La radioattività naturale: il radon e gli effetti delle radiazioni ionizzanti sull’uomo – sezione in costruzione

Alla fine del secolo scorso alcuni studiosi scoprirono che esistevano composti chimici, quali i sali di uranio che emettevano radiazioni.

In natura esistono diversi elementi, quali l’uranio (U) , il radio (Ra), il polonio (Po) ed altri che hanno la caratteristica di emettere, senza sollecitazione esterna, diversi tipi di radiazioni. Tali elementi ed i loro  composti vengono chiamati radioattivi ed il fenomeno generato viene chiamato radioattività naturale, per distinguerlo dalla radioattività artificiale che è invece generata tramite sollecitazioni fisiche o chimiche cui la materia viene sottoposta dall’uomo.

Ad esempio l’emissione del radon (Rn) è naturale, perché si genera dal radio (Ra) senza alcuna sollecitazione esterna (Fig. 1), mentre la radiazione X, utilizzata  ad esempio in diagnostica medica, è artificiale perché è generata da un apposito strumento  che indirizza un fascio di elettroni su una targhetta bersaglio dalla quale, a seguito di particolari fenomeni fisici, fuoriescono i raggi X.

Fig. 1 – reazione di decadimento del 226Ra

La radioattività naturale è legata alla presenza dei raggi cosmici ed al decadimento di radionuclidi presenti fin dalla formazione della terra, mentre quella artificiale o antropica è connessa all’immissione nell’ambiente di radionuclidi attraverso esperimenti nucleari, l’industria nucleare ed ai rifiuti della stessa.

Le radiazioni ionizzanti

La radiazione naturale emessa dal nucleo degli atomi può essere di tre tipi:

  • particelle alfa (α) (2 protoni+2 neutroni);
  • particelle beta (β) (elettroni – carica negativa – o positroni – carica positiva);
  • raggi gamma (γ);

Gli atomi radioattivi per natura sono instabili. Pertanto, al trascorrere del tempo,  maturano condizioni che innescano il processo di decadimento, arrivando a mutare la propria natura e cedendo energia unitamente all’emissione di particella α o una particella  β (negativa o positiva) ed altre particelle subnucleari oppure a spezzarsi in due frammenti con emissione di neutroni (fissione spontanea).

Questi processi possono lasciare in uno stato eccitato il nucleo che tende a stabilizzarsi attraverso una successiva emissione di raggi γ

Effetti biologici delle radiazioni ionizzanti

I processi di ionizzazione indotti dalle radiazioni intervengono direttamente sui legami chimici degli atomi che hanno subito l’impatto alterando la struttura delle molecole e causando quindi danni al DNA delle cellule che le contengono.

Il DNA può essere danneggiato dalle radiazioni o direttamente o a seguito dell’attacco da parte di radicali liberi generati in prossimità. Se la cellula non è in grado di riparare il danno o se la riparazione fosse scorretta, essa risulterebbe modificata.

Anche se vi sono una serie di meccanismi di ridondanza che preservano la funzionalità di tessuti e organi, se il numero delle cellule danneggiate è notevole o se si innescano abbondanti processi riproduttivi non corretti, possono insorgere dei danni.

Sia gli effetti diretti, sia quelli indiretti sono di natura probabilistica (stocastica). Pertanto i danni che si manifestano nell’organismo umano in seguito all’esposizione alle radiazioni si possono suddividere in: danni stocastici e danni non stocastici.

I primi sono di tipo somatico, cioè si manifestano direttamente sulla persona che ha subito l’esposizione e possono essere immediati o tardivi, gli altri possono essere sia somatici sia genetici (cioè indotti nella progenie) e si manifestano a distanza di tempo.

Danni non stocastici

I danni non stocastici immediati sono correlati al superamento di una determinata soglia di dose tale  da indurre con certezza un evento dannoso per la salute della persona che ha subito l’esposizione.

I danni non stocastici tardivi sono invece sempre indotti dal superamento di una determinata dose ma non si verificano immediatamente in seguito ad un’irradiazione unica, hanno luogo invece a distanza di tempo e la loro comparsa è prevedibile essendo nota la somma delle dosi ricevute dalla persona esposta. La gravità dei sintomi è in rapporto alla dose, per dosi sufficientemente basse i tessuti biologici sono in grado di autoripararsi autonomamente; superando i livelli di soglia, i meccanismi riparatori non sono più abbastanza efficaci ed il danno si manifesta.

Fra i danni non stocastici tardivi vanno ricordati la sterilità temporanea o permanente, l’opacizzazione del cristallino e quelli susseguenti l’irradiazione dell’embrione o del feto dell’utero che può provocare differenti tipi di conseguenze di varia gravità fino ad effetti letali.                                 

I danni di natura stocastica, ovviamente sono indotti dal sommarsi di dosi molto contenute subite dall’individuo lungo l’arco della vita; ciascuna dose è tanto piccola da essere praticamente trascurabile per quanto riguarda gli effetti indotti, ma il protrarsi nel tempo delle esposizioni può, in alcuni soggetti, indurre il danno. Dunque i danni stocastici non sono correlati al superamento di un livello di soglia bensì sono di natura probabilistica, cioè fenomeni di tipo hit or miss (di tipo si o no), come il cancro ai polmoni per i fumatori, possono cioè insorgere in alcuni soggetti ed in altri (anche a parità di dose ricevuta) possono non insorgere.

