bacino idrografico comprendono anche quanto segue:
1. sintesi di eventuali modifiche o aggiornamenti alla versione precedente del piano di gestione, compresa una sintesi delle revisioni da effettuare;
2. valutazione dei progressi registrati per il raggiungimento degli obiettivi ambientali, con rappresentazione cartografica dei risultati del monitoraggio relativi al periodo coperto dal piano precedente, e motivazione per l’eventuale mancato raggiungimento degli stessi;
3. sintesi e illustrazione delle misure previste nella versione precedente del piano di gestione e non realizzate;
4. sintesi di eventuali misure supplementari temporanee adottate, successivamente alla pubblicazione della versione precedente del piano di gestione del bacino idrografico.

Parte B. Piani di tutela delle acque

a) I Piani di tutela delle acque devono contenere:
1. Descrizione generale delle caratteristiche del bacino
idrografico ai sensi dell’allegato 3. Tale descrizione include:
1.1 Per le acque superficiali:
– rappresentazione cartografica dell’ubicazione e del perimetro dei corpi idrici con indicazione degli ecotipi presenti all’interno del bacino idrografico e dei corpi idrici di riferimento così come indicato all’allegato 1, come modificato dall’Allegato 8 alla parte
terza del presente decreto.
1.2 Per le acque sotterranee:
– rappresentazione cartografica della geometria e delle caratteristiche litostratografiche e idrogeologiche delle singole zone
– suddivisione del territorio in zone acquifere omogenee
2. Sintesi delle pressioni e degli impatti significativi esercitati dall’attività antropica sullo stato delle acque superficiali e sotterranee. Vanno presi in considerazione:
– stima dell’inquinamento in termini di carico (sia in tonnellate/anno che in tonnellate/mese) da fonte puntuale (sulla base del catasto degli scarichi),
– stima dell’impatto da fonte diffusa, in termine di carico, con sintesi delle utilizzazioni del suolo,
– stima delle pressioni sullo stato quantitativo delle acque, derivanti dalle concessioni e dalle estrazioni esistenti,
– analisi di altri impatti derivanti dall’attività umana sullo stato delle acque.
3. Elenco e rappresentazione cartografica delle aree indicate al Titolo III, capo I, in particolare per quanto riguarda le aree sensibili e le zone vulnerabili cosi’ come risultano dalla eventuale reidentificazione fatta dalle Regioni.
4. Mappa delle reti di monitoraggio istituite ai sensi dell’articolo 120 e dell’allegato 1 alla parte terza del presente decreto ed una rappresentazione in formato cartografico dei risultati dei programmi di monitoraggio effettuati in conformità a tali disposizioni per lo stato delle:
4.1 acque superficiali (stato ecologico e chimico)
4.2 acque sotterranee (stato chimico e quantitativo)
4.3 aree a specifica tutela
5. Elenco degli obiettivi definiti dalle autorità di bacino e degli obiettivi di qualità definiti per le acque superficiali, le acque sotterranee, includendo in particolare l’identificazione dei
casi dove si è ricorso alle disposizioni dell’articolo 77, commi 4 e 5 e le associate informazioni richieste in conformità al suddetto articolo.
6. Sintesi del programma o programmi di misure adottati che deve contenere:
6.1 programmi di misure per il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale dei corpi idrici
6.2 specifici programmi di tutela e miglioramento previsti ai fini del raggiungimento dei singoli obiettivi di qualità per le acque a specifica destinazione di cui al titolo II capo II
6.3 misure adottate ai sensi del Titolo III capo I
6.4 misure adottate ai sensi del titolo III capo II, in particolare:
– sintesi della pianificazione del bilancio idrico
– misure di risparmio e riutilizzo
6.5 misure adottate ai sensi titolo III del capo III, in particolare:
– disciplina degli scarichi
– definizione delle misure per la riduzione dell’inquinamento degli scarichi da fonte puntuale
– specificazione dei casi particolari in cui sono stati autorizzati scarichi
6.6 informazioni su misure supplementari ritenute necessarie al fine di soddisfare gli obiettivi ambientali definiti
6.7 informazioni delle misure intraprese al fine di evitare l’aumento dell’inquinamento delle acque marine in conformità alle convenzioni  internazionali
6.8 relazione sulle iniziative e misure pratiche adottate per l’applicazione del principio del recupero dei costi dei servizi idrici e sintesi dei piani finanziari predisposti ai sensi del
presente decreto
7. Sintesi dei risultati dell’analisi economica, delle misure definite per la tutela dei corpi idrici e per il perseguimento degli obiettivi di qualità, anche allo scopo di una valutazione del rapporto costi benefici delle misure previste e delle azioni relative all’estrazione e distribuzione delle acque dolci, della raccolta e depurazione e riutilizzo delle acque reflue.
8. Sintesi dell’analisi integrata dei diversi fattori che concorrono a determinare lo stato di qualità ambientale dei corpi idrici, al fine di coordinare le misure di cui al punto 6.3 e 6.4 per assicurare il miglior rapporto costi benefici delle diverse misure in particolare vanno presi in considerazione quelli riguardanti la situazione quantitativa del corpo idrico in relazione alle concessioni in atto e la situazione qualitativa in relazione al
carico inquinante che viene immesso nel corpo idrico.
9. relazione sugli eventuali ulteriori programmi o piani più dettagliati adottati per determinati sottobacini.

b) Il primo aggiornamento del Piano di tutela delle acque tutti i successivi aggiornamenti dovranno inoltre includere:

1. sintesi di eventuali modifiche o aggiornamenti della precedente versione del Piano di tutela delle acque, incluso una sintesi delle revisioni da effettuare
2. valutazione dei progressi effettuati verso il raggiungimento degli obiettivi ambientali, con la rappresentazione cartografica dei risultati del monitoraggio per il periodo relativo al piano precedente, nonchè la motivazione per il mancato raggiungimento degli obiettivi ambientali
3. sintesi e illustrazione delle misure previste nella precedente versione del Piano di gestione dei bacini idrografici non realizzate
4. sintesi di eventuali misure supplementari adottate successivamente alla data di pubblicazione della precedente versione del Piano di tutela del bacino idrografico.

INDICE>>


INDICE>>

#

ALLEGATO 5

LIMITI DI EMISSIONE DEGLI SCARICHI IDRICI

1. SCARICHI IN CORPI D’ACQUA SUPERFICIALI

1.1 ACQUE REFLUE URBANE

Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono conformarsi, secondo le cadenze temporali indicate, ai valori limiti definiti dalle Regioni in funzione degli obiettivi di qualità e, nelle more della suddetta disciplina, alle leggi regionali vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.
Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane:
– se esistenti devono conformarsi secondo le cadenze temporali indicate al medesimo articolo alle norme di emissione riportate nella tabella 1,
– se nuovi devono essere conformi alle medesime disposizioni dalla loro entrata in esercizio.
Gli scarichi provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane devono essere conformi alle norme di emissione riportate nelle tabelle 1 e 2. Per i parametri azoto totale e fosforo totale le concentrazioni o le percentuali di riduzione del carico inquinante indicate devono essere raggiunti per uno od entrambi i parametri a seconda della situazione locale.
Devono inoltre essere rispettati nel caso di fognature che convogliano anche scarichi di acque reflue industriali i valori limite di tabella 3 ovvero quelli stabiliti dalle Regioni.

Tabella 1. Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane.

(1) Le analisi sugli scarichi provenienti da lagunaggio o fitodepurazione devono essere effettuati su campioni filtrati, la concentrazione di solidi sospesi non deve superare i 150 mg/L (2) La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato. Si esegue la determinazione dell’ossigeno disciolto anteriormente e posteriormente ad un periodo di incubazione di 5 giorni a 20 °C ± 1 °C, in completa oscurita’, con aggiunta di inibitori di nitrificazione. (3) La misurazione deve essere fatta su campione omogeneizzato non filtrato, non decantato con bicromato di potassio. (4) La misurazione deve essere fatta mediante filtrazione di un campione rappresentativo attraverso membrana filtrante con porosita’ di 0,45 hm ed essiccazione a 105 °C con conseguente calcolo del peso, oppure mediante centrifugazione per almeno 5 minuti (accelerazione media di 2800-3200 g), essiccazione a 105 °C e calcolo del peso. (5) la percentuale di riduzione del BOD5 non deve essere inferiore a 40. Per i solidi sospesi la concentrazione non deve superare i 70 mg/L e la percentuale di abbattimento non deve essere inferiore al 70%.

Tabella 2. Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili.

Parametri (media annua) Potenzialità impianto in A.E.
10.000 – 100.000 > 100.000
Concentrazione % di riduzione Concentrazione % di riduzione
Fosforo totale (P mg/L) (1) ≤ 2 80 ≤ 1 80
Azoto totale (N mg/L) (2) (3) ≤ 15 70-80 ≤ 10 70-80

(1) II metodo di riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento molecolare.
(2) Per azoto totale si intende la somma dell’azoto Kieldahl (N. organico + NH3) + azoto nitrico + azoto nitroso. Il metodo di riferimento per la misurazione è la spettrofotometria di assorbimento molecolare.
(3) In alternativa al riferimento alla concentrazione media annua, purchè si ottenga un analogo livello di protezione ambientale, si può fare riferimento alla concentrazione media giornaliera che non può superare i 20 mg/L per ogni campione in cui la temperatura dell’effluente sia pari o superiore a 12 gradi centigradi. Il limite della concentrazione media giornaliera può essere applicato ad un tempo operativo limitato che tenga conto delle condizioni climatiche locali.

Il punto di prelievo per i controlli deve essere sempre il medesimo e deve essere posto immediatamente a monte del punto di immissione nel corpo recettore. Nel caso di controllo della percentuale di riduzione dell’inquinante, deve essere previsto un punto di prelievo anche all’entrata dell’impianto di trattamento. Di tali esigenze si dovrà tener conto anche nella progettazione e modifica degli impianti, in modo da agevolare l’esecuzione delle attività di controllo.
Per il controllo della conformità dei limiti indicati nelle tabelle 1 e 2 e di altri limiti definiti in sede locale vanno considerati i campioni medi ponderati nell’arco di 24 ore.
Per i parametri di tabella 1 il numero di campioni, ammessi su base annua, la cui media giornaliera può superare i limiti tabellari, è definito in rapporto al numero di misure come da schema seguente.
Parte di provvedimento in formato grafico
In particolare si precisa che, per i parametri sotto indicati, i campioni che risultano non conformi, affinchè lo scarico sia considerato in regola, non possono comunque superare le
concentrazioni riportate in tabella 1 oltre la percentuale sotto indicata:
BOD5: 100%
COD: 100%
Solidi Sospesi 150%
Il numero minimo annuo di campioni per i parametri di cui alle tabelle 1 e 2 è fissato in base alla dimensione dell’impianto di trattamento e va effettuato dall’autorità competente ovvero dal gestore qualora garantisca un sistema di rilevamento e di trasmissione dati all’autorità di controllo, ritenuto idoneo da quest’ultimo, con prelievi ad intervalli regolari nel corso dell’anno, in base allo schema seguente.

potenzialità impianto numero campioni
da 2000 a 9999 A.E. 12 campioni il primo anno e 4 negli anni successivi, purchè lo scarico sia conforme; se uno dei 4 campioni non è conforme, nell’anno successivo devono essere prelevati 12 campioni
da 10000 a 49999 12 campioni
oltre 50.000 A.E. 24 campioni

 

 

I gestori degli impianti devono inoltre assicurare un sufficiente numero di autocontrolli (almeno uguale a quello del precedente schema) sugli scarichi dell’impianto di trattamento e sulle acque in entrata.
L’autorità competente per il controllo deve altresì verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei limiti indicati nella tabella 3. I parametri di tabella 3 che devono essere controllati sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura.

potenzialità impianto numero di controlli
da 2000 a 9999 A.E. 1 volta l’anno
da 10000 a 49999 3 volte l’anno
oltre 49999. 6 volte l’anno

 

Valori estremi per la qualità delle acque in questione non sono presi in considerazione se essi sono il risultato di situazioni eccezionali come quelle dovute a piogge abbondanti.
I risultati delle analisi di autocontrollo effettuate dai gestori degli impianti devono essere messi a disposizione degli enti preposti al controllo. I risultati dei controlli effettuati dall’autorità competente e di quelli effettuati a cura dei gestori devono essere archiviati su idoneo supporto informatico secondo le indicazioni riportate nell’apposito decreto attuativo.
Ove le caratteristiche dei rifiuti da smaltire lo richiedano per assicurare il rispetto, da parte dell’impianto di trattamento di acque reflue urbane, dei valori limite di emissione in relazione agli standard di qualità da conseguire o mantenere nei corpi recettori interessati dallo scarico dell’impianto, l’autorizzazione prevede:
a) l’adozione di tecniche di pretrattamento idonee a garantire, all’ingresso dell’impianto di trattamento delle acque reflue, concentrazioni di inquinanti che non compromettono l’efficienza depurativa dell’impianto stesso;
b) l’attuazione di un programma di caratterizzazione quali-quantitativa che, in relazione a quanto previsto alla precedente lettera a), consenta controlli sistematici in entrata e in
uscita agli impianti di pretrattamento dei rifiuti liquidi e a quelli di depurazione delle acque reflue;
c) l’adozione di sistemi di stoccaggio dei rifiuti liquidi da trattare tale da evitare la miscelazione con i reflui che hanno già subito il trattamento finale;
d) standard gestionali adeguati del processo depurativo e specifici piani di controllo dell’efficienza depurativa;
e) l’adozione di un sistema di autocontrolli basato, per quanto concerne la frequenza e le modalità di campionamento, su criteri statistici o di tipo casuale, comunque tali da rappresentare l’andamento nel tempo della/e reale/i concentrazione/i della/e
sostanza/e da misurare analiticamente e da verificare, con un coefficiente di confidenza di almeno il 90%, la conformità o meno dei livelli di emissione ai relativi limiti. I risultati degli
autocontrolli sono tenuti a disposizione delle autorità competenti per i quattro anni successivi alla data di rilascio/rinnovo dell’autorizzazione;
f) controlli dell’idoneità o meno all’utilizzo in agricoltura dei fanghi biologici prodotti dall’impianto di trattamento delle acque reflue in relazione a quanto disposto dal D.Lgs. 99/1992.

1.2 ACQUE REFLUE INDUSTRIALI.

1.2.1 Prescrizioni generali

Gli scarichi di acque reflue industriali in acque superficiali, devono essere conformi ai limiti di emissione indicati nella successiva tabella 3 o alle relative norme disposte dalle Regioni.
I valori limite di emissione che gli scarichi interessati non devono superare sono espressi, in linea di massima, in concentrazione. Tuttavia, le regioni, nell’esercizio della loro autonomia, in attuazione dei piani di tutela delle acque, tenendo conto dei carichi massimi ammissibili, delle migliori tecniche disponibili, definiscono i valori-limite di emissione, diversi da quelli di cui alla tabella 3 sia in concentrazione massima. ammissibile sia in quantita’ massima
per unità di tempo.
In questo caso, i valori limite espressi in concentrazione devono essere coerenti, e comunque non possono essere superiori, con quelli in peso dell’elemento caratteristico dell’attività ed il relativo fabbisogno d’acqua, parametro quest’ultimo che varia in funzione dei singoli processi e stabilimenti.
Nel caso di attività ricadenti nell’allegato I del D.Lgs. 18 febbraio 2005 n. 59 valori limite di emissione possono essere definiti, in alternativa, per unità di prodotto in linea con quanto
previsto con i BAT references comunitari e con le linee guida settoriali nazionali
Anche in questa ipotesi i valori limite espressi in quantità devono essere coerenti con quelli espressi in concentrazione, tenuto conto del fabbisogno d’acqua, parametro quest’ultimo che varia in funzione dei singoli processi e stabilimenti.

1.2.2 Determinazioni analitiche

Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore. L’autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione dello scarico, dalle
caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuità dello stesso), il tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.).