Danni stocastici

I danni stocastici somatici sono ovviamente tardivi in quanto si manifestano a grande distanza di tempo da quando il soggetto ha iniziato ad essere esposto alle radiazioni ionizzanti (anche 20-30 anni) e comprendono tutti i tipi di tumore e la leucemia. Poiché tali patologie si manifestano anche in seguito ad altre cause per valutare la correlazione fra dose assorbita ed effetto neoplastico si è fatto ricorso ad indagini epidemiologiche. Tali indagini coinvolgono intere popolazioni e non i singoli individui, poiché non sarebbe dimostrabile sul singolo un effetto di natura probabilistica. I molteplici studi epidemiologici sono stati eseguiti sia su gruppi esposti a forti dosi in una o poche occasioni di breve durata (es. i sopravvissuti al bombardamento nucleare in Giappone o agli incidenti delle centrali nucleari) sia su gruppi esposti a deboli dosi eventualmente protratte nel tempo (es. i radiologi).

Non si è ancora in grado di comprendere con certezza come le radiazioni ionizzanti inducano a neoplasie, anche se il primo evento si manifestò nel 1902, ma si sa, anche in seguito a studi di animali, che le radiazioni sono in grado di indurre tumore su quasi tutti i tessuti biologici.

Dagli studi più recenti si è visto che in genere non basta un singolo cambiamento a livello cellulare per provocare la cancerogenesi, ma molti tipi di cancro possono essere originati dal danneggiamento (con varie mutazioni) di una singola cellula. L’azione delle radiazioni sembra essere quella di innescare (direttamente o indirettamente, a seguito della produzione di radicali liberi) mutazioni cellulari tali da provocare l’insorgenza del cancro. Per queste ragioni è impossibile fissare un livello di soglia, superato il quale l’evento si realizza.

Infine i danni stocastici genetici ancora non compiutamente dimostrati si possono presentare sia sottoforma di mutazioni geniche, sia di mutazioni cromosomiche e consistono nella trasmissione alla progenie, secondo la legge dell’ereditarietà, di danni indotti nelle linee germinali dei genitori.

Effetti sull’organismo e radiosensibilità

Per valutare quindi adeguatamente gli effetti delle radiazioni sull’organismo, dobbiamo considerare tre fattori fondamentali:

  • la dose delle radiazioni in rapporto al tempo di esposizione
  • la fonte di irradiazione
  • a sensibilità specifica dei tessuti

La dose di radiazione in rapporto al tempo di esposizione

Va valutata considerando:

– effetti somatici stocastici (fenomeni che si evolvono nel tempo in maniera casuale) che

si manifestano solo dopo lunghi periodi dall’irradiazione nei quali il rischio aumenta con la dose assorbita, non richiedono il superamento di alcuna dose-soglia e sono a carattere casuale ;

– effetti somatici non stocastici che compaiono solo al superamento della dose-soglia che comporta l’insorgenza dell’effetto che aumenta di gravità con l’aumentare della dose, ha un periodo di latenza breve e si manifesta  su tutti gli irradiati.

La fonte di irradiazione

Può essere esterna (dovuta a sorgenti esterne al corpo) o interna (dovuta a materiale radioattivo che penetra nell’organismo attraverso ferite, per inalazione, per ingestione o attraverso la cute).

La sensibilità specifica dei tessuti

Vi sono tessuti con più elevata radiosensibilità che sono quelli  più ricchi di substrati cellulari in riproduzione quali i tessuti, linfoidi, epiteliali, enterici e riproduttivi o quei tessuti poco differenziati nei quali le cellule non hanno ancora raggiunto il loro livello finale di specializzazione funzionale o tessuti con minore radiosensibilità ossia quelli più differenziati come i tessuti muscolari, nervosi, epatici, renali, cartilaginosi e ossei.

La gravità delle lesioni e il periodo di tempo necessario perché queste si manifestino sono in rapporto alla quantità totale della radiazione subita, al periodo di tempo in cui è stata assorbita ed alla quantità dei tessuti irradiati.

Un’irradiazione breve ad alta energia per un periodo che può variare da pochi minuti ad un’ora, è mortale per gli esseri umani nel 50% dei casi in conseguenza dei danni che subisce il midollo osseo.

Se la stessa quantità fosse distribuita nell’arco di un mese, il decesso non si verificherebbe nel giro di pochi mesi, ma la durata della vita del soggetto sarebbe accorciata di parecchi anni.

Dose Massima Assorbibile (D.M.A.)

La DMA è una grandezza fisica che rappresenta l’energia che le radiazioni ionizzanti cedono quando attraversano la materia ed è relativa al tempo di esposizione tenendo conto anche della radioattività naturale di fondo.

La radioattività naturale media, senza conteggiare quella artificiale, alla quale è esposta la popolazione è di circa 2 milliSv/anno, corrispondenti a 200 millirem:

La radioattività che possiamo assorbire in un anno senza conseguenze è di circa 500 millirem. Ciò significa che possiamo assorbire per un certo tempo anche dosi maggiori. Ad esempio, durante una radiografia si assorbono, per una frazione di secondo, dai 50 ai 120 millirem. Quindi ad esempio cinque radiografie sono in grado quindi di farci superare la DMA annuale.