1.2.3 Specifiche prescrizioni per gli scarichi contenenti sostanze pericolose

1. tenendo conto del carico massimo ammissibile, ove definito, della persistenza, bioaccumulabilità e della pericolosità delle sostanze, nonchè della possibilità di utilizzare le migliori tecniche disponibili, le Regioni stabiliscono opportuni limiti di emissione in massa nell’unità di tempo (kg/mese).
2. Per cicli produttivi specificati nella tabella 3/A devono essere rispettati i limiti di emissione in massa per unità di prodotto o di materia prima di cui alla stessa tabella. Per gli stessi cicli produttivi valgono altresì i limiti di concentrazione indicati nelle
tabella 3 allo scarico finale.
3. Tra i limiti di emissione in termini di massa per unità di prodotto, indicati nella tabella 3/A, e quelli stabiliti dalle Regioni in termini di massa nell’unità di tempo valgono quelli più
cautelativi.
4. Ove il piano di tutela delle acque lo preveda per il raggiungimento degli standard di cui all’allegato 1 del presente decreto, l’autorità competente può individuare conseguenti
prescrizioni adeguatamente motivate all’atto del rilascio e/o del rinnovo delle autorizzazioni agli scarichi che contengono le sostanze di cui all’allegato 5. Dette specifiche prescrizioni possono comportare:
a) l’adozione di misure tecniche, di progettazione, costruzione, esercizio o manutenzione dell’impianto in grado di assicurare il rispetto di valori limite di emissione più restrittivi di quelli fissati in tabella 3, fatto salvo il caso in cui sia accertato, attraverso campionamenti a monte ed a valle dell’area di impatto dello scarico, che la presenza nello scarico stesso di una o più sostanze non origina dal ciclo produttivo dell’insediamento ovvero è naturalmente presente nel corpo idrico. Il valore limite di emissione sarà fissato in rapporto con le priorità e le cadenze temporali degli interventi previsti nel piano di tutela delle acque approvato dalla regione e, in particolare, con quanto previsto nello stesso piano per assicurare la qualità delle acque a specifica destinazione funzionale;
b) l’adozione di un sistema di autocontrolli basato, per quanto concerne la frequenza e le modalità di campionamento, su criteri statistici o di tipo casuale, comunque tali da rappresentare l’andamento nel tempo della/e reale/i concentrazione/i della/e sostanza/e da misurare analiticamente e da verificare, con un coefficiente di confidenza di almeno il 90%, la conformità o meno dei livelli di emissione ai relativi limiti. I risultati degli autocontrolli sono tenuti a disposizione delle autorità competenti per i quattro anni successivi alla data di rilascio/rinnovo dell’autorizzazione.
1. le acque di raffreddamento di impianti pre-esistenti possono essere convogliate verso il corpo idrico recettore tramite un unico scarico comune ad altre acque di scarico, a condizione sia posto in essere un sistema di sorveglianza dello scarico che consenta la
sistematica rilevazione e verifica dei limiti a monte il punto di miscelazione.
2. I punti 4 e 5 non si applicano agli scarichi che provengono da attività commerciali caratterizzate da modesta significatività con riferimento ai quantitativi annui di acque reflue
complessivamente scaricate e che recapitano in pubblica fognatura.

2 SCARICHI SUL SUOLO

Nei casi previsti dall’articolo 103 comma 1 punto c), gli scarichi sul suolo devono rispettare i limiti previsti nella tabella 4.
Il punto di prelievo per i controlli è immediatamente a monte del punto di scarico sul suolo. Per gli impianti di depurazione naturale (lagunaggio, fitodepurazione) il punto di scarico corrisponde è quello all’uscita dall’impianto.
Le determinazioni analitiche ai fini del controllo di conformità degli scarichi di acque reflue industriali sono di norma riferite ad un campione medio prelevato nell’arco di tre ore. L’autorità preposta al controllo può, con motivazione espressa nel verbale di campionamento, effettuare il campionamento su tempi diversi al fine di ottenere il campione più adatto a rappresentare lo scarico qualora lo giustifichino particolari esigenze quali quelle derivanti dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione dello scarico, dalle
caratteristiche del ciclo tecnologico, dal tipo di scarico (in relazione alle caratteristiche di continuita’ dello stesso), il tipo di accertamento (accertamento di routine, accertamento di emergenza, ecc.).
Per gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane si fa riferimento a un campione medio ponderato nell’arco di 24 ore.
Le distanze dal più vicino corpo idrico superficiale oltre le quali è permesso lo scarico sul suolo sono rapportate al volume dello scarico stesso secondo il seguente schema:
a) per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane:
– metri – per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 500 m3
– 2.500 metri – per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 5000 m3
– 5.000 metri – per scarichi con portate giornaliere medie tra 5001 e 10.000 m3
b) per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali.
– 1.000 metri – per scarichi con portate giornaliere medie inferiori a 100 m3
– 2.500 metri – per scarichi con portate giornaliere medie tra 101 e 500 m3
– 5.000 metri – per scarichi con portate giornaliere medie tra 501 e 2.000 m3
Gli scarichi aventi portata maggiore di quelle su indicate devono in ogni caso essere convogliati in corpo idrico superficiale, in fognatura o destinate al riutilizzo.
Per gli scarichi delle acque reflue urbane valgono gli stessi obblighi di controllo e di autocontrollo previsti per gli scarichi in acque superficiali.
L’autorità competente per il controllo deve verificare, con la frequenza minima di seguito indicata, il rispetto dei limiti indicati  nella tabella 4. I parametri di tabella 4 da controllare sono solo quelli che le attività presenti sul territorio possono scaricare in fognatura.

volume scarico  numero controlli
sino a 2000 m cubi al giorno 4 volte l’anno
oltre a 2000 m cubi al giorno  8 volte l’anno

 

2.1 SOSTANZE PER CUI ESISTE IL DIVIETO DI SCARICO

Restano fermi i divieti di scarico sul suolo e nel sottosuolo delle seguenti sostanze:
– composti organo alogenati e sostanze che possono
– dare origine a tali composti nell’ambiente idrico
– composti organo fosforici
– composti organo stannici
– sostanze che hanno potere cancerogeno, mutageno e teratogeno in ambiente idrico o in concorso dello stesso
– mercurio e i suoi composti
– cadmio e i suoi composti
– oli minerali persistenti e idrocarburi di origine petrolifera persistenti
– cianuri
– materie persistenti che possono galleggiare, restare in sospensione o andare a fondo e che possono disturbare ogni tipo di utilizzazione delle acque.
Tali sostanze, si intendono assenti quando sono in concentrazioni non superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche di rilevamento in essere all’entrata in vigore del presente decreto o dei successivi aggiornamenti.
Persiste inoltre il divieto di scarico diretto nelle acque sotterranee, in aggiunta alle sostanze su elencate, di:
1: zinco rame nichel cromo piombo selenio arsenico antimonio molibdeno titanio stagno bario berillio boro uranio vanadio cobalto tallio tellurio argento
2: Biocicli e loro derivati non compresi nell’elenco del paragrafo precedente
3: Sostanze che hanno un effetto nocivo sul sapore ovvero sull’odore dei prodotti consumati dall’uomo derivati dall’ambiente idrico, nonchè i composti che possono dare origine a tali sostanze nelle acque
4: Composti organosilicati tossici o persistenti e che possono dare origine a tali composti nelle acque ad eccezione di quelli che sono biologicamente innocui o che si trasformano rapidamente nell’acqua in sostanze innocue
5: Composti inorganici del fosforo e fosforo elementare
6: Oli minerali non persistenti ed idrocarburi di origine petrolifera non persistenti
7: Fluoruri
8: Sostanze che influiscono sfavorevolmente sull’equilibrio dell’ossigeno, in particolare ammoniaca e nitriti.
Tali sostanze, si intendono assenti quando sono in concentrazioni non superiori ai limiti di rilevabilità delle metodiche di rilevamento in essere all’entrata in vigore del presente decreto o dei successivi aggiornamenti.

3 INDICAZIONI GENERALI

I punti di scarico degli impianti i trattamento delle acque reflue urbane devono essere scelti, per quanto possibile, in modo da ridurre al minimo gli effetti sulle acque recettrici.
Tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, con potenzialita’ superiore a 2.000 abitanti equivalenti, ad esclusione degli impianti di trattamento che applicano tecnologie depurative di tipo naturale quali la fitodepurazione e il lagunaggio, dovranno
essere dotati di un trattamento di disinfezione da utilizzarsi in caso di eventuali emergenze relative a situazioni di rischio sanitario ovvero per garantire il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientali o gli usi in atto del corpo idrico recettore.
In sede di approvazione del progetto dell’impianto di trattamento delle acque reflue urbane l’autorità competente dovrà verificare che l’impianto sia in grado di che la concentrazione media giornaliera dell’azoto ammoniacale (espresso come N), in uscita dall’impianto di trattamento non superi il 30% del valore della concentrazione dell’azoto totale (espresso come N) in uscita dall’impianto di trattamento. Tale prescrizione non vale per gli scarichi in mare,
In sede di autorizzazione allo scarico, l’autorità competente:
a) fisserà il sistema di riferimento per il controllo degli scarichi di impianti di trattamento rispettivamente a: l’opzione riferita al rispetto della concentrazione o della percentuale di
abbattimento il riferimento alla concentrazione media annua a alla concentrazione media giornaliera per il parametro “azoto totale” della tabella 2
b) fisserà il limite opportuno relativo al parametro “Escherichia coli” espresso come UFC/100 mL. Si consiglia un limite non superiore a 5000 UFC/100 mL.
I trattamenti appropriati devono essere individuati con l’obiettivo di:
a) rendere semplice la manutenzione e la gestione
b) essere in grado di sopportare adeguatamente forti variazioni orarie del carico idraulico e organico
c) minimizzare i costi gestionali.
Questa tipologia di trattamento può equivalere ad un trattamento primario o ad un trattamento secondario a seconda della soluzione tecnica adottata e dei risultati depurativi raggiunti.
Per tutti gli agglomerati con popolazione equivalente compresa tra 50 e 2000 a.e, si ritiene auspicabile il ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione, o tecnologie come i filtri percolatori o impianti ad ossidazione totale.
Peraltro tali trattamenti possono essere considerati adatti se opportunamente dimensionati, al fine del raggiungimento dei limiti della tabella 1, anche per tutti gli agglomerati in cui la
popolazione equivalente fluttuante sia superiore al 30% della popolazione residente e laddove le caratteristiche territoriali e climatiche lo consentano.
Tali trattamenti si prestano, per gli agglomerati di maggiori dimensioni con popolazione equivalente compresa tra i 2000 e i 25000 a.e, anche a soluzioni integrate con impianti a fanghi attivi o a biomassa adesa, a valle del trattamento, con funzione di affinamento.

4 METODI DI CAMPIONAMENTO ED ANALISI

Fatto salvo quanto diversamente specificato nelle tabelle 1, 2, 3, 4 circa i metodi analitici di riferimento, rimangono valide le procedure di controllo, campionamento e misura definite dalle normative in essere prima dell’entrata in vigore del presente decreto. Le metodiche di campionamento ed analisi saranno aggiornate con apposito decreto ministeriale su proposta dell’APAT. ((115))

Tabella 3. Valori limiti di emissione in acque superficiali e in fognatura.

(*) I limiti per lo scarico in rete fognaria sono obbligatori in assenza di limiti stabiliti dall’autorità competente o in mancanza di un impianto finale di trattamento in grado di rispettare i limiti di emissione dello scarico finale. Limiti diversi devono essere resi
conformi a quanto indicato alla nota 2 della tabella 5 relativa a sostanze pericolose.
(1) Per i corsi d’acqua la variazione massima tra temperature medie di qualsiasi sezione del corso d’acqua a monte e a valle del punto di immissione non deve superare i 3 °C.
Su almeno meta’ di qualsiasi sezione a valle tale variazione non deve superare 1 °C
Per i laghi la temperatura dello scarico non deve superare i 30 °C e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre 50 metri di distanza dal punto di immissione. Per i canali artificiali, il massimo valore medio
della temperatura dell’acqua di qualsiasi sezione non deve superare i 35 °C, la condizione suddetta è subordinata all’assenso del soggetto che gestisce il canale. Per il mare e per
le zone di foce di corsi d’acqua non significativi, la temperatura dello scarico non deve superare i 35 °C e l’incremento di temperatura del corpo recipiente non deve in nessun caso superare i 3 °C oltre i 1000 metri di distanza dal punto di immissione.
Deve inoltre essere assicurata la compatibilità ambientale dello scarico con il corpo recipiente ed evitata la formazione di barriere termiche alla foce dei fiumi.
(2) Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue urbane valgono i limiti indicati in tabella 1 e, per le zone sensibili anche quelli di tabella 2. Per quanto riguarda gli scarichi di acque reflue industriali recapitanti in zone sensibili la concentrazione di fosforo totale e di azoto totale deve essere rispettivamente di 1e10 mg/L.
(2-bis) Tali limiti non valgono per gli scarichi in mare delle installazioni di cui all’allegato VIII alla parte seconda, per i quali i rispettivi documenti di riferimento sulle migliori
tecniche disponibili di cui all’articolo 5, lettera 1-ter.2), prevedano livelli di prestazione non compatibili con il medesimo valore limite. In tal caso, le Autorizzazioni Integrate Ambientali
rilasciate per l’esercizio di dette installazioni possono prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione, fermo restando l’obbligo
di rispettare le direttive e i regolamenti dell’Unione europea, nonchè i valori limite stabiliti dalle Best Available Technologies Conclusion e le prestazioni ambientali fissate dai
documenti BREF dell’Unione europea per i singoli settori di attività. (78)
(3) Tali limiti non valgono per lo scarico in mare, in tal senso le zone di foce sono equiparate alle acque marine costiere, purchè almeno sulla meta’ di una qualsiasi sezione a valle dello scarico non vengono disturbate le naturali variazioni della concentrazione
di solfati o di cloruri.
(4) In sede di autorizzazione allo scarico dell’impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell’autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione
alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non
superiore ai 5000 UFC/100 mL.
(5) saggio di tossicità è obbligatorio. Oltre al saggio su Daphnia magna, possono essere eseguiti saggi di tossicità acuta su Ceriodaphnia dubia, Selenastrum capricornutum, batteri bioluminescenti o organismi quali Artemia salina, per scarichi di acqua salata o altri organismi tra quelli che saranno indicati ai sensi del punto 4 del presente allegato. In caso di esecuzione di più test di tossicità si consideri il risultato peggiore. Il risultato positivo della prova di tossicità non determina l’applicazione diretta delle sanzioni di cui al titolo V,
determina altresì l’obbligo di approfondimento delle indagini analitiche, la ricerca delle cause di tossicità e la loro rimozione.


Tabella 3/A. Limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi (**)

 

Note alla tabella 3/A
(*) Qualora non diversamente indicato, i valori indicati sono riferiti a medie mensili. Ove non indicato esplicitamente si consideri come valore delle media giornaliera il doppio di quella mensile.
(**) Per i cieli produttivi che hanno uno scarico della sostanza pericolosa in questione, minore al quantitativo annuo indicato nello schema seguente, le autorità competenti all’autorizzazione possono evitare il procedimento autorizzativo. In tal caso valgono solo i
limiti di tabella 3.

 

(1) Per questi cicli produttivi non vi sono limiti di massa per unità di prodotto, devono essere rispettati, solo i limiti di concentrazione indicati in tabella 3 in relazione alla singola sostanza o alla famiglia di sostanze di appartenenza.
(2) Per questi cicli produttivi non vengono indicati i limiti di massa per unità di prodotto, ma devono essere rispettati, oltre ai limiti di concentrazione indicati in tabella 3 per la famiglia di sostanze di appartenenza, i seguenti limiti di concentrazione:


 

Per verificare che gli scarichi soddisfano i limiti indicati nella tabella 3/A deve essere prevista una procedura di controllo che prevede:
– il prelievo quotidiano di un campione rappresentativo degli scarichi effettuati nel giro di 24 ore e la misurazione della concentrazione della sostanza in esame;
– la misurazione del flusso totale degli scarichi nello stesso arco di tempo.
La quantità di sostanza scaricata nel corso di un mese si calcola sommando le quantità scaricate ogni giorno nel corso del mese. Tale quantità va divisa per la quantità totale di prodotto o di materia prima.

Tabella 4. Limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo

(1) In sede di autorizzazione allo scarico dell’impianto per il trattamento di acque reflue urbane, da parte dell’autorità competente andrà fissato il limite più opportuno in relazione alla situazione ambientale e igienico sanitaria del corpo idrico recettore e agli usi esistenti. Si consiglia un limite non superiore ai 5000 UFC/100 mL.

Tabella 5. Sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali (1) e per lo scarico in rete fognaria (2), o in tabella 4 per lo scarico sul suolo

(1) Per quanto riguarda gli scarichi in corpo idrico superficiale, nel caso di insediamenti produttivi aventi scarichi con una portata complessiva media giornaliera inferiore a 50 m3, per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 15, 16, 17 e 18 le regioni e le province autonome nell’ambito dei piani di tutela, possono
ammettere valori di concentrazione che superano di non oltre il 50% i valori indicati nella tabella 3, purchè sia dimostrato che ciò non comporti un peggioramento della situazione ambientale e non pregiudica il raggiunti mento gli obiettivi ambientali.
(2) Per quanto riguarda gli scarichi in fognatura, purchè sia garantito che lo scarico finale della fognatura rispetti i limiti di tabella 3, o quelli stabiliti dalle regioni, l’ente gestore
può stabilire per i parametri della tabella 5, ad eccezione di quelli indicati sotto i numeri 2, 4, 5, 7, 14, 15, 16 e 17, limiti di accettabilità i cui valori di concentrazione superano quello
indicato in tabella 3.