Fra le radiazioni assorbite ed il rischio di danno per le cellule viventi non vi è, fino ad ora, prova dell’esistenza di una dose-soglia al di sotto della quale il rischio di danno possa considerarsi nullo. Per questo è stata fatta l’ipotesi che anche le dosi più modeste comportino un rischio minimo, tenendo conto che le dosi assorbite agiscono in maniera cumulativa (tab. 1).

Tipo di tessuto Radiazione (milliSv)
gonadi 10
midollo osseo 2
polmone 2
tiroide 0,5
mammella 2,5
altri tessuti 5

Tab. 1- Fattori di rischio per i vari organi

Il Radon (Rn)

Il Rn è un elemento appartenente al gruppo dei gas nobili della tavola 

Fig.2 – Posiizione del Radon nella tavola periodica degli elementi

periodica (Fig. 2) ed è un gas incolore, inodore ed insapore radioattivo e presente in natura sottoforma di diversi isotopi:

  • 222 Rn (radon) (tempo di emivita 3,82 giorni);
  • 220 Rn (thoron) (tempo di emivita 55,6 sec);
  • 219 Rn (actinion) (tempo di emivita di 3,92 sec).

Essi appartengono alla catena di decadimento (Fig. 3) rispettivamente di

  • 238 U
  • 232Th
  • 235 U
Fig. 3 – Serie di decadimento U-Th

La concentrazione in natura dei primi due elementi è notevolmente superiore di quella dell’ 235U, quindi il suo contributo può essere trascurabile.

La concentrazione di Rn dipende da quella del suo genitore (Ra) che per decadimento a genera il Rn.

Effetti del radon e della sua progenie sulla salute

I problemi della salute umana derivano in particolare dall’inalazione del radon e della sua progenie, infatti l’irradiazione esterna di particelle a non provoca effetti di particolare rilevanza, essendo tali particelle fermate dallo strato superficiale che protegge la pelle. Il radon, quando viene inalato, reagisce relativamente poco con tessuti del corpo, essendo scarsamente solubile. Pertanto la sua radiotossicità è modesta se confrontata con i componenti a più breve emivita della sua progenie.

In particolare i due alfa emettitori 218Po e 214Po ed il beta emettitore 214Bi, quando sono inalati, hanno alta probabilità di decadere nell’apparato respiratorio ed interagire con l’epitelio bronchiale (Fig. 4).

Fig. 4 Epitelio bronchiale

I vari componenti della progenie del radon sono solidi e hanno carica elettrica, per cui sono soggetti al fenomeno di deposizione sul particolato disperso in aria e sul pavimento o sulle pareti. Il processo che verrà ora descritto è valido non solo per i primi prodotti del decadimento del radon ma anche per tutti gli altri.

Quando il 222Rn presente in atmosfera decade spontaneamente, si trasforma in 218Po. Questo elemento oltre ad essere solido, è anche carico elettricamente e quindi tende ad interagire con le particelle di acqua o di gas sospese in aria. Queste a loro volta si fissano su  particelle di polvere dando luogo alla frazione attaccata.

Il processo descritto avviene entro un secondo dal decadimento. In questo periodo di tempo il 218Po avrà perso la sua carica e sarà inglobato in  particelle di aereosol o di polvere elettricamente neutre. Per cui, inalando l’aria, contenente il particolato su cui è fissato il 218Po, si introduce nell’apparato respiratorio l’elemento radioattivo.

Se il decadimento del radon avviene invece all’interno del corpo umano, il 218Po si attaccherà al tessuto più vicino ed in quel sito continuerà il decadimento.

Inoltre è stato dimostrato che i campi elettromagnetici tendono ad attrarre l’areosol contenente la progenie del radon. In particolare i fili elettrici per l’alta frequenza possono provocare una deposizione nelle loro vicinanze fino a 18 volte maggiore del normale: si realizza pertanto una sorta di effetto calamita. Ciò ha suggerito l’utilizzo di generatori di ioni (positivi o negativi) per contribuire all’abbattimento della concentrazione della progenie del radon.

Rischi di cancro al polmone

 Il radon è stato riconosciuto come uno dei pochi elementi naturali con sicuro potere cangerogeno; pertanto è stato classificato appartenente al gruppo 1 di cancerogenicità (il più elevato) dall’ Agenzia internazionale di ricerca sul cancro della Organizzazione Mondiale della Sanità (IARC/WHO).

Il radon inalato, avendo tempo di emivita (t½) relativamente lungo, rispetto ai tempi di respirazione, viene in gran parte riemesso senza interagire. La parte non espirata ha due percorsi possibili nei tessuti del corpo: o viene assorbita (in piccola misura) dal sangue o resta nei polmoni fino al decadimento.

I radioisotopi prodotti dal decadimento (fino al 210Pb e successivi) hanno brevissimi tempi di emivita, pertanto si fermano a poca distanza dal punto in cui si sono formati, quindi la quasi totalità della dose viene trasmessa ai tessuti polmonari.