Tabella 6 – Peso vivo medio corrispondente ad una produzione di 340 Kg di azoto per anno, al netto delle perdite di rimozione e stoccaggio, da considerare ai fini dell’assimilazione alle acque reflue domestiche (art. 101, co. 7, lett. b))

AGGIORNAMENTO (78)
Il D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 116 ha disposto (con l’art. 13, comma 7) che la presente nota e’ relativa al parametro n. 6 della Tabella 3 del presente allegato.
————
AGGIORNAMENTO (115)
La L. 20 novembre 2017, n. 167 ha disposto (con l’art. 17, comma 1) che “Nella tabella 2 dell’allegato 5 alla parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Limiti di emissione per gli impianti di acque reflue urbane recapitanti in aree sensibili», le parole: «Potenzialita’ impianto in A.E.» sono sostituite dalle seguenti: «Carico generato dall’agglomerato in A.E.»”.

INDICE>>


INDICE>>

#

ALLEGATO 6

CRITERI PER LA INDIVIDUAZIONE DELLE AREE SENSIBILI

Si considera area sensibile un sistema idrico classificabile in uno dei seguenti gruppi:
a) laghi naturali, altre acque dolci, estuari e acque del litorale già eutrofizzati, o probabilmente esposti a prossima eutrofizzazione, in assenza di interventi protettivi specifici.
Per individuare il nutriente da ridurre mediante ulteriore trattamento, vanno tenuti in considerazione i seguenti elementi:
i) nei laghi e nei corsi d’acqua che si immettono in laghi/bacini/baie chiuse con scarso ricambio idrico e ove possono verificarsi fenomeni di accumulazione la sostanza da eliminare è il fosforo, a meno che non si dimostri che tale intervento non avrebbe
alcuno effetto sul livello dell’eutrofizzazione. Nel caso di scarichi provenienti da ampi agglomerati si può prevedere di eliminare anche l’azoto;
ii) negli estuari, nelle baie e nelle altre acque del litorale con scarso ricambio idrico, ovvero in cui si immettono grandi quantità di nutrienti, se, da un lato, gli scarichi provenienti da
piccoli agglomerati urbani sono generalmente di importanza irrilevante, dall’altro, quelli provenienti da agglomerati più estesi rendono invece necessari interventi di eliminazione del fosforo c/o dell’azoto, a meno che non si dimostri che ciò non avrebbe comunque alcun effetto sul livello dell’eutrofizzazione;
b) acque dolci superficiali destinate alla produzione di acqua potabile che potrebbero contenere, in assenza di interventi, una concentrazione di nitrato superiore a 50 mg/T, (stabilita conformemente alle disposizioni pertinenti della direttiva 75/440
concernente la qualità delle acque superficiali destinate alla produzione d’acqua potabile);
c) aree che necessitano, per gli scarichi afferenti, di un trattamento supplementare al trattamento secondario al fine di conformarsi alle prescrizioni previste dalla presente norma.
Ai sensi del comma 1 lettera a) dell’articolo 91, sono da considerare in prima istanza come sensibili i laghi posti ad un’altitudine sotto i 1.000 sul livello del mare e aventi una superficie dello specchio liquido almeno di 0,3 km2.
Nell’identificazione di ulteriori aree sensibili, oltre ai criteri di cui sopra, le Regioni dovranno prestare attenzione a quei corpi idrici dove si svolgono attività tradizionali di produzione ittica.

INDICE>>


#

INDICE>>

ALLEGATO 7

PARTE A – ZONE VULNERABILI DA NITRATI DI ORIGINE AGRICOLA

Parte AI

Criteri per l’individuazione delle zone vulnerabili

Si considerano zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali di scarichi.
Tali acque sono individuate, in base tra l’altro dei seguenti criteri:
1. la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO3) nelle acque dolci superficiali, in particolare quelle destinate alla produzione di acqua potabile, se non si interviene;
2. la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una
concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO3) nelle acque dolci sotterranee, se non si interviene;
3. la presenza di eutrofizzazione oppure la possibilità del verificarsi di tale fenomeno nell’immediato futuro nei laghi naturali di acque dolci o altre acque dolci, estuari, acque costiere e marine, se non si interviene.
Nell’individuazione delle zone vulnerabili, le regioni tengono conto pertanto:
1. delle caratteristiche fisiche e ambientali delle acque e dei terreni che determinano il comportamento dei nitrati nel sistema acqua/terreno;
2. del risultato conseguibile attraverso i programmi d’azione adottati;
3. delle eventuali ripercussioni che si avrebbero nel caso di mancato intervento.

Controlli da eseguire ai fini della revisione delle zone vulnerabili

Ai fini di quanto disposto dal comma 4 dell’articolo 92, la concentrazione dei nitrati deve essere controllata per il periodo di durata pari almeno ad un anno:
– nelle stazioni di campionamento previste per la classificazione dei corpi idrici sotterranei e superficiali individuate secondo quanto previsto dall’allegato 1 al decreto;
– nelle altre stazioni di campionamento previste al Titolo II Capo II relativo al controllo delle acque destinate alla produzione di acque potabili, almeno una volta al mese e più frequentemente nei periodi di piena;
– nei punti di prelievo, controllati ai sensi del D.P.R. n. 236/1988, delle acque destinate al consumo umano.

Il controllo va ripetuto almeno ogni quattro anni. Nelle stazioni dove si e’ riscontrata una concentrazione di nitrati inferiore a 25 mg/L (espressi come NO3- ) il programma di controllo può essere ripetuto ogni otto anni, purchè non si sia manifestato alcun fattore nuovo che possa aver incrementato il tenore dei nitrati.
Ogni quattro anni e’ sottoposto a riesame lo stato eutrofico delle acque dolci superficiali, di transizione e costiere, adottando di conseguenza i provvedimenti del caso.
Nei programmi di controllo devono essere applicati i metodi di misura di riferimento previsti al successivo punto.

Metodi di riferimento

Concimi chimici

Il metodo di analisi dei composti dell’azoto e’ stabilito in conformita’ al D.M. 19 luglio 1989 – Approvazione dei metodi ufficiali di analisi per i fertilizzanti.

Acque dolci, acque costiere e acque marine

Il metodo di analisi per la rilevazione della concentrazione di nitrati e’ la spettrofotometria di assorbimento molecolare. I laboratori che utilizzano altri metodi di misura devono accertare la comparabilita’ dei risultati ottenuti.

Parte AII

Aspetti metodologici

1. L’individuazione delle zone vulnerabili viene effettuata tenendo conto dei carichi (specie animali allevate, intensità degli allevamenti e loro tipologia, tipologia dei reflui che ne derivano e modalità di applicazione al terreno, coltivazioni e fertilizzazioni in uso) nonchè dei fattori ambientali che possono concorrere a determinare uno stato di contaminazione.
Tali fattori dipendono:
– dalla vulnerabilità intrinseca delle formazioni acquifere ai fluidi inquinanti (caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi);
– dalla capacità di attenuazione del suolo nei confronti dell’inquinante (caratteristiche di tessitura, contenuto di sostanza organica ed altri fattori relativi alla sua composizione e
reattività chimico-biologica);
– dalle condizioni climatiche e idrologiche;
– dal tipo di ordinamento colturale e dalle relative pratiche agronomiche.
Gli approcci metodologici di valutazione della vulnerabilità richiedono un’idonea ed omogenea base di dati e a tal proposito si osserva che sul territorio nazionale sono presenti:
– aree per cui sono disponibili notevoli conoscenze di base e già e’ stata predisposta una mappatura della vulnerabilità a scala di dettaglio sia con le metodologie CNR-GNDCI [2] che con sistemi parametrici;
– aree nelle quali, pur mancando studi e valutazioni di vulnerabilità, sono disponibili dati sufficienti per effettuare un’indagine di carattere orientativo e produrre un elaborato
cartografico a scala di’ riconoscimento;
– aree in cui le informazioni sono molto carenti o frammentarie ed è necessario ricorrere ad una preventiva raccolta di dati al fine di applicare le metodologie di base studiate in ambito CNR-GNDCI.
Al fine di individuare sull’intero territorio nazionale le zone vulnerabili ai nitrati si ritiene opportuno procedere ad un’indagine preliminare di riconoscimento, che deve essere in seguito revisionata sulla base di aggiornamenti successivi conseguenti anche ad eventuali
ulteriori indagini di maggiore dettaglio.


[2] Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche.


2. Indagine preliminare di riconoscimento.

 La scala cartografica di rappresentazione prescelta e’ 1:250.000 su base topografica preferibilmente informatizzata.
Obiettivo dell’indagine di riconoscimento è l’individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque sotterranee sono particolarmente evidenti. In tale fase dell’indagine non e’ necessario separare più classi di vulnerabilità.
In prima approssimazione i fattori critici da considerare nell’individuazione delle zone vulnerabili sono:
a) presenza di un acquifero libero o parzialmente confinato (ove la connessione idraulica con la superficie e’ possibile) e, nel caso di rocce litoidi fratturate, presenza di un acquifero a profondità inferiore a 50 m, da raddoppiarsi in zona a carsismo evoluto;
b) presenza di una litologia di superficie e dell’insaturo
prevalentemente permeabile (sabbia, ghiaia o litotipi fratturati);
c) presenza di suoli a capacità di attenuazione tendenzialmente bassa (ad es. suoli prevalentemente sabbiosi, o molto ghiaiosi, con basso tenore di sostanza organica, poco profondi).
La concomitanza delle condizioni sopra esposte identifica le situazioni di maggiore vulnerabilità.
Vengono escluse dalle zone vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile purchè continuo.
L’indagine preliminare di riconoscimento delle zone vulnerabili viene effettuata:
a) per le zone ove e’ già disponibile una mappatura a scala di dettaglio o di sintesi, mediante accorpamento delle aree classificate ad alta, elevata ed estremamente elevata vulnerabilità
b) per le zone dove non e’ disponibile una mappatura ma esistono sufficienti informazioni geo-pedologico-ambientali, mediante il metodo di valutazione di zonazione per aree omogenee (metodo CNR-GNDCI) o il metodo parametrico;
c) per le zone dove non esistono sufficienti informazioni, mediante dati esistenti e/o rapidamente acquisibili e applicazione del metodo CNR-GNDCI, anche ricorrendo a criteri di similitudine.

3. Aggiornamenti successivi.

L’indagine preliminare di riconoscimento può essere suscettibile di sostanziali  approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attività di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una
delimitazione più precisa delle aree vulnerabili.
Con il supporto delle ARPA, ove costituite, deve essere avviata una indagine finalizzata alla stesura di una cartografia di maggiore dettaglio (1:50.000-100.000) per convogliare la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle zone più problematiche.
Obiettivo di questa indagine è l’individuazione dettagliata della “vulnerabilità specifica”, degli acquiferi e in particolare delle classi di grado più elevato. Si considerano, pertanto, i fattori inerenti la “vulnerabilità intrinseca” degli acquiferi e la capacità di attenuazione del suolo, dell’insaturo e dell’acquifero.
Il prodotto di tale indagine può essere soggetto ad aggiornamenti sulla base di nuove conoscenze e dei risultati della sperimentazione.
E’ opportuno gestire i dati raccolti mediante un sistema GIS.

4. Le amministrazioni possono comunque intraprendere studi di maggior dettaglio quali strumenti di previsione e di’ prevenzione dei fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati alla valutazione della vulnerabilità e dei rischi presenti in siti specifici (campi, pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all’interno delle più vaste aree definite come vulnerabili, e possono permettere di indicare con maggiore definizione le eventuali
misure da adottare nel tempo e nello spazio.

Parte AIII

Zone vulnerabili designate

In fase di prima attuazione sono designate vulnerabili
all’inquinamento da nitrati provenienti da fonti agricole le seguenti zone:
– quelle già individuate dalla Regione Lombardia con il regolamento attuativo della legge regionale 15 dicembre 1993, n. 37;
– quelle già individuate dalla Regione Emilia-Romagna con la deliberazione del Consiglio regionale 11 febbraio 1997, n. 570;
– la zona delle conoidi delle province di Modena, Reggio Emilia e Parma;
– l’area dichiarata a rischio di crisi ambientale di cui all’articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n. 305 del bacino Burana Po di Volano della provincia di Ferrara;
– l’area dichiarata a rischio di crisi ambientale di cui all’articolo 6 della legge 28 agosto 1989, n. 305 dei bacini dei fiumi Fissero, Canal Bianco e Po di Levante (della regione Veneto).
Tale elenco viene aggiornato, su proposta delle Regioni interessate, sulla base dei rilevamenti e delle indagini svolte.

Parte AIV

Indicazioni e misure per i programmi d’azione.

I programmi d’azione sono obbligatori per le zone vulnerabili e tengono conto dei dati scientifici e tecnici disponibili, con riferimento principalmente agli apporti azotati rispettivamente di origine agricola o di altra origine, nonche’ delle condizioni
ambientale locali.

1. I programmi d’azione includono misure relative a:
1.1) i periodi in cui è proibita l’applicazione al terreno di determinati tipi di fertilizzanti;
1.2) la capacità dei depositi per effluenti di allevamento; tale capacità deve superare quella necessaria per l’immagazzinamento nel periodo più lungo, durante il quale è proibita l’applicazione al terreno di effluenti nella zona vulnerabile, salvo i casi in cui sia
dimostrato all’autorità competente che qualsiasi quantitativo di effluente superiore all’effettiva capacità d’immagazzinamento verrà gestito senza causare danno all’ambiente;
1.3) la limitazione dell’applicazione al terreno di fertilizzanti conformemente alla buona pratica agricola e in funzione delle caratteristiche della zona vulnerabile interessata; in particolare si deve tener conto:
a) delle condizioni, del tipo e della pendenza del suolo;
b) delle condizioni climatiche, delle precipitazioni e dell’irrigazione;
c) dell’uso del terreno e delle pratiche agricole, inclusi i sistemi di rotazione e di avvicendamento colturale.
Le misure si basano sull’equilibrio tra il prevedibile fabbisogno di azoto delle colture, e l’apporto di azoto proveniente dal terreno e dalla fertilizzazione, corrispondente:
– alla quantità di azoto presente nel terreno nel momento in cui la coltura comincia ad assorbirlo in misura significativa (quantità rimanente alla fine dell’inverno);
– all’apporto di composti di azoto provenienti dalla mineralizzazione netta delle riserve di azoto organico presenti nel terreno;
– all’aggiunta di composti di azoto provenienti da effluenti di allevamento;
– all’aggiunta di composti di azoto provenienti da fertilizzanti chimici e da altri fertilizzanti.
I programmi di azione devono contenere almeno le indicazioni riportate nel Codice di Buona Pratica Agricola, ove applicabili.
2. Le misure devono garantire che, per ciascuna azienda o allevamento, il quantitativo di effluente zootecnico sparso sul terreno ogni anno, compreso quello depositato dagli animali stessi, non superi un apporto pari a 170 kg di azoto per ettaro.
Tuttavia per i primi due anni del programma di azione il quantitativo di affluente utilizzabile può essere elevato fino ad un apporto corrispondente a 210 kg di azoto per ettaro. I predetti quantitativi sono calcolati sulla base del numero e delle categorie degli animali.
Ai fini del calcolo degli apporti di azoto provenienti dalle diverse tipologie di allevamento si terrà conto delle indicazioni contenute nel decreto del Ministero delle politiche agricole e
forestali.
3. Durante e dopo i primi quattro anni di applicazione del programma d’azione le regioni in casi specifici possono fare istanza al Ministero dell’ambiente per lo spargimento di quantitativi di effluenti di allevamento diversi da quelli sopra indicati, ma tali da
non compromettere le finalità, da motivare e giustificare in base a criteri obiettivi relativi alla gestione del suolo e delle colture, quali:
– stagioni di crescita prolungate;
– colture con grado elevato di assorbimento di azoto;
– terreni con capacità eccezionalmente alta di denitrificazione.
Il Ministero dell’ambiente, acquisito il parere favorevole della Commissione europea, che lo rende sulla base delle procedure previste all’articolo 9 della direttiva 91/676/CEE, può concedere lo spargimento di tali quantitativi.