Diverso è il discorso per quanto riguarda la progenie del radon che viene inalata insieme con il particolato atmosferico. Inoltre tale progenie ha dei processi di decadimento molto rapidi che vanno dalla breve emivita di 164 ms del 214Po ai 26,8 min del 214Pb, ciò vuol dire che essi interagiranno prima di tutto con le prime vie aeree (apparato naso-faringeo e trachea) e quindi cona la regione polmonare, cedendo a queste aree la gran parte del contributo di dose. Dunque la gran parte dell’energia potenziale a della progenie del Rn viene ad essere depositata nel sistema polmonare.

E’ particolarmente a rischio l’area dei bronchi, poiché le dimensioni dell’epitelio bronchiale sono di poche decine di micron e quindi trapassabili, nei tratti più sottili, dalle particelle α. Lo strato basale dell’epitelio bronchiale contiene cellule e precursori ad alto tasso mitotico e dunque particolarmente sensibili alle proprietà citotossiche e carcinogeniche della progenie alfa emittente del radon ed in particolare del 214Po.

Vi sono numerosi fattori che possono incidere sull’aumento delle probabilità dell’insorgere degli eventi tumorali, associandosi con il radon, quali preesistenti problemi di salute o fattori genetici, ma il più significativo fra essi è senz’altro il fumo di sigarette. Si è rilevato ad esempio che gruppi di minatori, forti fumatori (più di 20-30 pacchetti/mese) hanno mostrato l’induzione di molti più casi di cancro rispetto ai gruppi di non fumatori. Non vi è ancora certezza sul come si sviluppa la sinergia fra le due cause, ma comunque accoppiando l’esposizione al radon  con il fumo di sigarette, si genera un’interazione che porta a far aumentare la probabilità dell’insorgere di un tumore al polmone. Si consideri che un fumatore rispetto ad un non fumatore normalmente accumula nei polmoni una dose doppia di Po proveniente da fumo inspirato.

Fattori che determinano elevati flussi di radon

I materiali geologici primari quali rocce, minerali che hanno una concentrazione considerevole di elementi di U e Th, rappresentano le sorgenti principali dalle quali si genera il radon. Altri fattori geologici contribuiscono ad aumentarne il flusso dal suolo tra i quali le manifestazioni gassose vulcaniche, i depositi secondari dei prodotti di lisciviazione, la porosità della roccia, la fratturazione.

I fattori che determinano elevati flussi di radon dal suolo sono: 

  • la concentrazione elevata di U e Th nelle rocce e nei minerali (vulcaniti alcalino potassiche dove sussistono anomalie di radio, graniti);
  • aree vulcaniche con manifestazioni gassose di CO2 (carrier per il radon);
  • situazioni geologiche in cui si hanno giacimenti e/o arricchimenti di U e di Ra dovuti ai processi di lisciviazione e di deposizione secondaria (travertini, argille, sabbie);
  • mineralizzazioni ad elevato contenuto di U /Ra per risalita di fluidi idrotermali in fratture o faglie;
  • prodotti epivulcanici in cui il coefficiente di emanazione gassosa aumenta con la porosità del terreno;
  • depositi di conoidi, morene, alluvioni e depositi sabbiosi derivanti dall’erosione, trasporto e deposizione di minerali ad elevato contenuto di U e Th;
  • presenza di fratture o faglie in rocce con considerevoli contenuti di U e Th oppure in aree con serbatoi magmatici superficiali;
  • zone carsiche, gallerie, cavità.

Vari tipi di rocce contenenti Uranio

Rocce magatiche

L’uranio, inteso come ione 4+ , difficilmente entra nelle strutture della maggior parte dei minerali costituenti le rocce e tende a raccogliersi nella frazione di magma che si cristallizza per ultima; una parte d’uranio forma dei piccoli cristalli distinti che si localizzano tra i minerali principali e quelli accessori che compongono le rocce.

A causa della sua collocazione sulla superficie dei grani, nelle fenditure e nei difetti dei cristalli, l’uranio è particolarmente soggetto ad essere asportato dal dilavamento dell’acqua che percola nel terreno ed anche dall’acqua di falda. L’uranio delle rocce alterate dagli agenti meteorici incorre facilmente nei decadimenti che lo trasformano in radon.

Le rocce più ricche di silice come la diorite, la quarzodiorite, la granodiorite e il granito ne contengono da 2 a 5 ppm, mentre quelle basiche (cioè povere di silice) come il basalto, ne contengono solo 1 ppm.

Minerali delle rocce ignee U (ppm)
Minerali Maggiori
Biotite 1-60
Orneblenda. 0,2-60
Pirosseni 0,01-50
Minerali accessori
Allanite 30-1000
Apatite 55-150
Epidotite 20-200
Monazite 500-3000
Zircone 100-6000

Tab. 1 – Minerali delle rocce ignee e concentrazione di U.

Molto spesso, sono proprio i minuscoli cristalli di minerali accessori, come lo zircone (fino 6.000 ppm, 0,6% del peso) (tab.1), che possono fornire localmente valori elevati. A differenza dei minerali maggiori formanti le rocce, quelli definiti accessori hanno un contenuto di uranio più elevato. Circa il 30% di uranio non penetra nei minerali accessori, ma si fissa più facilmente nei difetti del cristallo ed è particolarmente vulnerabile all’ effetto dell’ acqua, essendone facilmente asportato.