PARTE B – ZONE VULNERABILI DA PRODOTTI FITOSANITARI

Parte BI

Criteri per l’individuazione

1. Le Regioni e le Province autonome individuano le aree in cui richiedere limitazioni o esclusioni d’impiego, anche temporanee, di prodotti fitosanitari autorizzati, allo scopo di proteggere le risorse idriche e altri comparti rilevanti per la tutela sanitaria o ambientale, ivi inclusi l’entomofauna utile e altri organismi utili, da possibili fenomeni di contaminazione. Un’area e’ considerata area vulnerabile quando l’utilizzo al suo interno dei prodotti fitosanitari autorizzati pone in condizioni di rischio le risorse idriche e gli altri comparti ambientali rilevanti.
2. Il Ministero della Sanità ai sensi dell’art. 5, comma 20 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, su documentata richiesta delle Regioni e delle Province autonome, sentita la Commissione consultiva di cui all’articolo 20 dello stesso decreto legislativo, dispone limitazioni o esclusioni d’impiego, anche temporanee, dei prodotti fitosanitari autorizzati nelle aree individuate come zone vulnerabili da prodotti fitosanitari.
3. Le Regioni e le Province autonome provvedono entro un anno, sulla base dei criteri indicati nella parte BIII di questo allegato, alla prima individuazione e cartografia delle aree vulnerabili ai prodotti fitosanitari ai fini della tutela delle risorse idriche
sotterranee.
Successivamente alla prima individuazione, tenendo conto degli aspetti metodologici indicati nella parte BIII, punto 3, le Regioni e le Province autonome provvedono ad effettuare la seconda individuazione e la stesura di una cartografia di maggiore dettaglio
delle zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari.
4. Possono essere considerate zone vulnerabili dai prodotti fitosanitari ai fini della tutela di zone di rilevante interesse naturalistico e della protezione di organismi utili, ivi inclusi
insetti e acari utili, uccelli insettivori, mammiferi e anfibi, le aree naturali protette, o porzioni di esse, indicate nell’Elenco Ufficiale di cui all’art. 5 della legge 6 dicembre 1991, n. 394.
5. Le Regioni e le Province autonome predispongono programmi di controllo per garantire il rispetto delle limitazioni o esclusioni d’impiego dei prodotti fitosanitari disposte, su loro richiesta, dal Ministero della Sanità. Esse forniscono al Ministero dell’Ambiente e all’Agenzia Nazionale per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici (APAT) i dati relativi all’individuazione e alla cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari.
6. L’APAT e le Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente forniscono supporto tecnico-scientifico alle Regioni e alle Province autonome al fine di:
a) promuovere uniformita’ d’intervento nelle fasi di valutazione e cartografia delle aree di protezione dai prodotti fitosanitari;
b) garantire la congruità delle elaborazioni cartografiche e verificare la qualita’ delle informazioni ambientali di base (idrogeologiche, pedologiche, ecc.).
7. L’APAT promuove attività di ricerca nell’ambito delle problematiche relative al destino ambientale dei prodotti fitosanitari autorizzati. Tali attività hanno il fine di acquisire
informazioni intese a migliorare e aggiornare i criteri di individuazione delle aree vulnerabili per i comparti del suolo, delle acque superficiali e sotterranee, nonche’ degli organismi non
bersaglio.
Il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio provvede, tenuto conto delle informazioni acquisite e sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, ad aggiornare i criteri per
l’individuazione delle aree vulnerabili.

Parte BII

Aspetti metodologici

1. Come per le zone vulnerabili da nitrati, anche nel caso dei fitofarmaci si prevedono due fasi di individuazione delle aree interessate dal fenomeno: una indagine di riconoscimento (prima individuazione) e un’indagine di maggiore dettaglio (seconda
individuazione).

2. Indagine preliminare di riconoscimento.
Per la prima individuazione delle aree vulnerabili da prodotti fitosanitari si adotta un tipo di indagine, alla scala di 1:250.000, simile a quella indicata in precedenza nella Parte ATI di questo
allegato.

2.1 La prima individuazione delle aree vulnerabili comprende, comunque, le aree per le quali le attività di monitoraggio hanno già evidenziato situazioni di compromissione dei corpi idrici sotterranei sulla base degli standard delle acque destinate al consumo umano indicati dal D.P.R. n. 236 del 1988 per il parametro 55 (antiparassitari e prodotti assimilabili).
Sono escluse, invece, le situazioni in cui la natura delle formazioni rocciose impedisce la presenza di una falda, o dove esiste la protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile o da un suolo molto reattivo.
Vengono escluse dalle aree vulnerabili le situazioni in cui la natura dei corpi rocciosi impedisce la formazione di un acquifero o dove esiste una protezione determinata da un orizzonte scarsamente permeabile, purchè continuo, o da un suolo molto reattivo.

2.2 Obiettivo dell’indagine preliminare di riconoscimento non e’ la rappresentazione sistematica delle caratteristiche di vulnerabilità degli acquiferi, quanto piuttosto la individuazione delle porzioni di territorio dove le situazioni pericolose per le acque sotterranee sono particolarmente evidenti.
Per queste attività si rinvia agli aspetti metodologici già indicati nella. Parte ATI di questo allegato.
2.3 Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l’applicazione di eventuali limitazioni o esclusioni d’impiego ci si potra’ avvalere di
parametri, indici, modelli e sistemi di classificazione che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione.

3. Aggiornamenti successivi
L’indagine preliminare di riconoscimento può essere suscettibile di sostanziali approfondimenti e aggiornamenti sulla base di nuove indicazioni, tra cui, in primo luogo, i dati provenienti da attività di monitoraggio che consentono una caratterizzazione e una
delimitazione più precisa delle aree vulnerabili.
Questa successiva fase di lavoro, che può procedere parallelamente alle indagini e cartografie maggiore dettaglio, può prevedere inoltre la designazione di più di una classe di vulnerabilità (al massimo 3) riferita ai gradi più elevati e la valutazione della vulnerabilità in relazione alla capacità di attenuazione del suolo, in modo tale che si possa tenere conto delle caratteristiche intrinseche dei prodotti fitosanitari per poterne stabilire limitazioni o esclusioni di impiego sulla base di criteri quanto più possibile obiettivi.

3.1 La seconda individuazione e cartografia e’ restituita ad una scala maggiormente dettagliata (1:50.000-1:100.000): successivamente o contestualmente alle fasi descritte in precedenza, compatibilmente con la situazione conoscitiva di partenza e con le possibilità
operative delle singole amministrazioni, deve essere avviata una indagine con scadenze a medio/lungo termine. Essa convoglia la maggior parte delle risorse tecnico-scientifiche sullo studio delle aree più problematiche, già individuate nel corso delle fasi precedenti.
Obiettivo di questa indagine e’ l’individuazione della vulnerabilità specifica degli acquiferi e in particolare delle classi di grado più elevato. Si considerano, pertanto, i fattori
inerenti la vulnerabilità intrinseca degli acquiferi, la capacità di attenuazione del suolo e le caratteristiche chemiodinamiche dei prodotti fitosanitari.
Ai fini della individuazione dei prodotti per i quali le amministrazioni potranno chiedere l’applicazione di eventuali limitazioni o esclusioni d’impiego ci si potrà avvalere di parametri
o indici che consentano di raggruppare i prodotti fitosanitari in base al loro potenziale di percolazione. Si cita, ad esempio, l’indice di Gustafson.

3.2 Le Regioni e le Province Autonome redigono un programma di massima con l’articolazione delle fasi di lavoro e i tempi di attuazione. Tale programma e’ inviato al Ministero dell’Ambiente e all’APAT, i quali forniscono supporto tecnico e scientifico alle
Regioni e alle Province Autonome.
Le maggiori informazioni derivanti dall’indagine di medio-dettaglio consentiranno di disporre di uno strumento di lavoro utile per la pianificazione dell’impiego dei prodotti fitosanitari a livello locale e permetteranno di precisare, rispetto all’indagine
preliminare di riconoscimento, le aree suscettibili di restrizioni o esclusioni d’impiego.
Non si esclude, ovviamente, la possibilità di intraprendere studi di maggior dettaglio a carattere operativo-progettuale, quali strumenti di previsione e, nell’ambito della pianificazione, di prevenzione dei fenomeni di inquinamento. Questi studi sono finalizzati al rilevamento della vulnerabilità e dei rischi presenti in siti specifici (campi pozzi, singole aziende, comprensori, ecc.), all’interno delle più vaste aree definite come vulnerabili, e
possono permettere di indicare più nel dettaglio le eventuali restrizioni nel tempo e nello spazio nonchégli indirizzi tecnici cui attenersi nella scelta dei prodotti fitosanitari, dei tempi e delle modalitàdi esecuzione dei trattamenti.

Parte BIII

Aspetti generali per la cartografia delle aree ove le acque sotterranee sono potenzialmente vulnerabili

1. Le valutazioni sulla vulnerabilità degli acquiferi all’inquinamento si può avvalere dei Sistemi Informativi Geografici (GIS) quali strumenti per l’archiviazione, l’integrazione,
l’elaborazione e la presentazione dei dati geograficamente identificati (georeferenziati). Tali sistemi permettono di integrare, sulla base della loro comune distribuzione nello spazio, grandi masse di informazioni anche di origine e natura diverse.
Le valutazioni possono essere verificate ed eventualmente integrate alla luce di dati diretti sulla qualità delle acque che dovessero rendersi disponibili.
Nel caso in cui si verifichino discordanze con le previsioni effettuate sulla base di valutazioni si procede ad un riesame di queste ultime ed alla ricerca delle motivazioni tecniche di tali
divergenze.
Il quadro di riferimento tecnico-scientifico e procedurale prevede di considerare la vulnerabilità su due livelli: vulnerabilità intrinseca degli acquiferi e vulnerabilità specifica.
2. I Livello: vulnerabilità intrinseca degli acquiferi. La valutazione della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi considera essenzialmente le caratteristiche litostrutturali, idrogeologiche e idrodinamiche del sottosuolo e degli acquiferi presenti. Essa è riferita a inquinanti generici e non considera le caratteristiche chemiodinamiche delle sostanze.