Rocce sedimentarie

Si sono trovate tracce di U anche nelle rocce sedimentarie, ma a causa delle diverse fonti, dei diversi meccanismi del fissaggio e di altri fattori, la quantità di uranio nelle rocce sedimentarie non è mai costante (tab. 2).

L’arenaria, ad esempio, contiene poco uranio quando in essa non vi siano miscelati degli scisti ricchi di materiale carbonico, che favoriscono il fissaggio dell’uranio.

La grovacca, invece, è un tipo di arenaria molto ricca di argilla, e quindi, la quantità di uranio contenuta in essa sarà più elevata di quella che costituisce l’arenaria pura.

Tipi di rocce Media aritmetica Range di valori
Scisti comuni 3,5 1-13
Rocce carbonatiche 2,2 0,1-9
Scisti neri 8,2 3-250
Fosforiti marini 50-300
Bentoniti 5,0 0,1-21

Tab. 2 – Valori di U (ppm) delle varie rocce sedimentarie.

Anche nelle rocce  carbonatiche (calcari e dolomie) si riscontra una discreta quantità di U.

Inoltre le costruzioni edili, costruite con materiali a base di gesso provenienti dai depositi fosfatici, rappresentano un altro veicolo del radon, poiché questo tipo di gesso contiene livelli di uranio certamente superiori alla media.

La bentonite viene formata dalla trasformazione della cenere vulcanica la quale, se uranifera, può emettere una discreta dose di radon.

Altre rocce ricche di idrossidi di ferro e di alluminio, le bauxiti, formate dall’azione degli agenti atmosferici in ambiente tropicale, inglobano l’uranio liberato dalle forti percolazioni di acqua e se ne arrricchiscono.

Rocce metamorfiche

L ‘ abbondanza di uranio, nelle rocce metamorfiche, varia secondo il tipo di roccia dalla quale si sono originate. La gamma delle concentrazioni d’uranio è così ampia da impedirne una stima dei valori.

L’uranio, quindi non si concentra sempre nelle rocce metamorfiche, a meno che non sia presente antecedentemente al processo di metamorfismo.

 Il radon nelle acque

 Il 222Rn è il radionuclide responsabile di quasi il 100% della radioattività naturale presente alla sorgente ed è presente in largo eccesso rispetto al progenitore   (226Ra). Il dimezzamento del 222Rn (3,86 giorni) fa prevedere che occorrono almeno 20 giorni di stoccaggio per raggiungere valori di radon trascurabili. I livelli consigliati dalla unione europea sono compresi tra 50-500 Bq/l per le acque pubbliche e di 200-1000 Bq/l per le acque private.

Per quanto riguarda le acque contenute in acquiferi vulcanici di natura simile alle vulcaniti laziali, i valori di concentrazione del radon possono raggiungere anche i  6000 Bq/l se si hanno contributi di gas profondi. La misura del radon nelle acque viene effettuata direttamente utilizzando una camera di ionizzazione in situ o prelevando in condizioni opportune una certa aliquota di acqua e misurando il radon per spettrometria γ. La radioattività totale (radon + altri radionuclidi della serie dell’U e del Th) viene quindi effettuata misurando per spettrometria α/γ l’attività di questi isotopi.

Il radon indoor

Le principali vie d’ingresso del radon negli edifici

La differenza di temperatura presente tra ambiente esterno e l’interno di un edificio, fa si che si instauri una piccola differenza di pressione atmosferica che attira l’aria e così il radon penetra nel suo interno, similmente a quanto avviene nel fenomeno di tiraggio delle canne fumarie (effetto camino). Anche la differenza del movimento dell’aria tra esterno e interno favorisce l’ingresso del gas (effetto vento).

Le più importanti vie attraverso le quali il gas può accedere alle abitazioni riguardano la struttura costruttiva dell’ edificio e possono essere costituite da:

  • fratture tra pavimento e pareti del piano terreno;
  • fratture o crepe tra blocchi o mattoni nelle pareti degli edifici;
  • fratture in generale dovute a cedimenti delle strutture;
  • aperture causate da fenomeni di ritiro;
  • corridoi e giroscale in comunicazione con scantinati;
  • aperture attorno a tubazioni, sbocchi, cavi, ecc.;
  • aperture attorno a bulloni di ancoraggio di attrezzature varie;
  • impermeabilizzazione difettosa nelle zone di drenaggio;
  • aperture intenzionali di drenaggio;
  • pareti costruite con laterizi composti da scorie d’altoforno.

Il radon può passare attraverso qualsiasi apertura, anche se di piccole dimensioni, del pavimento o delle pareti ad esso solidali. Le aperture attorno alle condutture idrauliche possono veicolare il gas dal pianterreno ai piani superiori, ma i maggiori responsabili di questo fenomeno restano i punti di congiunzione tra muri e piani.

Come già accennato un’altra fonte importante di emissione di radon attraverso la quale esso può entrare nelle abitazioni è costituita dall’acqua potabile. Il gas infatti può essere naturalmente disciolto in essa, se l’acqua,  convogliata nelle case dagli acquedotti proviene da sorgenti naturali o da falde acquifere.

Alcuni ricercatori hanno evidenziato, i vari aspetti della presenza del radon nell’acqua per uso domestico, contribuendo ad approfondire le conoscenze relative a questo fenomeno.

Negli anni ’50, in America, furono misurati per la prima volta elevati livelli di radon nell’acqua di alcuni pozzi situati nello stato del Maine. La prima preoccupazione riguardò il tempo di permanenza nell’organismo dell’acqua inquinata dal gas, in seguito ci si rese conto che gli effetti del gas, una volta dissociato dal liquido, potevano essere molto dannosi.

Verso il 1988 la National Academy of Science, ha suggerito che il rischio di danni ai polmoni provocato dall’inalazione di radon contenuto nell’acqua potabile è da tre a dodici volte maggiore del rischio di cancro allo stomaco, indotto dall’ingestione dello stesso radon.

Nell’acqua il radon si scioglie con una difficoltà crescente in modo proporzionale alla temperatura dell’acqua stessa. Quando questa viene riscaldata, il gas che prima veniva trattenuto alle temperature più basse, si disperde direttamente nel locale interessato che in genere è il bagno o la cucina.

Quantità di radon rilasciate in ambito domestico

Utili sono a questo punto alcun indicazioni sulle quantità di radon (Bq/m3) rilasciate da diversi utilizzatori domestici che divengono così fonti di emissione:

  • lavastoviglie 0.95;
  • lavatrice 0.92;
  • doccia 0.66;
  • vasca da bagno 0.42;
  • wc 0.3.

I materiali da costruzione come fonte di emissione e la tipologia costruttiva  e la penetrazione all’interno delle case del gas Radon 

Un’altra fonte di emissione del gas non trascurabile, è rappresentata dai materiali con i quali è stato costruito l’edificio. La conformazione architettonica e anche la localizzazione dello stabile possono incidere sulla concentrazione del radon presente nei locali. A questo riguardo le variabili in gioco sono molteplici e comprendono il numero di piani, la tipologia costruttiva, e quella del territorio circostante (rurale, urbano o quartiere residenziale), tutte queste possono influire in modo rilevante sul fenomeno.

Le concentrazioni medie di radon negli ambienti ai pianterreni sono più elevate nelle case monofamiliari, mentre sono ridotte negli edifici con più piani ed inoltre è stato osservato che il radon è presente al primo piano o ai piani superiori in percentuale inferiore rispetto al piano terra del medesimo edificio.

E’ stato evidenziato che anche l’età delle costruzioni sembra incidere sensibilmente sulla concentrazione del gas, dal momento che negli edifici più vecchi (oltre i dieci anni) sono stati rilevati livelli più bassi.

Il radon viene liberato nel sottosuolo in forma gassosa e permea dal terreno raggiungendo la superficie.

Le concentrazioni di radon nell’aria sono variabili in funzione, oltre che dei fattori geologici, anche di numerosi parametri meteorologici (P atmosferica, T, umidità, stagione dell’anno, ecc.). Se il terreno è a contatto con l’atmosfera (radon outdoor), i processi di mescolamento con l’aria, rendono bassa la concentrazione del radon e dunque gli effetti sull’uomo sono trascurabili. Diversa è invece la situazione per i locali chiusi (radon indoor), dove sia il suolo, sia i materiali di costruzione (che in gran parte sono estratti dal terreno), forniscono il loro contributo di radon all’aria del locale. In tali situazioni si raggiungono normalmente valori circa dieci volte superiori a quelli raggiungibili nei casi outdoor. In Italia, prevalentemente a causa della conformazione del terreno, il valore medio è invece di circa venti volte superiore.

Il Toron ed ancor più l’Actinion, avendo tempi di dimezzamento molto breve, non contribuiscono in maniera determinante all’aumento della concentrazione negli ambienti interni tranne che per gli ultimi centimetri di suolo (parte più a contatto con la pavimentazione).

Le ricerche sul Radon indoor in Italia

In Italia è da tempo che si sono costituiti gruppi di lavoro e di ricerca, nell’ambito del Ministero della Sanità (Istituto Superiore di Sanità), del Ministero dell’Ambiente  (MATTM) e delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente (ARPA), sul problema radon. Tali strutture hanno condotto una campagna d’indagine di misure del radon indoor sul territorio nazionale che si è conclusa nel 1993.

Il monitoraggio è stato condotto su 5000 punti di campionamento, scelti su base statistica, in Comuni appartenenti a quasi tutte le Regioni d’Italia. I risultati, presentati nell’ambito di un seminario presso l’Università Roma Tre (Roma, 8 giugno 1994),  hanno evidenziato che in Italia il valore medio della concentrazione di radon indoor è di 77 Bq/m3 . Soltanto il Portogallo, Finlandia e Svezia, tra i paesi europei, hanno valori maggiori, mentre quello mondiale è pari a 40 Bq/m3 (Bochicchio et al. Atti del 3° Convegno nazionale “ARIA 94”).

In Italia la situazione è disaggregata per regioni; si riscontrano valori bassi in Basilicata e Liguria (25-40 Bq/m3), medio alti ed alti nel Lazio, Campania, Lombardia e Friuli (90-120 Bq/m3).

Tali variazioni sono del tutto spiegabili innanzitutto per la diversa situazione geologica delle regioni ed in secondo luogo per la tipologia architettonica delle abitazioni.

Impostazione degli studi sul radon indoor

Sembra dunque necessario predisporre uno studio di dettaglio per individuare le aree di maggior rischio in ogni singola regione, provincia o comune poiché i parametri che controllano il flusso di Radon dal suolo variano in modo puntuale ed areale in base alle caratteristiche geologiche.