2.1 Sono disponibili tre approcci alla valutazione e cartografia della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi: metodi qualitativi, metodi parametrici e numerici.
La selezione di uno dei tre metodi dipende dalla disponibilità di dati, dalla scala di riferimento e dalla finalità dell’indagine.

2.2 I metodi qualitativi prevedono la zonizzazione per aree omogenee, valutando la vulnerabilità per complessi e situazioni idrogeologiche generalmente attraverso la tecnica della sovrapposizione cartografica. La valutazione viene fornita per intervalli preordinati e situazioni tipo. Il metodo elaborato dal GNDCI-CNR valuta la vulnerabilità intrinseca mediante la classificazione di alcune caratteristiche litostrutturali delle formazioni acquifere e delle condizioni di circolazione idrica sotterranea.

2.3 I metodi parametrici sono basati sulla valutazione di parametri fondamentali dell’assetto del sottosuolo e delle relazioni col sistema idrologico superficiale, ricondotto a scale di gradi di vulnerabilità. Essi prevedono l’attribuzione a ciascun parametro, suddiviso in intervalli di valori, di un punteggio prefigurato crescente in funzione dell’importanza da esso assunta nella valutazione complessiva. I metodi parametrici sono in genere più  complessi poichè richiedono la conoscenza approfondita di un elevato numero di parametri idrogeologici e idrodinamici.

2.4 I metodi numerici sono basati sulla stima di un indice di vulnerabilità. (come ad esempio il tempo di permanenza) basato su relazioni matematiche di diversa complessità.

2.5 In relazione allo stato e all’evoluzione delle conoscenze potrà essere approfondito ed opportunamente considerato anche il diverso peso che assume il suolo superficiale nella valutazione della vulnerabilità intrinseca; tale caratteristica viene definita come “capacità di attenuazione del suolo” e presuppone la disponibilità di idonee cartografie geo-pedologiche.

3. II Livello: vulnerabilità specifica

Con vulnerabilità specifica s’intende la combinazione della valutazione e cartografia della vulnerabilità intrinseca degli acquiferi con quella della capacità di attenuazione del suolo per
una determinata sostanza o gruppo di sostanze. Questa si ottiene dal confronto di alcune caratteristiche chemio-dinamiche della sostanza (capacità di assorbimento ai colloidi del suolo resistenza ai processi di degradazione, solubilità in acqua, polarità, etc.) con le  caratteristiche fisiche, chimiche ed idrauliche del suolo.
La compilazione di cartografie di vulnerabilità specifica deriva da studi approfonditi ed interdisciplinari e richiede l’uso di opportuni modelli di simulazione.

INDICE>>


INDICE>>

#

ALLEGATO 8

ELENCO INDICATIVO DEI PRINCIPALI INQUINANTI

1. Composti organoalogenati e sostanze che possano dare origine a tali composti nell’ambiente acquatico
2. Composti organofosforici
3. Composti organostannici
4. Sostanze e preparati, o i relativi prodotti di decomposizione, di cui è dimostrata la cancerogenicità o mutagenicità e che possono avere ripercussioni sulle funzioni steroidea, tiroidea, riproduttiva o su altre funzioni endocrine connesse nell’ambiente acquatico o attraverso di esso 5. Idrocarburi persistenti e sostanze organiche tossiche
persistenti e bioaccumulabili
6. Cianuri
7. Metalli e relativi composti
8. Arsenico e relativi composti
9. Biocicli e prodotti fitosanitari
10. Materia in sospensione
11. Sostanze che contribuiscono all’eutrofizzazione (in particolare nitrati e fosfati)
12. Sostanze che hanno effetti negativi sul bilancio dell’ossigeno (e che possono essere misurate con parametri come la BOD, COD, ecc.)

INDICE>>


INDICE>>

#

ALLEGATO 9

AREE PROTETTE

1. Il registro delle aree protette comprende i seguenti tipi di
aree protette:

i) aree designate per l’estrazione di acque destinate al consumo umano
ii) aree designate per la protezione di specie acquatiche significative dal punto di vista economico;
iii) corpi idrici intesi a scopo ricreativo, comprese le aree designate come acque di balneazione a norma della direttiva 76/160/CEE;
iv) aree sensibili rispetto ai nutrienti, comprese quelle designate come zone vulnerabili a norma della direttiva 91/676/CEE e le zone designate come aree sensibili a norma della direttiva 91/271/CEE;
v) aree designate per la protezione degli habitat e delle specie, nelle quali mantenere o migliorare lo stato delle acque e’ importante per la loro protezione, compresi i siti pertinenti della rete Natura 2000 istituiti a norma della direttiva 79/409/CEE e 92/43/CEE, recepite rispettivamente con la Legge dell’11 febbraio 1992, n. 157 e con D.P.R. dell’8 settembre 1997, n. 357 come modificato dal D.P.R. 12 marzo 2003, n. 120.

2. Le regioni inseriscono nel Piano di Tutela una sintesi del registro delle aree protette ricadenti nel loro territorio di competenza. Tale sintesi contiene mappe che indicano l’ubicazione di ciascuna arca protetta, oltre che la descrizione della normativa comunitaria, nazionale o locale che le ha istituite.


#

ALLEGATO 10

ANALISI ECONOMICA

L’analisi economica riporta informazioni sufficienti e adeguatamente dettagliate (tenuto conto dei costi connessi alla raccolta dei dati pertinenti) al fine di:
a) effettuare i pertinenti calcoli necessari per prendere in considerazione il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, tenuto conto delle previsioni a lungo termine riguardo
all’offerta e alla domanda di acqua nel distretto idrografico in questione e, se necessario:
– stime del volume, dei prezzi e dei costi connessi ai servizi idrici,
– stime dell’investimento corrispondente, con le relative previsioni;
b) formarsi un’opinione circa la combinazione delle misure più redditizie, relativamente agli utilizzi idrici, da includere nel programma di misure in base ad una stima dei potenziali costi di dette misure.

INDICE>>


INDICE>>

#

ALLEGATO 11

ELENCHI DEGLI ELEMENTI DA INSERIRE NEI PROGRAMMI DI MISURE

Misure di base richieste ai sensi delle seguenti direttive:
i) direttiva 76/160/CEE sulle acque di balneazione
ii) direttiva 79/409/CEE sugli uccelli selvatici
iii) direttiva 80/778/CEE sulle acque destinate al consumo umano,
modificata dalla direttiva 98/83/CE
iv) direttiva 96/82/CE sugli incidenti rilevanti (Seveso)
v) direttiva 85/337/CEE sulla valutazione dell’impatto ambientale
vi) direttiva 86/278/CEE sulla protezione dell’ambiente nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione
vii) direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane
viii) direttiva 91/414/CEE sui prodotti fitosanitari
ix) direttiva 91/676/CEE sui nitrati
x) direttiva 92/43/CEE sugli habitat
xi) direttiva 96/61/CE sulla prevenzione e la riduzione integrate
dell’inquinamento

ELENCO INDICATIVO DELLE MISURE SUPPLEMENTARI DA INSERIRE NEI
PROGRAMMI DI MISURE

Elenco delle eventuali misure supplementari che le regioni possono decidere di adottare all’interno di ciascun distretto idrografico ricadente nel territorio di competenza nell’ambito del programma di misure.
i) provvedimenti legislativi
ii) provvedimenti amministrativi
iii) strumenti economici o fiscali.
iv) accordi negoziati in materia ambientale
v) riduzione delle emissioni
vi) codici di buona prassi
vii) ricostituzione e ripristino delle zone umide
viii) riduzione delle estrazioni
ix) misure di gestione della domanda, tra le quali la promozione di una produzione agricola adeguata alla situazione, ad esempio raccolti a basso fabbisogno idrico nelle zone colpite da siccità
x) misure tese a favorire l’efficienza e il riutilizzo, tra le quali l’incentivazione delle tecnologie efficienti dal punto di vista idrico nell’industria e tecniche di irrigazione a basso consumo idrico
xi) progetti di costruzione
xii) impianti di desalinizzazione
xiii) progetti di ripristino
xiv) ravvenamento artificiale delle falde acquifere
xv) progetti educativi
xvi) progetti di ricerca, sviluppo e dimostrazione
xvii) altre misure opportune

INDICE>>

_____________________________________________________________________

 

FONTI

TESTI

Supplemento ordinario n. 31/L alla GAZZETTA UFFICIALE Serie generale – n. 30, 7-2-2011

LINK

nc

*** SEZIONE IN COSTRUZIONE ***

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here