Il flusso di fuoriuscita del radon dal terreno verso le stanze a contatto con esso è difficilmente prevedibile, poiché, come detto in precedenza, numerose circostanze concorrono ad influenzarlo. Si può quindi affermare che non è possibile realizzare case o edifici totalmente schermati dal radon, mentre è possibile, pur evitando costi elevati, progettare edifici con caratteristiche tali da minimizzare l’ingresso del radon o effettuare in maniera relativamente semplice il monitoraggio della presenza del radon in edifici già esistenti e quindi intervenire opportunamente.

In particolare, nel caso fosse riscontrata una concentrazione al di sopra dei limiti raccomandati dalle normative internazionali, si possono impiegare alcune tecniche di mitigazione per ridurre la presenza del radon indoor. Le più diffuse sono:

  • la ventilazione del locale, che si realizza semplicemente aumentando il flusso di aria immesso dall’esterno per diluire e ricambiare l’aria contaminata;
  • la riduzione dell’ingresso del radon che si attua agendo opportunamente sulle fondamenta e sui pavimenti, sigillando cavedi e fessurazioni, riempiendo opportunamente i condotti che attraversano il pavimento e ponendo (ove necessario) dei filtri a carbone attivo per l’acqua e la rimozione delle sorgenti di radon che viene messa in pratica sostituendo i materiali da costruzione impiegati, ove siano inadatti.

Come va affrontato il problema delle “radiazioni ionizzanti da sorgenti naturali: esposizione della popolazione e dei lavoratori al radon in ambienti chiusi”?

  • individuando le “aree a rischio” con studi specifici geologico-geochimici volti a definire i fattori che determinano tale rischio
  • conoscendo le caratteristiche mineralogiche, petrografiche e porosità dei materiali edilizi impiegati nelle costruzioni
  • misurando i flussi di radon outdoor dal suolo per confermare l’analisi geologica e geochimica di superficie
  • misurando la concentrazione di radon indoor per verificare l’esposizione negli ambienti chiusi
  • definendo gli interventi di rimedio da apportare alla costruzione/locali per mitigare il rischio.

Interventi legislativi

E’ del 1987 una relazione della Commissione Internazionale per la Protezione Radiologica (ICPR), presentata alla Commissione CEE, circa il rischio di cancro polmonare provocato dall’esposizione in ambienti chiusi ai prodotti di decadimento del radon (Rn-222). Come già detto infatti Po, Pb e Bi, se respirati, si depositano lungo le vie respiratorie e le emissioni a, dovute al loro decadimento, colpiscono l’epitelio bronchiale.

Alla luce di tali studi la Commissione Europea ha formulato la Raccomandazione n. 143/90/Euratom del 21/2/1990 “sulla tutela della popolazione contro l’esposizione al radon in ambienti chiusi”.

La Raccomandazione invita gli Stati membri, innanzitutto, ad istituire un adeguato sistema per ridurre qualsiasi esposizione a concentrazioni di radon in ambienti chiusi.

A tale riguardo sono stati stabiliti i livelli di riferimento per l’adozione di provvedimenti correttivi, differenziando i livelli per gli edifici esistenti e per gli edifici da costruire.

Edifici da costruire Edifici esistenti
200 Bq/m3 400 Bq/m3

Inoltre, la Raccomandazione invita a definire i criteri per la identificazione di regioni, località e caratteristiche costruttive connesse con alti livelli di radon in ambienti chiusi.

Successivamente alla Raccomandazione, La Comunità Europea ha emanato la Direttiva 96/29/Euratom (G.U. n. 64 22/8/96) che stabilisce norme fondamentali di sicurezza per la protezione della popolazione e dei lavoratori contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti. Tale direttiva, al Titolo VII, evidenzia le fonti naturali di radiazioni ionizzanti ed impegna gli Stati membri a recepire la stessa nell’ambito di legislazioni nazionali entro l’anno 2000 (Tab 3.).

Gestione di un monitoraggio del radon

Lo studio dovrebbe essere articolato in modo da ottenere inizialmente la zonizzazione delle aree potenzialmente a rischio da “Radon outdoor” e successivamente al monitoraggio di “Radon indoor” nelle stesse:

  1. Mappatura geochimica del territorio comunale eseguito con un Mezzo Mobile di Rilevamento (MMR) specializzato ed attrezzato con apparecchiature specifiche in grado di caratterizzare il campo di emissione gamma (carta della isoradioattività totale);
  2. Gestione degli elementi rilevati con Data Base specifico e loro collocazione su cartografia georeferenziata (Monitor System);
  3. Definizione delle aree anomale (natura del campo gamma);
  4. Successiva campagna mirata al rilevamento delle aree ad elevato flusso di Radon Outdoor individuate al punto 3;
  5. Misure di Radon Indoor nelle zone che saranno risultate a rischio, all’interno di alcuni edifici pubblici (scuole, biblioteche, uffici pubblici) campione;
  6. Possibile completamento della campagna di misure di Radio (Ra) e Radon (Rn-222) nelle acque di pozzi e sorgenti;
  7. Proposte sulle azioni di rimedio per gli edifici e/o abitazioni con concentrazioni anomale di Radon Indoor.

I risultati acquisiti consentiranno agli Amministratori Locali di attenersi alla nuova normativa CEE già emanata in materia, ed inoltre costituiranno un importante strumento di programmazione degli interventi di rimedio consentendo l’attuazione di un reale controllo dei problemi della salute della popolazione per quanto riguarda il rischio collegato alla presenza del radon.

RIEPILOGO DEI PROBLEMI LEGATI AL RADON

Il Radon è un gas radioattivo, di cui si conoscono 20 isotopi, che emette spontaneamente particelle alfa durante il suo decadimento radioattivo.

Le particelle alfa hanno una penetrazione di ca. 60 micron ed una velocità di 30.000 Km. al secondo e quindi lo strato della pelle è sufficientemente spesso per arrestarle.

Il problema insorge quando dette particelle si depositano nel pulviscolo o quant’altro all’interno dell’ambiente e di conseguenza possono essere inalate attraverso la trachea e la laringe penetrando nei polmonie nei bronchi, irraggiando gli organi dall’interno con una fortissima energia.

Come detto sopra, il Radon non rappresenta una minaccia se le se radiazioni provengono dall’esterno; diventa invece una seria minaccia se inalato in quanto arrivando ad irraggiare il tessuto polmonare dall’interno provoca rotture multiple nel DNA dello strato epiteliale basale.

I danni causati da questo tipo di radiazioni sono comunque in relazione alle concentrazioni presenti nell’ambiente ed al tempo di irraggiamento.

Nelle abitazioni i valori del Radon possono essere più elevati sia per i materiali da costruzione usati sia perché non c’è un riciclo dell’aria continuo determinando dosi di assorbimenti di 0,2-3 milliSv/anno che vanno ad assommarsi alle altre radiazioni di fondo già presenti.

In varie parti del mondo sono stati effettuati studi sull’argomento. Prendiamo ad esempio la Svezia che, dopo analisi effettuate su un campione della popolazione, ha potuto appurare che un’elevata dose di Radon nell’ambiente aumenta il rischio dei tumori polmonari. Infatti a concentrazioni tra 150 e 430 Bq/mc si sono riscontrati un 30% in più di tumori polmonari, con aumenti pari all’80% fra chi abitava in appartamenti con un tasso di concentrazione superiore a 430 Bq/mc.

Altri studi effettuati in Italia (Veneto) mettono in correlazione il danno da fumo con il Radon nei confronti del cancro polmonare, anche se i risultati ottenuti non stabiliscono una relazione significativa tra la mortalità per cancro ai polmoni ed i livelli di Radon rilevato nelle abitazioni.

Infine studi effettuati dall’OMS sui minatori hanno appurato che il Radon è la seconda causa dopo il fumo nelle neoplasie polmonari.

In Italia il rischio Radon si trova nei primi dieci posti delle cause di morte con un totale di circa 3.000 – 4.000 morti l’anno.

(***)

Raccolta di Norme e Leggi sul Radon

Raccomandazione Euratom 143-90 sulle indicazioni per le abitazioni residenziali

Raccomandazione Euratom 928-2001 sulle indicazioni per le acque destinate a consumo umano

Decreto Legislativo 230-95 come modificato dal Dlgs 241-2000 con le indicazioni per la misura del Radon nei luoghi di lavoro

Linee guida per le misure di concentrazione di radon in aria nei luoghi di lavoro sotterranei – a cura della Conferenza delle Regioni – 2003

Legge Regionale del Lazio sulla protezione da Gas Radon

Linee Guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati S.O. 252 GU 276 del 27-11-2001

Decreto Presidente della Repubblica 246-93 di recepimento della direttiva 106/89 sulle prescrizioni per i materiali edilizi

La Delibera del XII Municipio del Comune di Roma sul Radon del 4 febbraio 2010

Le nuove Linee Guida della Regione Lombardia applicabili a tutti gli edifici di nuova costruzione e agli interventi di rustrutturazione sul patrimonio edilizio esistente 21 Dicembre 2011.

Direttiva euratom 51/2013 del 22-10-2013 pubblicata il 7-11-2013 che regola le concentrazioni di Radon nell’acqua destinata al consumo umano recepita nel ns. ordinamento dal Dlgs 28 del 15 Febbraio 2016

Direttiva Euratom 59/2013 del 05-12-2013 pubblicata il 17-01-2014 che detta nuove disposizioni per la salvaguardia della popolazione dalle radiazioni ionizzanti. Dovrà essere recepita nella legislazione nazionale entro Febbraio 2018

Legge Regionale Puglia n. 30 del 3/11/2016 Pubblicata sul Bollettino Regionale Puglia n. 126 del 04/11/2016 “Norme in materia di riduzione dalle esposizioni alla radioattività naturale derivante dal gas ‘radon’ in ambiente confinato”.

Legge Regionale Puglia 30 aprile 2019, n. 18 – pubblicata sul Bollettino Regionale Puglia – n. 46 suppl. del 2-5-2019 che all’art. 12 riporta la proroga per l’inizio del rilievi entro 30 gg dalla pubblicazione.

Legge Regionale Campania 8 Luglio 2019 n. 13 “Norme in materia di riduzione dalle esposizioni alla radioattività naturale derivante dal gas radon in ambiente confinato chiuso”

 

 

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